Parigi, l'Indocina e il Medio Oriente
Parigi, l'Indocina e il Medio Oriente Il post-gollismo in Francia Parigi, l'Indocina e il Medio Oriente (Una politica da Grande Potenza senza averne il peso) (Dal nostro corrispondente) Parigi, 8 aprile. Non è passata ancora una settimana dall'iniziativa del governo francese per « un negoziato fra tutte le parti interessate alla guerra d'Indocina, in vista di ricercare e garantire le basi d'una pace indivisibile ». Non è passata ancora una settimana e non se ne parla già più. Nel primo momento, la comunicazione del portavoce di Parigi era stata interpretata come la proposta di una conferenza internazionale, ma non erano ancora passate ventiquattro ore che, di fronte all'accoglienza negativa delle grandi capitali, il ministro degli esteri Maurice Schumann credette opportuna una rettifica: « La nostra dichiarazione parla d'nn negoziato — disse — non parla d'una conferenza ». Anche cosi ridirnensionata, però, l'iniziativa di Parigi era destinata a cadere nel vuoto. « Non bisogna farsi molle illusioni — commentò il giorno stesso " Le Monde " — sulle possibilità di successo della proposta francese ». Essa riecheggia, infatti, sia pure in termini molto più modesti, l'appello che il generale De Gaulle lanciò a Phnom-Penh, nel settembre 1966, per il disimpegno delle potenze che sostengono i due campi nel Vietnam. Non ci furono conseguenze pratiche allora e non potevano esserci neppure ora. Non che, ora come allora, il punto di vista del governo francese non coincida con l'opinione pubblica mondiale, unanime nell'auspicare il ritorno della pace attraverso le trattative. Difetta però alla Francia il peso internazionale per far valere le proprie opinioni su problemi che sono diventati ormai di competenza esclusiva delle superpotenze. Eppure, senza tener conto di questa mancanza di peso, Parigi insiste nei tentativi d'inserimento negli affari mondiali che non la concernono direttamente, nell'Asia sudorientale come nel Medio Oriente, dove tiene in piedi da alcuni anni la proposta d'una conferenza a quattro, che nessuno prende in considerazione. Non tiene conto, il governo francese, che il compito di cui ha raccolto l'orgogliosa eredità dal generale De Gaulle avrebbe potuto venire svolto dall'Europa, se un decennio di politica estera gollista non ne avesse impedito l'unità. L'Europa unita avrebbe potuto avere la dimensione per fare udire la propria voce anche negli affari extracontinentali. Credere che possa farlo da sola la Francia non è altro che la manifestazione d'una politica velleitaria. A che cosa è dovuto, allora, il continuo ripetersi di queste iniziative, destinate in partenza all'insuccesso? Forse è soltanto un accorgimento di politica interna. Si tratta, cioè, di dimostrare al Paese, ostile alle avventure neocolonialiste delle superpotenze, che soltanto il governo francese è dalla parte della pace e della giustizia internazionale. E' una posizione che può rendere, specie nei confronti delle masse popolari, agitate dalla contestazione sociale. É', però, una posizione che contrasta con la vendita sistematica di armi a Paesi che, almeno potenzialmente, partecipano ad avventure belliche o sono sottomessi a minacciose dittature. Che contrasta con la dottrina della non ingerenza negli affari degli altri Stati, spinta dalla Francia fino al rifiuto di associarsi alla condanna del razzismo sudafricano. s. v.
Persone citate: De Gaulle, Maurice Schumann
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