Come festeggiare il XX Settembre?

Come festeggiare il XX Settembre? ROMA ITALIANA CENT'ANNI DOPO Come festeggiare il XX Settembre? (Dal 1949 non è neppure più festa nazionale) Un giorno della primavera del 1967, il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat ricevette in Quirinale il sindaco di Roma, che era Amerigo Pctrucci, il quale si recava a presentargli la nuova Giunta capitolina, da poco insediata. Cerimonie del genere si cominciano con la lettura d'un indirizzo di omaggio al Capo dello Stato, e il sindaco difatti ne lesse uno, molto bello, che Saragat seguì con la giusta attenzione. Poi venne la risposta del Presidente, anch'essa stilizzata, e seguì infine una conversazione più diretta e cor. diale. In quell'occasione, Saragat ricordò di essere stato molti anni consigliere comunale di Roma, e dimostrò di conoscerne bene i problemi essenziali: « Secondo me — disse ad Amerigo Petrucci — lei come sifilitico deve prima ili tutto occuparsi della scuola ». Petrucci sospirò, come se l'esortazione non gli giungesse nuova, e solamente lo sgomentasse la vastità dell'impresa: « Con il continuo aumento della popolazione, sono guai. Ogni mattina clic mi sveglio, il mio primo pensiero e che Roma e intanto cresciuta di altri duecento abitanti, un 73 mila l'anno ». Via le baracche « E poi — continuò Saragat ad incalzare il sindaco — ci sono le baracche da eliminare. Sono un fenomeno indegno, che compromette il livello civile della città. Non è però così vasto né così complesso da non poter essere affrontato e risolto ». Il sindaco e gli assessori, ovviamente, concordarono. Petrucci parlò di investimenti previsti per l'edilizia popolare, di nove miliardi annui in media per il periodo 1967-71, di una commissione incaricata di elaborare proposte per il reperimento degli strumenti tecnici e finanziari occorrenti, ma Saragat preferì sorvolare sulle cifre esibite e sugli espedienti ventilati. Fissò piuttosto l'attenzione sulle date: « Caro sindaco — disse — fra tre anni, nel 1970, saremo al centenario di Roma capitale: modo migliore per celebrarlo non vedo, se non assicurando un alloggio decente a tutti i suoi cittadini. Che non sìa una baracca ». Questo avrebbe dovuto essere, secondo il gusto di Saragat, il programma concreto per celebrare il centenario. Niente discorsi o riti esaltatori, parate o esibizioni provvisorie. Più semplice della torinese « Italia 61 », « Roma 70 » avrebbe dovuto essere un esempio — possibilmente inaugurale — di serietà e concretezza, e dopo cento anni sarebbe stata questa una vera svolta nella storia italiana. Quanto lusinghiera era la prospettiva, tre anni fa, tanto improbabile essa appare oggi, permanendo il costume nazionale di pensare alla scadenza del '70 come a una bella occasione per spendere miliardi in festeggiamenti. Il romano onorevole Giulio Andrcotti ha invitato un gruppo di personalità « di chiara fama », come si dice, ad esprimere idee e suggerimenti, esortandole a pensare a « qualcosa di permanente, di concreto, che serva alla pubblica utilità ». Le risposte che ha avuto non sono tutte in questo spirito. Un grande architetto, per esempio, ha informato di avere già pronto un progetto per un « Centro d'incontro fra i popoli » da costruire a Roma in una zona verde della città, cioè « un insieme di attrezzature per un ritrovo internazionale su un piano di vasti interessi culturali, artistici ed economici, dalla musica allo sport, da un parco archeologico ad un cinema-teatro d'arte, ad una rassegna economica qualificata, e così via, al fine di rendere il complesso variato ed attraente a tutti i suoi livelli ». Un noto senatore democristiano si è detto invece più favorevole ali;, costituzione di «un Centro di cultura slori ca, letteraria, filosofica, sociologica, e in senso generale urna nistiea », e il presidente dell'Accademia di Santa Cecilia ha colto l'occasione per suggerire di « dotare finalmente Ro¬ ma di un degno Auditorium ». Perché anche questo, occorre dire, manca a Roma. Ci sono altri che vogliono o volevano qualcosa come una classica Esposizione Universale da intitolare « Roma 1970 » (« Panorama generale del Progresso ») e chi, più o meno nello stesso senso, propone di « creare un grande quartiere permanente per la già esistente Fiera campionaria di Roma d, sollecitando a questo fine la disponibilità d'una zona di terreno di circa quaranta ettari. C'è chi suggerisce la fondazione di un Centro di medicina preventiva, nel quale « i professionisti più noti della capitale, universitari ed ospedalieri, dovrebbero prestare, sempre gratuitamente, la loro opera ». E' stato anche auspicato un parco pubblico ed archeologico nel comprensorio dell'Appia Antica, ciò che sarebbe una lodevole realizzazione nel quadro del programma bandito da « Italia Nostra » per .quello che si chiama con allarme giustificato « L'Italia da salvare ». *Lc idee più belle o almeno più notevoli non sono tuttavia ancora queste. Un chirurgo