Passi "privati,, di Breznev per un'intesa con la Thailandia di Gianfranco Piazzesi

Passi "privati,, di Breznev per un'intesa con la Thailandia Bangkok, roccaforte americana nel Sud Est asiatico Passi "privati,, di Breznev per un'intesa con la Thailandia Il Cremlino sa che i thailandesi temono il disimpegno degli Stati Uniti dall'Estremo Oriente; e vuole impedire che il vuoto di potere sia colmato dalla Cina - A Bangkok, un rovesciamento delle alleanze non sembra impensabile - Intanto nel Paese si combattono ben tre guerriglie (Dal nostro inviato speciale) Bangkok, aprile. La Thailàndia è il solò"paese asiatica che negli ultimi seicento anni non abbia subito la dominazione dello straniero. I trenta milioni di thai non hanno mai conosciuto il colonialismo e neppure hanno dovuto subire quelle prepotenze che, dalla guerra dell'oppio in poi, tanto hanno influito sulla mentalità dei cinesi. Privi di rancori e di complessi, i thai avevano potuto elaborare una polìtica estera che nel contesto asiatico era senz'altro anticonformista. Un piccolo paese è tranquillo soltanto se è garantito da un forte alleato: i thai pensarono che un protettore, più lontano era, meno invadente sarebbe risultato. E perciò avevano cercato riparo sotto l'ombrello americano. Isola di prosperità Owesto politica, condotta senza sbandamenti dalla fine della guerra in poi, ha portato v'.ia Thailandia montagne di dollari, che hanno fatto di Bangkok e dei suoi immediati dintorni una delle poche isole asiatiche dalla relativa prosperità. Ma risulta notevole anche la voce passiva del bilancio: cinquantamila militari americani dislocati in sette basi aeree da cui partono tutti i bombardieri che operano nel Laos e nel Vietnam. E soprattutto tre guerriglie, organizzate e alimentate dai comunisti vietnamiti e cinesi che hanno giurato alla Thailandia odio mortale. I seicento guerriglieri che operano nelle giungle meridionali sono in prevalenza malesi di origine cinese. Nelle montagne settentrionali abitano i « meo », le tribù di coltivatori d'oppio. I « meo » laotiani combattono per conto della Cia, quelli della Thailandia invece sono stati ingaggiati dal governo di Pechino. La guerriglia numero tre è la più seria e in potenza più pericolosa. Nella parte nordorientale dei paese, povera e arretrata, sei anni fa venne costituito un « fronte patriottico » che ha avuto vita difficile, ma che è riuscito a sopravvivere alle repressioni. Circa cinquemila uomini oggi sono disponibili per incursioni e attentati, e tengono impegnato un numero molto maggiore dì forze regolari. I thai avevano scommesso sulla vittoria americana nel Vietnam, che avrebbe fatto del loro paese lo Stato guida del Sud-Est asiatico; oggi invece si domandano se non è arrivato il momento di lottare per la sopravvivenza. Le trattative col Vietnam del Nord a Parigi e la rinuncia di Johnson erano già stati diari colpì alle iniziali illusioni; il discorso che Nixon l'an¬ no scorso pronunciò a Guam ha .suscitato un allarme che rischia dì trasformarsi in panico. E il ministro degli Esteri di Bangkok, Tanat Roman, ha sentito il bisogno di elaborare una « controdottrina » che per gli americani potrebbe risultare fastidiosa. Nixon dice che l'America continuerà a rispettare gli impegni assunti con gli alleati e che tuttavia, per non trovarsi coinvolta in un altro Vietnam, d'ora in poi aiuterà soltanto chi già sa aiutarsi da solo. Se le parole del Presidente vanno interpretate alla lettera, i thailandesi non avanzano obbiezione alcuna; ma il ministro di Bangkok teme che la « dottrina » di Nixon possa risultare soltanto la copertura ideologica di un disimpegno americano dall'Asia, d'un ritorno all'isolazionismo. Quel giorno sarebbe tragico per la Thailandia, o