Non è un miracolo
Non è un miracolo Non è un miracolo (Dal nostro inviato speciale) Cagliari, 14 aprile. Speriamo che il mito non violenti la realtà, più bella e più seria di qualsiasi forzatura e interpretazione favolistica. Il Cagliari campione è una « cosa » autentica, che un eccesso di elogi postumi può solamente danneggiare. Gli elogi — questo tipo di elogi — tendono a circoscrivere l'impresa sportiva e sociale del Cagliari come un « fenomeno ». Mentre sia la società sia la squadra costituiscono un bell'esempio di conduzione, di amministrazione, di oculatezza politica, di sagacia e potenza nel gioco. Il Cagliari non è un « fenomeno ». Gioca da almeno tre anni a un livello più che discreto, il cui « tenore alcoolico » è aumentato dalla presenza di uno straordinario campione: da tre anni è una delle poche realtà positive del nostro calcio, quindi del nostro patrimonio collettivo. Non è casuale che lo scudetto '70 premi una squadra del Sud a cent'anni dalla raggiunta unità italiana. Anche l'impresa del Cagliari — studiata, perseguita, calcolata e non fortunosa — dimostra la risalita del Meridione, risalita talora disorganica e non sempre equilibrata ma continua, necessaria. La vittoria del Cagliari è la vittoria di una minoranza, che ora ha persuaso tutta l'isola, ha relegato lontanissime le antiche rivalità e diffidenze comunali, ha agito su un milione e mezzo di abitanti forse più che le leggi dello statuto speciale. Ha spezzato un isolamento antico, ha ridato lustro ufficiale a una dignità che poteva essere solo privata. Il sorriso di Andrea Arrica, vicepresidente e grande manager della squadra sarda, somiglia oggi a quello di una maschera cartaginese ritrovata proprio in Sardegna. Non è un sorriso beffardo, per carità,' e non è nemmeno il sorriso vacuo del trionfatore. E' l'espressione di un uomo che ha visto puntualmente realizzarsi una serie di piani predisposti con intelligenza, sviluppati a livelli diversi da ogni componente dell'equipe sarda, dal medico sociale all'allenatore in seconda, dal guerriero Riva ai tifosi immigrati sul continente, da Scopigno ai consiglieri della società. Lo scudetto è il coronamento clamoroso e indiscutibile di un piano di gruppo, nato nella terra dei nuraghi e dei pastori, e impostosi con «tempi di lavoro» eccellenti. La favola del Cagliari è una immagine che può consolare i tifosi, sia sardi sia di passione diversa. Ma è soltanto un'immagine, appunto, una definizione non realistica. Certo, il mito di Riva ha convocato intorno allo stadio cagliaritano l'attenzione di genti antichissime e tagliate via, ancora oggi, dalla vita moderna: il pastore che ascolta la radiolina sui monti, il latitante che rischia coscientemente l'arresto per applaudire l'ultimo gol di Riva in terra sarda, sono esempi di alta contraddizione, ma non alterano la realtà di un « gruppo » che ha saputo fare, pensare, organizzarsi, vincere, pur dovendo superare difficoltà climatiche e logistiche che nessun altro club italia¬ no si trova davanti nel corso della stagione calcistica. Cosa sarebbe successo se il Cagliari « non » avesse vinto questo campionato? La sua forza di attrazione lo aveva reso simpatico in tutta Italia. Un largo strato di opinione pubblica, sportiva e no, aveva sposato la causa d^i rossoblu sardi come si sposa, in teoria, la causa dei poveri. Anche se la squadra di Marras, Arrica, Scopigno, Riva, è tutt'altro che povera, è quantomeno ricca o povera come tutti gli altri clubs di calcio italiani. Ma i sociologi moderni hanno dimostrato che non è tanto il peso di uno slogan che conta, quanto l'attesa pubblica che dà importanza a questo slogan. Da questa attesa, la parola iniziale ricava slancio per la sua evocatività progressiva. Il Cagliari ha agito come uno slogan benefico. Mentre Gigi Riva diventava — merito suo, sempre — l'uomo più fotografato e intervistato d'Italia, il personaggio predominante anche se fa di tutto per restare se stesso e non assumere le caratteristiche sclerotiche del protagonista da rotocalco, ecco che l'opinione pubblica sposa il Cagliari, lo difende, teme che gli venga sottratta una vittoria maturata per anni. Se un'altra squadra avesse, con la forza delle sue armi sportive, superato il Cagliari, molti non si sarebbero arresi all'evidenza, qualcuno avrebbe gridato allo scandalo. Ha vinto il Cagliari, in bellezza e solitudine, e ha vinto anche l'opinione popolare. Dietro questo scudetto non ci sono drammi, se non sportivi, non ci sono ombre. Il Cagliari « fenomenico » ha concluso il suo ciclo, uscendo dai fumi di un mito superfluo. Dimostrata la sua consistenza, affermata in pieno la sua realtà, oggi è una delle « grandi » del calcio europeo, una ribalta dopo l'altra l'attendono a riconferma delle sue virtù. I rischi del club cominciano oggi, e i dirigenti cagliaritani lo sanno benissimo. Cagliari in questo momento significa molto per il calcio italiano, ma rappresenta anche una difficile eredità da amministrare in futuro. E tuttavia il club, la squadra, e Riva, costituiscono esempi a cui non ci si potrà sottrarre. Esempi di buona volontà e di coraggio, non — per fortuna di tutti — un qualche cosa di miracolistico, quindi di provvisorio. Giovanni Arpino Abbraccio dopo lo scudetlo tra il brasiliano Nené, a sinistra, e Riva. Gigi è il calciatore più popolare d'Italia, un « goleador » nato, un professionista di ferro. Tutti si attendono da lui prove esemplari in Messico (Foto Olympia)
Persone citate: Andrea Arrica, Gigi Riva, Giovanni Arpino, Marras, Riva, Scopigno
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