Che accadrà dopo Tito

Che accadrà dopo Tito ANALISI Che accadrà dopo Tito (Difficoltà interne e pressioni dall'estero minacciano il regime in Jugoslavia) Tito tiene ancora saldamente le redini del potere in Jugoslavia, ma a Belgrado già si pensa alla successione. L'uomo che ha costruito, dalle rovine di un regno fondato sull'egemonia serba, la Repubblica federativa dell'autogestione operaia, ha 78 anni: un'età in cui la legge della natura può reclamare i suoi diritti. L'edifìcio sopravvivrà all'architetto? L'opera iniziata 25 anni fa « nell'eroismo e nella sofferenza » è ancora fragile. Qualche crepa appare nelle mura; forze interne ed esterne al paese attendono il momento propizio per far crollare la costruzione. All'interno, la stabilità del regime è minacciata da seri problemi. Innanzi tutto, le difficoltà di applicazione della riforma economica (la Jugoslavia è l'unico paese comunista che denunci scioperi e disoccupazione); poi la contestazione giovanile e la crisi dell'Università, che all'inizio dell'anno si tentò di soffocare sospendendo in blocco i « ribelli » della rivista Student; i fermenti nei giornali, per i quali è allo studio una nuova legge (il Politika di Belgrado ed il Vjesnik di Zagabria usano un linguaggio sorprendente per la vivezza della critica); infine il risveglio della propaganda neo-cominformista, sostenuta da Mosca, che si esprime con manifesti e libelli distribuiti tra gli intellettuali. La stessa Lega dei comunisti jugoslavi, ora soggetta a « purghe », dà segni di indisciplina ed appare divisa in due correnti: da un lato i « liberali » e federalisti, che fanno capo alle repubbliche della Croazia e della Slovenia; dall'altro i conservatori, forti soprattutto in Serbia, dove hanno ancora peso e prestigio i seguaci dell'ex presidente Alexander Rankovic (silurato da Tito nel 1966) ed i fedeli al Cremlino. Questi ultimi avrebbero influenza sugli alti comandi militari di Belgrado. Le divergenze in seno alla Lega sono divenute pubbliche con l'« affare » Zanko. Milos Zanko, uno dei dirigenti del comunismo croato, era vice presidente del Parlamento federale; personalità forte e dotata d'una robusta preparazione economica, godeva fama di un'onestà assoluta. Nel novembre dello scorso anno, egli scrisse per la Borba una serie di articoli in cui denunciava le manifestazioni centrifughe di « nazionalismo » e di « clericalismo » in Croazia. Le critiche provocarono a Zagabria violente reazioni. Il Comitato centrale croato le respinse e condannò Zanko come « unitarista », cioè partigiano d'uno Stato centralizzato, accusandolo di fare il gioco dei neo-cominformisti e degli ambienti panserbi: un'accusa singolare, se si considera che uno dei pericoli del dopo-Tito è lo sfaldamento della federazione delle sei repubbliche (Croazia, Slovenia, Serbia, Macedonia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro) che compongono la Jugoslavia. Zanko fu privato del mandato parlamentare al Consiglio delle nazionalità e dovrà abbandonare la vice-presidenza del Parlamento federale. Ma il pericolo più grave ed immediato sembra venire dall'estero. La rivista Nin rivelò qualche tempo fa che emigrati jugoslavi stanno tentando di formare un partito comunista clandestino in opposizione alla Lega. Tito ha confermato l'altro ieri a Belgrado le notizie di Nin. Pressioni di varia natura, ha detto, sono esercitate sulla Jugoslavia dall'esterno; infiltrazioni politico-ideologiche di chiara intonazione cominformista, sostenute da centri che avrebbero sede, in Urss ed in altri paesi dell'Est europeo, minacciano la leadership di Belgrado. Non sarebbe il primo tentativo di creare un partito comunista in opposizione a Tito. Ci provarono nel '64 dei montenegrini filo-cinesi. Il loro movimento scomparve tuttavia ben presto. E' noto che vivono in Russia parecchie migliaia di cittadini jugoslavi. La maggior parte ha trovato rifugio a Mosca nel '48, al tempo della rottura fra Tito e Stalin; gli altri lasciarono la Jugoslavia nel '68, dopo l'invasione della Cecoslovacchia. Leader del gruppo di fuorusciti sarebbe il montenegrino Vlado Dapcevic, che fu condannato nel 1948 a vent'anni di lavori forzati per « espatrio clandestino », venne graziato nel 1954 e finalmente riuscì a fuggire in Russia, passando attraverso l'Albania, con sette colonnelli dell'esercito jugoslavo. Ora si troverebbe a Parigi, dove dirige un movimento anti-titoista. Alfonso Di Nola

Persone citate: Alexander Rankovic, Alfonso Di Nola, Milos, Stalin, Vlado Dapcevic