Tutta l'Indocina come il Vietnam? di Gianfranco Piazzesi

Tutta l'Indocina come il Vietnam? Da Hongkong una visione d'insieme Tutta l'Indocina come il Vietnam? (Dal nostro inviato speciale) Hongkong, 27 marzo. La guerra del Vietnam rischia di diventare la guerra d'Indocina: la situazione politica si fa ogni giorno più intricata ed ambigua. La visione d'insieme, dall'osservatorio di Hongkong, non è rassicurante e si fa strada un convincimento amaro: siamo dinanzi a due crisi tanto pericolose quanto inutili. I comunisti avanzano nel Laos, ma difficilmente i loro successi militari influiranno sull'andamento della guerra. Il Laos è un paese grande quasi come l'Italia, ma che ha appena due milioni di abitanti, il 90 Vo dei quali sono analfabeti. Se il Laos scivola nel campo comunista, non per questo l'equilibrio delle forze nel Sud-Est asiatico sarà sostanzialmente alterato. La sua importanza è strategica e sessantamila vietnamiti del Nord vi combattono soprattutto per garantire la sicurezza della pista di Ho Chi Minh, che ogni giorno viene percorsa dai camion destinati a rifornire le truppe combattenti nel Vietnam del Sud. A Hongkong si ritiene che i comunisti laotiani, appoggiati dai vietnamiti, abbiano scatenato l'offensiva non per impadronirsi di tutto il paese, bensì nella speranza di far cessare i bombardamenti aerei americani lungo la pista di Ho Chi Minh. Il loro piano è semplice: forti pressioni militari e generose concessioni sul piano politico. Unica condizione all'inizio delle trattative: la fine degli attacchi aerei. Suvanna Phuma, primo ministro laotiano, potrebbe anche finire per cedere, ma gli americani comunque non gli darebbero ascolto. La partenza di altre truppe Usa dal Vietnam è infatti subordinata anche alla continua interruzione delle linee di rifornimento nemiche. I sette milioni di kmeri che abitano il Cambogia non sono molto diversi dai due milioni di laotiani. Questo popolo, pigro e mansueto, avrebbe continuato a vivere in una specie di paradiso terrestre se i bellicosi vicini non .avessero scoperto l'importanza strategica del suo territorio. E dal Cambogia ormai passa un'importante via di rifornimento alle truppe che combattono gli americani nel delta del Tonchinò. Almeno fino alla settimana scorsa, le navi comuniste attraccavano al porto di Sihanoukville: di lì viveri e munizioni giungevano a destinazione attraverso una strada in mezzo alla giungla. Inoltre il Cambogia è un « santuario »: almeno quarantamila fra vietcong e nord-vietnamiti vi si riposano dalle fatiche della guerra, al riparo dalle offese nemiche. La deposizione di Sihanuk, un neutralista che aveva permesso tutto ai comunisti, dovrebbe aver posto i vietnamiti e i vietcong in una posizione difficile. Tuttavia più i giorni passano, più ci accorgiamo d'essere dinanzi a un successo certamente vistoso, ma non altrettanto risolutivo. I nuovi governanti di Phnom Penh si sono liberati facilmente d'un principe dispotico e capriccioso; occorre invece ben altro per mandare a casa gli uomini del generale Giap. Con tutta probabilità, le bombe di Nixon continueranno a grandinare sulla pista di Ho Chi Minh e i vietcong continueranno a violare a loro piacere i confini del Cambogia. I termini in cui s'è incancrenita la guerra del Vietnam sono difficilmente mutabili. Sotto questo aspetto, le due crisi non appaiono minacciose: l'attuale equilibrio delle forze in campo non dovrebbe risultare radicalmente alterato. Il pericolo vero sta altrove. A Hongkong ci si domanda se i vicini del Laos e del Cambogia riusciranno a controllare la situazione e soprattutto i loro impulsi. Nel Laos non si può escludere un intervento in forze dell'esercito thailandese, qualora Vientiane fosse davvero in pericolo. Questa città sorge infatti lungo il fiume Me- kong, che segna il confine con la Thailandia, e il governo di Bangkok guarda con sincero allarme a un esercito comunista filocinese schierato lungo le proprie frontiere. Sono pochi, a Hongkong, coloro che attribuiscono alla regìa americana la deposizione di Sihanuk: sono molti invece quelli che temono che gli Stati Uniti non rimarranno indifferenti alla nuova situazione. Già tremila «kmeri rossi», di obbedienza cinese, molestavano Sihanuk ogni volta che il principe osava assumere una posizione d'indipendenza rispetto ad Hanoi e a Pechino; se ora vietnamiti e cinesi aiutassero per davvero questo piccolo « esercito di liberazione», s'avrebbe una serie di reazioni a catena fino all'estensione del conflitto. L'andaménto di queste crisi dipenderà, in massima parte, dai criteri di valutazione adottati dalle maggiori potenze. Chi attribuisce grande importanza agli aspetti militari .del conflitto può scorgere nella battaglia di Vientiane, come nella congiura di Phnom Penh, grossi pericoli e nuove opportunità; chi invece ritiene che la guerra del Vietnam si presti soltanto a soluzioni negoziate dovrebbe ricordare che il traguardo della pace si fa più lontano ogni volta che s'allarga l'area di un conflitto. Tutto lascia credere che gli americani abbiano rinunciato da tempo alla vittoria militare: il loro comportamento in questa occasione dovrebbe confermarlo. E speriamo che in questa crisi un uguale senso di responsabilità venga mostrato anche dai vietnamiti del Nord e dai cinesi. Gianfranco Piazzesi

Persone citate: Nixon