Commercio con l'estero di Mario Salvatorelli

Commercio con l'estero La nostra economia Commercio con l'estero (II 95 fo delle esportazioni italiane è costituito da prodotti dell'industria) L'elenco dei traguardi mancati dal « Programma di sviluppo economico per il quinquennio 1966-70 » è piuttosto lungo: gli occupati sono attualmente sui 19 milioni, anziché 20; il prodotto della agricoltura nel '69 è stato inferiore a quello del '67 in termini reali, invece di aumentare in media del 2,85 per cento l'anno; le case costruite con l'intervento statale non superano il 10 per cento del totale, mentre dovrebbero essere un quarto; le spese per la ricerca tecnica e scientifica non sono raddoppiate affatto, e cosi via. Fa eccezione (non è l'unica, ma la più vistosa), il commercio con l'estero che si è sviluppato in misura superiore ad ogni previsione. Le esportazioni italiane sono aumentate nel '66 dell'I 1,7 per cento rispetto al '65, solo dell'8,3 per cento nel '67, sempre in confronto all'anno precedente, ma di ben il 17 per cento nel '68 e del 15,2 per cento nel '69. Si tratta di percentuali che nel mondo sono superate solo dal Giappone. In valore le nostre vendite all'estero sono passate da poco più di 5000 miliardi nel '66 a 7.322 miliardi nel '69. Quest'anno, pur accusando un ritmo inferiore ( -i-5,4 per cento nel primo trimestre, anche per la necessità di soddisfare la domanda interna mortificata durante l'autunno caldo) raggiungeranno certo gli 8000 miliardi. Sul totale, i prodotti dell'agricoltura figurano appene con il 5,3 per cento. Un altro, modestissimo, 0,1 per cento, è fornito dagli allevamenti zootecnici, dalla pesca e dalla caccia. Tutto il resto, cioè il 94,6 per cento è costituito da prodotti dell'industria: meccanici per il 39,6 per cento; tessili e dell'abbigliamento per il 19,6; metallurgici, chimici, eccetera (compreso un 3,9 per cento dell'industria alimentare). Oggi siamo all'ottavo posto nel mondo come valore della produzione industriale, dopo Stati Uniti, Urss, Giappone, Germania, Inghilterra, Francia e, presumibilmente, Cina comunista (anche se in quel paese la popolazione attiva è ancora dedita per oltre il 60 per cento all'agricoltura, gli occupati sono qualcosa come 367 milioni, secondo le ultime stime). Eppure, in questo gruppo di testa, siamo gli unici a non avere praticamente materie prime; al totale delle attività industriali, le estrattive contribuiscono appena con l'I.8 per cento; il 7,2 è dato dalle industrie elettriche e del gas; il 17,6 dall'edilizia. Tutto il resto, cioè il 73,4 per cento, viene dalle industrie manifatturiere. Se da una parte questa mancanza costituisce un peso sulla bilancia dei pagamenti (il 18,3 per cento delle nostre importazioni è costituito da prodotti delle industrie estrattive), dall'altra è un vantaggio non mdifferente, perché consente alle aziende di rifornirsi dove è , possibile ottenere prezzi e prodotti migliori, senza dcver dipendere, per motivi politici o di legami economici, dalle risorse locali, spesso più costose. Ben lo sanno, per esempio, Francia e Germania Occidentale, con le loro miniere di carbone ormai in gran parte anti-economiche. E se la seconda ha saputo superare l'handicap, ristrutturando il bacino della Ruhr, altrettanto non è ancora riuscita a fare la Francia ed è questa una delle cause della sua recente crisi economica. I prodotti delle nostre industrie oggi sono competitivi su tutti i mercati mondiali. Oltre il 70 per cento delle nostre esportazioni vanno infatti nei paesi sviluppati: area del Mec per il 42,6 per cento; il 25,9 negli altri membri dell'Ocse (l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici), di cui il 10,8 per cento negli Stati Uniti. E a proposito di que sti ultimi, può essere interessante rilevare che nelle nostre esportazioni figurano ai primi posti calzature, macchinari, elettrodomestici, articoli di abbigliamento, cioè tutti prodotti dell'indù stria. Nelle esportazioni degli Stati Uniti in Italia, invece, al secondo posto c'è il granturco. Luigi Einaudi scriveva nel dopoguerra che l'Italia avreb be dovuto puntare soprattutto sull'agricoltura, per il suo risorgimento economico. Sono passati venticinque anni e oggi l'agricoltura contribuì sce con meno del 13 per cen to alla formazione del nostro reddito nazionale Ma Corse ci vorrà ancora un'altra ge nera^ione perché scompaia definitivamente, all'interno e all'estero, il cliché dell'Italia paese delle arance, degli spa ghetti e del vino. Mario Salvatorelli

Persone citate: Luigi Einaudi