Come aumenta la potenza russa di Arrigo Levi
Come aumenta la potenza russa Come aumenta la potenza russa (Dal "socialismo in un solo Paese ^ a quello "in un solo Impero,,) (Dal nostro inviato speciale) Londra, aprile. Sulla politica estera sovietica, che i jugoslavi seguono con apprensione dalla loro scomoda posizione di vicinanza, circolano oggi in Occidente due tesi contrapposte. Una tesi, ottimistica, afferma con Nixon che si è aperta una nuova «era del negoziato » dopo l'« era del confronto »; osserva che si sta infatti trattando su problemi fondamentali come la Germania e i missili atomici; sostiene che è diminuito l'impegno sovietico a favore dei movimenti rivoluzionari nel Terzo Mondo. La tesi opposta considera fondamentali e preoccupanti altri fatti: il netto miglioramento della posizione nucleare russa nei confronti dell'America; l'ammodernamento della potenza militare sovietica (sviluppo dei marines, rafforzamento della flotta); la penetrazione militare e politica della Russia nel Mediterraneo e nel Medio Oriente; il consolidamento del dominio sovietico sull'Europa orientale dopo Praga; l'aumentata pressione sulla Jugoslavia e l'accresciuto controllo sui partiti comunisti occidentali. Chi ha dunque ragione? Quali sono i veri fini della politica estera e della strategìa sovietica oggi, nell'era di Breznev? Si lavora, per cercare una risposta, negli uffici studi dei governi e in istituti specializzati come l'Institute of Strategie Studies di Londra. Riferisco, nelle linee essenziali, alcune tesi che qui sono emerse come più plausibili. Che la potenza militare sovietica, in assoluto e in relazione a quella americana, sia molto aumentata, è fuori discussione (esporrò successivamente i dati di fatto, come risultano qui a Londra presso l'Institute of Strategie Studies). E' vero che si è dimostrato illusorio il grande disegno krusceviano del trionfo sovietico nella competizione pacifica ed economica con l'Occidente. Il ritardo economico e tecnologico, denunciato da scienziati come Sacharov, l'insicurezza ideologica che nasce dal conflitto con la Cina e dal policentrismo, la diminuita fiducia nell'infallibilità del partito, le difficoltà con i comunismi nazionali, sono tutti elementi che tendono a limitare le ambizioni globali dell'era krusceviana. La perdita dì una prospettiva universale ha creato una crisi analoga a quella del 1921, quando vennero meno le speranze leniniste nella rivoluzione in Occidente. Emerse allora la teoria staliniana del « socialismo in un solo paese». Oggi si può parlare di una nuova teoria, quella del « socialismo in un solo impero »: tale è la dottrina brezneviana. Il risultato di questa nuova situazione è dunque il ritorno ad una impostazione della politica estera più affine a quella staliniana. La presenza sovietica, che si fa sentire meno in zone lontane, si esercita di più nelle zone contigue. Mosca pensa di meno all'» impero universale », di più all'» impero sovietico ». Ma questo significa anche che c'è una maggiore concentrazione di forze in queste zone contigue, che si estendono oggi al di là della sfera d'influenza staliniana, puramente europea, abbracciando anche il Mediterraneo e il Medio Oriente. In queste regioni il peso politico e militare della potenza sovietica è aumentato. Il concetto di potenza è comunque relativo: la potenza di uno Stato si misura in relazione a quella dei suoi avversari. Ora, non c'è dubbio che vi è stat'a, dal 1962 ad oggi, dal confronto Kennedy-Kruscev a Cuba alla teoria nixoniana del « basso profilo », una diminuzione della potenza americana. Le crisi interne (opposizione al Vietnam, inquietudine dei giovani, proble,ma negro, dissidenza politica) hanno ridotto la misura del consenso nazionale ver¬ so una politica estera impegnata. In un paese democratico, le difficoltà interne producono abitualmente una politica estera più debole. Cosi è accaduto anche negli Stati Uniti. Ci si può chiedere se la perdita di una «prospettiva universale» e le altre difficoltà interne possano produrre un analogo indebolimento della politica estera sovietica. La risposta più plausibile è che un paese non democratico, nel quale la politica estera non dipende dal consenso interno, reagisce a una tale situazione in modo diverso. Anche se si può parlare di una «demoralizzazione competitiva» delle due massime potenze, gli effetti sulla loro politica estera non sono gli stessi. Un potere dittatoriale può infatti reagire alle difficoltà interne cercando il proprio consolidamento in una politica estera più dinamica. Là Russia di Breznev ha reagito limitando i propri obiettivi immediati, ma perseguendoli più attivamente; rafforzando la propria autorità all'interno, attraverso l'intervento in Cecoslovacchia e gli sforzi per disciplinare il movimento comunista; ricercando infine, nel negoziato con Bonn, una legittimazione definitiva dei confini postbellici e dei regimi comunisti. In conclusione, l'effetto combinato dell' aumentata forza militare dell'Urss, del ridotto dinamismo della politica estera americana, della maggiore concentrazione della potenza sovietica nelle « zone contigue » (Europa e Medio Oriente) è che in queste regioni l'equilibrio di forze si è potenzialmente modificato a vantaggio dell'Urss. In larga parte, tuttavia, la maggiore forza della Russia è soltanto un riflesso della maggiore debolezza dei suoi avversari. Avendo raggiunto la parità strategica, i russi riusciranno cioè a modificare l'equilibrio soltanto se potranno approfittare di una situazione locale di superiorità tattica, militare e politica. Per questo lavorano, ma ciò sarà possibile solo se vi sarà una riduzione dell'impegno americano in Europa e Medio Oriente e un indebolimento dell'unità dell'Occidente. Solo in questo caso la nuova politica estera della «contiguità» darà frutti concreti per l'Unione Sovietica. In caso contrario — se la presenza 'americana in Europa rimarrà immutata e se il processo di unificazione dell'Europa occidentale andrà avanti — le linee fondamentali dell'equilibrio potranno essere mantenute. Arrigo Levi
Persone citate: Breznev, Kennedy-kruscev, Nixon, Sacharov
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