Gli automi di Moravia

Gli automi di Moravia Racconti di donne Gli automi di Moravia Alberto Moravia: « Il paradiso », ed. Bompiani, pagine 256, lire 2500. I trentaquattro racconti che Alberto Moravia ha ora riuniti in questo volume, Il paradiso, si riallacciano a quelli di Una cosa è una cosa (1967), sia per il taglio concentrato e svelto da elzeviro (uscirono infatti, primamente, su un quotidiano), sia soprattutto per il filone della tematica cui si informano. Che è quello della « inattualità » dei significati che si sovrappongono alle « cose in sé », della condizione di « oggetto », o di « automa », alla quale verrebbe ridotta, dalla civiltà industriale e consumistica, la persona umana. Un filone intorno a cui il Moravia romanziere — col quale il novelliere procede in parallelo — sta lavorando dal tempo de L'attenzione (1965), anzi de La noia (1960), dato che codesta « inattualità » non è che uno svolgimento del motivo dell'alienazione, dominante, come si sa, in quel romanzo e nei racconti de L'automa (1962). Le cosiddette « svolte » della narrativa di Moravia non sono infatti che « aggiornamenti » o puntualizzazioni della sua tematica di fondo, concernente da un lato il rapporto fra individuo e realtà, fra soggetto e oggetto, e dall'altro l'incomprensione fra - individuo e individuo, la « incomunicabilità » (un motivo, questo, di ascendenza relativistico-pirandellìana, già presente negli Indifferenti). Puntualizzazioni scaturite dalla particolare sensibilità di Moravia ai mutamenti del clima sociale e storico, al vario configurarsi delle ideologie, del gusto, del costume; ma che se portano in primo piano elementi riflessivi, moralistici, satirici, saggistici, non intaccano però l'originaria vocazione narrativa. Ora, in questi nuovi racconti acquista grande rilievo quel senso dell'automatismo che è sempre stato alla base del narrare moraviano, e di quel gusto (derivato dai classici) per l'avventura, l'intreccio o « imbroglio »: al punto da imprimere, spesso, ai suoi personaggi movimenti di marionetta, e al racconto un andamento scenico, da « teatrino del diavolo », di cui Moravia è insieme, o alternativamente, burattinaio, regista, interprete. Perché il suo realismo, critico e dialettico, è intriso di lieviti irrazionali che lo conducono di là dalla mimesi, sino ai confini con il surreale. Tutti i personaggi-marionette de II paradiso (un titolo da intendere in senso antifrastico, di inferno terreno e quotidiano), i suoi protagonisti-automi sono donne: quelle avvenenti ma terribili donne rnoraviane dalla logica spinta all'assurdo e dalle azioni pronte alle conseguenze più paradossali. Esse vengono alla ribalta ad esporre in prima persona, in un tono fra confessione, evocazione e diario parlato, i loro casi, i loro crucci, i loro incubi, le loro visioni oniriche: i quali sono altrettante sfaccettature dell'inattualità del reale, della crisi esistenziale, dello sdoppiamento della personalità o del conflitto fra personaggio e persona. E' una sorta di « passerella » della femminilità tormentata, un coro fatto di tanti assoli, che amici, amanti, mariti, figli parlano solo attraverso le donne nell'intonazione spesso polemica del loro contesto. Donne tutte, o quasi, ricche, della media o alta borghesia, per lo più romana, « Pariolina », che Moravia costantemente ha preso a bersaglio, e che ora investe con le luci incrociate di un moralismo e di un humour parimenti implacabili nel metterne a nudo gli aspetti più ottusi, ridicoli e repellenti. Al punto che, per troppa crudeltà, finiscono talvolta col diventare pietose. Il « teatrino », insomma, celebra qui i suoi fasti: queste donne, sebbene si descrivano, e vantino spesso la propria bellezza, non hanno un volto che le distingua, in quanto sono come le variazioni di un unico personaggio, o meglio le interpretazioni di un'unica attrice o d'un unico burattinaio. Ma la loro serie è troppo lunga perché non si avverta, spesso, un senso di « replica ». C'è sempre stata in Moravia, per qual suo moralismo, una tendenza didattica: ma nell'ultimo decennio, nella Noia e più*' neWAttenzione, con quegli innesti saggistici, è divenuta più insistente, più astratta. Certo nella forma del racconto, a lui molto più congeniale, essa è meno fastidiosa, anche perché qui viene adottato il parlato diretto che ha fatto buona prova in altre occasioni (nei Racconti romani). I migliori esiti van qui cercati in racconti come Un gioco, Festaiola, Non ho tempo. Portacenere, Dritta, nei quali pur entro quei motivi dell'incomunicabilità e dell'inattualità si fa strada, per un residuo d'illusione o di speranza, il desiderio di uscirne, di superarle. L'immaginazione di Moravia vi attinge zone più profonde e la parola, icasticamente narrativa, lucidamente razionale, ha una sua lirica trepidazione. Arnaldo Bocelli

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