Il centenario del grande Lenin di Alberto Ronchey

Il centenario del grande Lenin Il centenario del grande Lenin Dal giubileo della rivoluzione, nel novembre '67, i governanti sovietici preparavano le celebrazioni per il centenario della nascita di Lenin. Da tempo i ritratti di Vladimir llic Uljanov sono dovunque: Lenin in piedi sul carro blindato alla stazione di Finlandia, Lenin che legge le « Tesi d'aprile », Lenin al Cremlino e nell'epica figurazione di Gerasimov. Lunghissima è la processione delle plebi accorse in devozione da tutte le Russie al mausoleo sulla Piazza Rossa. (Nel '24, quando Lenin morì, Majakovskij l'aveva previsto: « Sì, io temo che processioni c mausolei offuschino d'aciduli incensi la semplicità di Lenin...»). In genere, nell'ossequio alle spoglie del rivoluzionario, come" un dio imbalsamato, solo gli stranieri si permettono riflessioni « laiche », simili a quella d'una cronista francese: « Dinanzi alla maschera pietrificata di Lenin, il piccolo nomo dagli occhi a mandorla sotto la ponte socratica, che voleva dar juoco ai mondo, non si può jare a meno di pensare che Ampère, scoprendo l'elettricità, ha forse trasformato il mondo più di ÌuÌd. Leggendo sulla Pravda e le Izvestija le quotidiane citazioni di Lenin, usate quali formule per affrontare ogni lotta di potere all'interno del Pcus, torna alla mente quanto già disse Klara Zetkin al VII Plenum del Comintern dinanzi a citazioni analoghe: « ...Mi sono ricordata una storia della scolastica del Medio Evo. Allò domanda di quanti denti ha il cavallo, gli scoliasti no;i rispondevano seni plic eniente: esaminate la bocca del cavallo c contate i suoi denti. No, essi cercavano in Aristotele per sapere quanti denti ha il cavallo ». Ma chi, se non Lenin, rimane ai russi? Il mezzo secolo bolscevico è ormai vuoto d'altri' personaggi, che in un modo o nell'altro non siano stati espulsi dalla storia. Fra i membri dei primi due Politbjurò, Rykov, Zinovcv, Kamencv e Krenstinskij furono epurati e fucilati, Sokolnikov e Bubnov solo epurati, Trotskij fu ucciso da un agente di Stalin, Tomskij si uccise, Stalin fu accusato post mortati e la sua salma venne espulsa nel '62 dal mausoleo. (Kruscev, d'altra parte, non viene più menzionato ufficialmente dall'ottobre 1964). * * Il culto di Marx non esiste in Russia, a paragone con quello di Lenin. Non vi è una città che s'intitoli a Karl Marx. Egli non era russo, c non credeva nella possibilità d'una rivoluzione socialista in Russia. Giudicava una mania di flerr Bakunin l'idea che la Russia avrebbe potuto dirigere un giorno il movimento operaio. Plcchanov, fondatore della scuola marxista russa e già maestro di Lenin, avvertì che se i bolscevichi avessero preso il potere forzando gli eventi sarebbero stati costretti a praticare il despotismo, poiché non si saltano i gradini della storia; previde che con un putsch armato sarebbe sta-, to possibile creare solo un socialismo «da impero degli lncas ». Con l'insurrezione del 7 novembre '17 (25 ottobre secondo il vecchio calendario), Lenin sembrò aver ragione, poiché il putsch non fu difficile nel caos russo dell'epoca; ma a scadenza più lunga risultò vero che la rivoluzione bolscevica comportava il despotismo. Mentre Marx aveva parlato di « classe », Lenin parlava di « partito ». Molto di ciò che ora viene attribuito :i Stalin fu dovuto in effetti a Lenin. Era stato Lenin a dettare le prime norme del «centralismo democratico » nel partito: tutto il potere al vertice. Fu Lenin a consentire' che la Costituente fosse sciolta al Palazzo di Tauride « perché la guardia è stanca ». Fu Lenin che dopo la rivolta dei marinai di Kronstadt ottenne dal X congresso bolscevico quel rigoroso divieto del « frazionismo », al quale s'affidò poi Stalin. Ebbe ragione Radek quando disse: « Votando per questa mozione, sento che potrà ben essere usata contro di noi*. Gran parte di quel che è oggi l'Urss. nel bene e nel male, si deve a Lenin. Fu sua l'idea dello Zar-partito; fu sua la concezione d'uno sviluppo industriale, socialista e dispotico insieme, senza presupposti di tipo « occidentale »; persino i primi lager sovietici nacquero già nel '19 (in seguito il gigantesco «impero della Nkvd» fu un'estensione di tali prove); da Lenin deriva la violenza rituale e super-semplificatoria del linguaggio comunista. Stalin, il « Gcngis Khan che aveva letto Dos Kapital », condusse ogni cosa alle ultime conseguenze, dalle quali s'è tentato poi {li esorcizzare la Russia facendo salvo Lenin. Il rivoluzionario aveva fatto proprio un detto della Rivoluzione francese: « On s'engage. puts on voit ». Dal Palazzo Smolnyj, dov'era insediato il quartier generale bolscevico, Lenin lanciò il 26 ottobre il decreto che prometteva la pace e il 28 ottobre il decreto sulla terra ai contadini: così la rivoluzione partì alla conquista della grande Russia. Oggi questi decreti sono affissi in facsimile sulle mura di Smolnyj. Non c'era la radio, i bolscevichi non potevano servirsi come lo Zar dei pope ortodossi per diffondere le notizie; dunque fu deciso di spedire migliaia di messi speciali, con le copie dei decreti. Ma