Milano dall'alto appare un'unica colata di cemento

Milano dall'alto appare un'unica colata di cemento Volo per documentare le devastazioni della natura Milano dall'alto appare un'unica colata di cemento Fra la metropoli e le il verde è scomparso città che la circondano non c'è più spazio: - Il fiume Seveso: 34 chilometri di veleni (Nostro servizio particolare) Milano, 8 aprile. Foschia, smog, ciminiere fumiganti, squallidi casermoni allineati uno accanto all'altro come termitai senza una pausa di verde: così è apparsa Milano al gruppo di giornalisti che l'ha sorvolata a bassa quota per circa un'ora a bordo di un Fokker dell'Itavia su invito della Fast (Federazione delle associazioni scientifiche e tecniche). Con questo volo gli organizzatori si proponevano di mostrare da una visuale piuttosto insolita le devastazioni della natura, lo scempio dell'ambiente originario perpetrati in questo dopoguerra nella pianura lombarda e soprattutto negli immediati dintorni di Milano. Quasi una preparazione al convegno internazionale « L'uomo e l'ambiente » che si terrà a Milano il 22 e il 23 aprile alla Fiera campionaria. Le pessime condizioni meteorologiche — nuvole bassissime, pioggia, in certi punti addirittura nevischio — hanno reso obbligatoria una riduzione dell'itinerario: per dare la possibilità agli ospiti di vedere qualcosa il «Fokker» ha dovuto mantenersi a bassissima quota, poco al di sopra dei piloni e delle ciminiere. In fin dei conti, però, le cattive condizioni meteorologiche hanno contribuito al successo dell'iniziativa: sotto il sole, infatti, ogni cosa finisce per acquistare un fascino particolare; pioggia e grigiore, invece, hanno sottolineato la disumanità di Milano e del suo Hinterland. Hanno messo anche maggiormente in rilievo gli scempi e i danni compiuti dai milanesi nella loro, per tanti-versi lodevole, per altri insensata, corsa aljà industrializzazione. Due cose, dall'alto, saltano soprattutto agli occhi: la mancanza di programmazione urbanistica e la bruttezza dell'architettura popolare.. Spinta dal boom industriale e dalla speculazione edilizia, la città in questi venticinque anni si è dilatata a macchia d'olio, senza programmi e senza pause, la gran colata di cemento è andata avanti alla cieca proprio come una colata di lava. Ormai fra Milano, Sesto San Giovanni, Monza non c'è più soluzione di continuità, le ultime chiazze verdi sono scomparse, la « grande Milano » coi suoi tre milioni di abitanti forma un'unica megalopoli asfittica, su cui per duecento giorni l'anno grava — più o meno densa — la solita nuvola di smog. All'estrema periferia, in prossimità dell'aeroporto di Linate o verso il corso del Lambro, si vedono le macchie verdi dei nuovi parchi; ma all'interno di verde non ce n'è, la speculazione edilizia ha divorato tutti gli spazi disponibili compresi quelli che in seguito alle distruzioni belliche avrebbero potuto trovare una diversa sistemazione. E la struttura architettonica delle abitazioni popolari? Neppur l'ombra, a Milano, di quelle casette monofamiliari o bifamiliari, circondate da un modesto giardinetto, che rallietano la periferia di tante città svizzere, tedesche, britanniche; solo parallelepipedi massicci, tetri falansteri, costruiti uno accanto all'altro, senza spazio e senza respiro. Anche a questo proposito recentemente le autorità amministrative hanno compiuto' un brusco mutamento di rotta: abbandonata la politica dei « quartieri-dormitorio » riservati soltanto agli operai, sono ritornate all'antico criterio per cui una città, per essere viva, non deve dividersi in settori riservati a questa o a quella categoria sociale, al contrario deve far convivere nello stesso quartiere operai e impiegati, ricchi e poveri, commercianti e artigiani. Purtroppo quel che è fatto è fatto; gli squallidi quartieri-dormitorio son là, prima che la « nuova politica » possa dare 1 suoi frutti, se pur li darà, dovranno passare decenni. La stessa degenerazione urbanistica e architettonica si riscontra, su scala ridotta, anche nei centri minori, nei paesi con poche migliaia di abitanti. Fino a pochi anni fa la loro struttura era semplicissima: una piazza centrale — chiesa, municipio — attorno alla quale si stringeva un gruppo di vecchie abitazioni. Oggi quei nuclei esistono ancora, ma in questi ultimi anni, invece di dilatarsi armoniosamente nella pianura — lo spazio da queste parti non manca certamente! — sono stati assediati e soffocati da parallelepipedi analoghi a quelli di Milano. E niente alberi, neppure nelle campagne. Torino, non ostante tutto, ha .sempre le sue colline; Firenze ha Fiesole; a Roma qualche sparuto pino marittimo c'è ancora. Nei dintorni di Milano, fatta eccezione per qualche pioppeto ad uso industriale, non c'è un boschetto per chilometri e chilometri; anche la « verde » Brianza è spelacchiata e spoglia; nelle sue valli, sulle sue alture sono spuntate centinaia di fabbriche e fabbrichette che hanno arricchito, sì, la regione, ma l'hanno privata d'ogni suo incanto. Queste fabbriche scaricano i loro velenosi residui chimici nei corsi d'acqua uccidendovi ogni forma di vita. A volo radente abbiamo seguito il corso di quello, fra questi fiumi, che, in fatto di scarichi e di veleni, è diventato famoso in tutto il mondo, tanto da essere citato su testi ecologici francesi ed inglesi: il Seveso. E' un piccolo fiume, lungo solo 34 chilometri, nel quale versano i loro scarichi oltre mille fabbriche. Una trentina ogni mille metri. Cosi accade lo strano fenomeno, di cui appunto parlano i testi di mezzo mondo: quanto più scendono a valle, tanto più le acque del fiume si fanno torbide, schiumose, rossastre, quasi violacee. Ma nello stesso tempo diventano sempre più asettichej sterilizzate. Alle soglie di Milano, nel Seveso, non esiste la benché minima forma di vita. Non solo pesci, pesciolini, insetti, ma neppure i microbi resistono al tasso di inquinamento provocato dalle fabbriche. Le più sterilizzate, le più morte acque del mondo. Gaetano Tumiati

Persone citate: Fast, Foschia, Gaetano Tumiati