Porsche, fabbrica all'antica crede soprattutto nelle corse di Michele Fenu

Porsche, fabbrica all'antica crede soprattutto nelle corse Visita agli stabilimenti di Zuffenhausen, a Stoccarda Porsche, fabbrica all'antica crede soprattutto nelle corse « Le competizioni - dicono i dirigenti - sono per noi un'indispensabile esperienza tecnica» - Dai 20 dipendenti del 1950 ai 5800 del 1969 - E' prevista una produzione di 100 modelli al giorno (Dal nostro inviato speciale) Stoccarda. 14 aprile. n II nostro miglior successo — spiega Rico Steinemann, direttore sportivo e delle pubbliche relazioni per la Porsche — sta nel vendere in Italia mille vetture all'anno. Il vostro paese è ricco di Case che costruiscono belle macchine e gli italiani sono abituati a guidar bene e veloce. Vuol dire che le nostre " 911 " piacciono sul serio ». L'Italia, in questo momento, rappresenta per la Porsche il terzo mercato dopo gli Stati Uniti e la Germania Ovest, il secondo come esportazioni. La Porsche, a sua volta, deve la sua /ama da noi, oltre alle indubbie qualità dei suoi modelli, all'esser diventata una delle protagoniste delle competizioni ed ora la grande rivale della Ferrari. E' una rivale fortissima, ma certo non possiede i mezzi di una Ford, e quindi un paragone con la Casa americana è impossibile. La Porsche è una Casa all'antica, almeno come metodi di lavoro, con un centro studi e ricerche modernissimo, che si occupa anche di, problemi che esulano dall'automobilismo e che opera per conto di varie ditte. Del resto, il prò). Ferdinand Porsche, il fondatore della marca, in origine fu un geniale progettista e, come tale, aprì un suo Ufficio Progetti 'nel 1930. Divenne costruttore soltanto nel 1948, allorché, insieme col figlio Ferry, attuale presidente della dr. Ing. h. c. F. Porsche K. G. (c'è anche la Porsche Konslruktionen K. G. di Salisburgo, affidata alla sorella di Ferry Porsche, signora Piech, ma è soltanto un'organizzazione di vendita), fabbricò una vettura cut fu dato il nome di Porsche. Subito dopo, nacgue il coupé in lega leggera « Tipo 356 », che venne prodotto in una serie di 50 esemplari a Gmilnd, in Carlnzia. Nella primavera del 1950, Porsche e ì suoi collaboratori ritornarono a Stoccarda, sistemandosi nel quartiere dt Zuffenhausen, nei pressi della autostrada che collega la città a Monaco. Si continuò la costruzione del « Tipo 356 », con motore 1100 cmc di 40 Cv, la cut carrozzeria venne affidata alla ditta Reutter. Da Zuffenhausen usciva una vettura al giorno e la fabbrica era soprattuto un insieme di baracche di legno, in cui lavoravano 20 uomini. Però, anche se ora la Porsche produce 82 auto al giorno (il 70 per cento nelle versioni coupé, il resto in quelle Targa), con un fatturato di 360 milioni di marchi (oltre 60 miliardi di lire) nel 1969 e 3800 dipendenti, di cui il 60 per cento è formato da stranieri (italiani, greci, turchi, spagnoli, cecoslovacchi), non ha l'aspetto di un lindo laboratorio automatizzato, come forse si potrebbe immaginare. Ci sono 'tre stabilimenti principali. Il « numero uno » (sono indicati così) ospita il servizio assistenza clienti, l'ufficio studi, il reparto ricerche e sviluppo auto da corsa — le due sezioni sono la stessa cosa e costituiscono la parte « top secret » dell'azienda: vi si circola con una foto e autorizzazione appesa alla tuta o all'abito —; il « numero due » è riservato alla produzione e alla consegna dei veicoli e il « tre » al coordinamento dei servizi assistenziali. La Porsche è una fabbrica in evoluzione, con problemi interni di sviluppo non indifferenti. « Non stiamo più nel nostro abito » — affermano ì dirigenti. Steinemann precisa: « In ogni modo, non supereremo la quota delle 100 auto al giorno. Farlo, significherebbe perdere in qualità e prestigio ». Il numero delle presse, per esempio, è insufficiente alle necessità della produzione e gli operai debbono compiere acrobazie per rifornire le catene di montaggio. Da rilevare due fatti: che alla Porsche V80 per cento del lavoro è manuale e il 20 per cento a macchina (alla Volkswagen le percentuali sono capovolte: 96 per cento a macchina e il resto a mano) e che la Casa svolge soprattutto opera d'assemblaggio. Metà delle carrozzerie giungono dalla Karmann, e sempre da fornitori esterni quasi tutti i 28 mila pezzi che compongono una « 911 S ». Naturalmente, quanto arriva a Zuffenhausen è il meglio recepibile in commercio (ad esempio, .gli spinterogeni sono italiani, le barre di torsione giapponesi) e deve rientrare in determinati, severi capitolati. Il montaggio delle parti è accuratissimo, le rifiniture eseguite con pignoleria di stampo teutonico, ì controlli di qualità numerosi. Ogni motore passa al vaglio del banco prova. « Le corse — dica Steinemann, e questo parere è quello di Ferry Porsche — sono state e saranno per noi un'indispensabile esperienza tecnica. Il blocco motore delle " 911 " deriva da quello del " Carrera 6 ", la frizione della " 980 " tre litri viene adottata sui nostri coupé. Abbiamo Imparato come sia possibile ridurre il peso senza diminuire la sicurezza o il confort, anzi aumentandoli. Oggi, la " 911 S " peserebbe 1200 kg e non mille se le competizioni non ci avessero spinto nel campo dei metalli e delle leghe leggeri. Non sospenderemo mai l'attività sportiva, sia per il danno che ne avremmo sul piano pubblicitario sia perché rimarremmo indietro in campo tecnico ». E l'ing. Piech, figlio della proprietaria della Porsche Salisburgo e responsabile tecnico, aggiunge: « Le gare allenano a far presto e bene, a impostare e risolvere certi problemi in poco tempo. Un'esperienza che si può rivelare utile nella produzione di serie se occorre realizzare in pochi mesi un nuovo modello ». E' chiaro che alla Porsche sono entusiasti sostenitori delle corse. Questo è il legame più simpatico e genuino con un altro clan dt appassionati: la Ferrari. E non c'è dubbio che dalla leale lotta fra Zuffenhausen e Maranello si avvantaggerà anche l'automobilista comune. Michele Fenu

Persone citate: Carrera, Ferdinand Porsche, Ferry, Ferry Porsche, Piech, Rico Steinemann