si correva il rischio che quei soldati mezzi anarchici usassero la preziosa carta per avvolgere tabacco, c così ciascuno di loro fu pure dotato d'un vecchio calendario da usare per farne sigarette. Il problema di Lenin fu poi mantenere gli impegni sulla pace, la terra e il pane, sulla rivoluzione intesa dalle inasse come anarchia contadina. Più tardi egli stesso fu costretto a dire: « Con una mano diamo e con l'altra riprendiamo ». Se la rivoluzione era stata in gran parte semi-anarchica, poi Lenin la dominò con « mano di ferro ». Egli aveva tolleralo la concezione del socialismo come gestione proletaria dell'economia, ma poi disse che il socialismo era semplicemente « capitalismo di Stato». Egli ammise, a fatti compiuti, che non c'era nulla nei manuali bolscevichi in materia di pianificazione; e dinanzi al congresso del '22 arrivò a dire: «7 capitalisti sapevano come si produce, voi non lo sapete ». Dopo aver proclamato la più solenne fiducia nelle masse, combatte lo « spontaneismo » e instaurò una Realpolitik^ che non s'affidava neppure al partito « avanguardia della classe operaia », bensì alla sua élite e allo Stato. Ma questo è il corso inevitabile di molte rivoluzioni.. Alla fine, egli scrisse: «La crudeltà della nostra vita, imposta dalle circostanze, sarà compresa e perdonata. Tutto sarà compreso, tutto1. ». E tuttavia, alla luce dell'esperienza storica, risulta forse più vero il detto di Engels: « Coloro che s'immaginano d'aver fatto una rivoluzione s'accorgono sempre all'indomani che non sapevano ciò che volevano, e che la rivoluzione fatta non ha nulla in comune con quella che volevano fare ». Da Lenin ebbe inizio il veemente sviluppo dell'Urss, a costi umani senza pari e mediante un immenso plusvalore di Stato. Ma a Lenin risalgono anche gli ostacoli che oggi impediscono al l'Urss di pròcedere oltre i dati quantitativi dello sviluppo. « Se lo zarisino — egli disse — ha potuto andine atlanti per secoli grazie a 110 nula aristocratici, proprietari feudali che mantenevano l'ordine ciascuno nella sua provincia, perché io non dovrei durare qualche decina d'unni, con un partito di 130 mila militanti devoti? ». Ma l'oligarchia ideologizzata e violenta che ne derivò fu ancor più esigua, fino a dar vita al despotismo assoluto. Nel '17, milioni di uomini erano in movimento tra i fronti di guerra, le campagne e le città; la Russia era sovraccarica di passioni, odio e illu¬ sioni; l'arretratezza russa era paurosa, il 76,5 per cento della popolazione era analfabeta, come l'India di questi tempi, e il dato aiuta a spiegare perché la rivoluzione generò un ferreo governo d'autorità. Oggi insorge il problema di adattare le strutture politiche agli effetti cumulativi della storia di mezzo secolo. Nel '17, il 18 per cento della popolazione viveva nelle città e l'82 per cento nelle campagne; oggi il 54 per cento vive nelle città e il 46 per cento nelle campagne. Allora il prodotto nazionale russo (almeno secondo le statistiche di Mosca) era pari al 13 per cento di quello americano; oggi è pari al 62 per cento (secondo Mosca) o al 40 per cento (secondo le stime straniere) del prodotto lordo americano. Ma se lo sviluppo, ferreamente imposto attraverso una serie di tragiche tappe forzate, ha modificato le condizioni materiali del mondo russo, le concezioni del potere non sono molto cambiate e rifiutano tuttora il contatto con il mondo esterno. Non solo Trotskij, ma lo stesso Lenin aveva sperato nel dilagare della rivoluzione oltre i confini della Russia. «La maggioranza degli intellettuali dei partito — ricorda C. P. Snow — si mise ad attendere, da un momento all'altro, un po' come i biologi al tempo di Wells, un secondo avvento. Il secondo avvento sarebbe stato la vera rivoluzione, destinata a compiersi in un Paese progredito, con una classe lavorati ice competente e organizzata. Poi questa rivoluzione avrebbe avuto l'effetto marginale di aiutare la Russia a superare il suo livello primitivo... ». Ma in cinquant'anni la rivoluzione, almeno quella di Lenin, non ha fatto grandi progressi in Occidente. Miglior profeta di Lenin sembra essere stato Joseph Schumpeter, che ora l'economista Samuelson immagina nell'aldilà mentre legge la New Yorì{ Revietv of Bookj e osserva: « Ve l'avevo detto. I successi e il razionalismo del capitalismo borghese' daranno vita a un'orda di intellettuali insoddisfatti, per ali mai ture le fiamme delle ostilità verso un sistema efficiente, ma sgradevole, senza ak una mistica che lo protegga ». E nel Terzi) Mondo, più che in Lenin i rivoluzionari sembrano credere in Guevara o Fanon, in un genere di messaggi che « l in sin ette ad una lunghezza d'onda dell'anima umana da non confondersi con le mente ». Eppure il nome di Lenin, in qualche modo, resterà pur sempre associalo — a causa d'una tenace legge semantica — a! nome magico di rivoluzione. E di rivoluzioni ne avremo ancora; si calcola che solo fra il '70 e 1*80, la popolazione del mondo aumenterà più che durante i 1800 anni fra Gesù Cristo e Pasteur, mentre nel 1980 la Cina da sola avrà più abitanti che la Terra intera un secolo fa. Alberto Ronchey