almeno per la sua classe dirigente, e i militari che detengono il potere a Bangkok non intendono aspettarlo impreparati. Nonostante l'odio mortale e le tre guerriglie, Roman non ritiene affatto impossibile un accordo con la Cina comunista. A suo giudizio la politica di Mao in Asia è già passata attraverso tre fasi diverse: il periodo della coesistenza, culminato nella conferenza di Bandung, il periodo dell'aggressività, culminato nell'ai- tacco in India e nel tentativo di colpo di Stato in Indonesia, e il periodo dell'isolamento durante la rivoluzione culturale. La quarta fase è appena incominciata e la politica estera di Mao è ancora fluida. I Paesi asiatici possono certamente influenzarla. Una nuova Bandung? La Thailandia non tratterà direttamente con Pechino «perché Mao ha sempre disdegnato di discutere con i piccoli Paesi »; però se tutte le nazioni asiatiche sì presentassero dinanzi alla Cina, nello stesso tempo, con un fronte unito e con una disposizione d'animo amichevole, Mao potrebbe interessarsi a una nuova Bandung. Secondo Roman « più i benefici della cooperazione regionale diventano dovunque evidenti, più i leaders cinesi potrebbero essere attratti o tentati ad abbandonare la linea dura e l'atteggiamento belligerante a favore d'una più fruttuosa collaborazione tra vicini ». Però Mao resta imprevedibile, e può decidere anche il contrario. Una protezione esterna rimane necessaria: o l'ombrello americano o quello di un'altra grande potenza. Parlando a Washington dinanzi ai giornalisti, Roman ha detto: «L'Unione Sovietica, sia ufficialmente sia in privato, ci ha fatto sapere che è suo interesse mantenere e rafforzare la sicurezza dell'Asia e del Pacifico». Il ministro si riferiva alla proposta d'un patto collettivo di sicurezza in Asia, dalla chiara funzione anticinese, che Breznev avanzò per la prima volta a Mosca nel giugno scorso, durante la riunione dei partiti comunisti. Queste proposte hanno trovato in Asia orecchie più attente di quanto gli occidentali di solito immaginano. « I sovietici — ha infatti aggiunto Roman — sembrano prevedere la partenza dalla scena asiatica delle potenze occidentali e l'insorgenza di un vuoto di potere, che può essere colmato da una grande nazione per il momento contraria ai loro interessi. Il governo di Mosca ci ha fatto sapere che sta prendendo le sue precauzioni e che esse saranno certamente in accordo con gli interessi delle nazioni asiatiche ». Il ministro è stato quasi certamente sincero quando ha affermato che Breznev ha fatto presso il governo di Bangkok dei passi « privati » che non sono dettati da motivi di propaganda, e che perciò risultano molto più importanti dei passi ufficiali. La politica di spregiudicato dinamismo che Breznev sta attuando dovunque — in Europa, nel Medio e nell'Estremo Oriente — lascia pochi dubbi in proposito. La Thailandia, un piccolo Paese di frontiera, non ha tutti i torti se pone Nixon di¬ nanzi a un'alternativa dal sapore ricattatorio, dinanzi a una scelta fra una ferrea protezione e il rovesciamento delle alleanze. Specialmente se può permetterselo. E. a quanto sembra, il regime militare thailandese, che pure tutti i comunisti hanno sempre indicato a emblema di una politica reazionaria, ritiene credìbile il ricatto agli Stati Uniti, e quindi il possibile rovesciamento. A onor del vero, Roman mantiene qualche dubbio su Pechino; invece la spregiudicata libertà di movimento mostrata dai russi gli dà piene garanzie. Come avviene in Europa, anche in Asia Breznev è pronto a inserirsi in ogni gioco, e pur di riempire un vuoto di potere è pronto a elargire amicizia e protezione a tutti i governi disposti ad accettarle. Anche-a quelli che offrivano le basi per bombardare Hanoi. Gianfranco Piazzesi