di fama preferirebbe difatti una mostra permanente dell'evoluzione della casa in Italia, intesa come casa intima: « Dal tempio etrusco, per esempio, all'atrio romano, dalla sala medioevale al salotto barocco, e poi con una scelta oculata nei riguardi della più spiccata caratteristica della casa romana ai nostri giorni ». Ancora molto meglio, comunque, si trova nella proposta di un industriale: « Personalmente proporrci la costruzione di una gigantesca torre di 200 metri di altezza che, sorgendo nelle aree alberate presso Porta Pia, svettasse fino al punto più alto di Roma. Ascensori potrebbero portare alla sommità, dove la struttura si allargherebbe in un capace osservatorio da dove, oltre alla vista classica della valle del Tevere, da ponte Milvio all'EUR, si spazzerebbe su tutta la città nuova che apparirebbe nella sua completa bellezza. Un faro dovrebbe illuminare la vetta, spingendo il suo raggio luminoso da trenta chilometri di portata fino agli aeroporti di Fiumicino, di Ciampino e dell'Urbe, apparendo anche ai viaggiatori dell'Autostrada del Sole nonché ai naviganti nel mare del Lazio ». Torre ii Babele Non era tutto, ancora. L'industriale, produttore di macchine per le costruzioni edilizie, proponeva difatti ulteriormente: « Ai piedi della torre, cento colonne di travertino formerebbero un cerchio, simboleggiando i cento anni di unità e su ognuna di esse sarebbe scolpito il nome del corrispondente « man of the year », scelto fra gli abitanti della città maggiormente emersi: papi, re, politici, eroi militari e civili, artisti, professionisti celebri ». Di tutte le proposte perve nute, la più semplice fu quella avanzata da un professore di liceo, il quale tr,i l'altro si ricordava di una circostanza che solo apparentemente è banale. A suo giudizio, pur parlandosi molto di celebrare il centenario di Roma capitale, nessuno sembra porre mente al fatto che il XX Settembre, data della sua occupazione, non è più nemmeno lesta nazionale. Dato che tanto ci si esalta a ricordare il centenario, il professore suggeriva candidamente di cominciare a dichiarare « il XX Settembre la nostra maggiore festa nazionale (...) che tutte le altre trascende ». Il XX Settembre, difatti, era un tempo riconosciuto giorno di festività civile e come tale rimase nel calendario dei fasti della patria dal 1871 al 1949, per la durata di settantotto anni. Accadde invece che nel 1949 la deputata democristiana Pia Colini Lombardi, sorella del noto predicatore gesuita padre Riccardo Lombardi, detto anche « il microfo¬ no di Dio », riuscì a far approvare dal Parlamento italiano una leggina che cancellava il XX Settembre dall'elenco delle festività nazionali. Il 1949, come si ricorda, fu annata molto clericale, di esordio democristiano nelfesercizio del potere derivante da una maggioranza assoluta: fu quando Mario Sceiba deprecava la tradizione dell'Italia liberale, dandole il nome di «culturame ». Disse Paolo VI Allora, infatti, il rinnegamento del XX Settembre non destò meraviglia, date le circostanze; ma ora si vorrebbe ripristinarlo, e infatti pende avanti al Parlamento una proposta in questo senso, presentata da alcuni deputati liberali, fra i quali l'onorevole Luigi Barzini, fino dal 1967, l'anno centenario di Mentana. Approvarla oggi non costerebbe nulla (si cita il dato perché i motivi per respingere le savie proposte sono sempre le cosiddette ragioni della spesa) e si renderebbe giustizia a un fatto storico. Non si dovrebbero avere nemmeno eccessivi timori delle reazioni da parte della Santa Sede, se Paolo VI intende osservare i propositi che ebbe ad esprimere quando non era ancora asceso al soglio pontificio. Di lui difatti si ricorda una conferenza in Campidoglio, autunno del 1962, quando era ancora solo cardinale arcivescovo della diocesi di Milano. Venuto a Roma per il Concilio ecumenico, invitato a parlare in Campidoglio, ne trasse l'occasione per riconoscere il buon diritto dell'Italia laica e liberale a rivendicare Roma per se stessa, così come la rivendica la Chiesa per un uguale — e pur diverso — diritto. Disse infatti Montini, assennatamente: « Che Roma italiana sia una realtà storica, concreta e grande, nessuno lo contesta, anzi tutti lo affermiamo senza riserve. La stiamo noi stessi vivendo e celebrando, questa realtà, nel momento presente, mentre stiamo parlando di Roma, sul colle fatidico, il Campidoglio, che di Roma simboleggiò nei secoli la forza e la gloria.... Basti ricordare che il Risorgimento italiano ebbe per mèta di dare al nuovo Stato italiano per capitale Roma. E basti per tutti la voce di Cavour che nel marzo del 1861 affermava con* commozione e con forza, plaudente il primo Parlamento italiano, che nessun altra città fuori di Roma poteva dare alla nazione italiana la pienezza della sua dignità statale. Così fu e così è ». Vittorio Gorresìo (I precedenti articoli dell'inchiesta sono apparsi il 12, 14 18, 21, 27, 29 marzo e il 1«, 7, 9 aprile).