Alle porte del nostro cinema tornano a pascolare le pecore di Liliana Madeo

Alle porte del nostro cinema tornano a pascolare le pecore LA CRISI C'È: QUALI LE CAUSE? Alle porte del nostro cinema tornano a pascolare le pecore (Nostro servizio particolare) Roma, 25 marzo. Davanti agli stabilimenti di Dino De Laurentiis, nella campagna pontina, sono giunte a pascolare le pecore. Negli studi di Cinecittà, sulle pareti, si sta formando uno strato di muschio e muffa La De Paolis ha ceduto il suo terreno come area edificabilc. La Incom sembra destinata a trasformarsi in una grossa autorimessa. La Safa Palatina dovrebbe essere utilizzata come deposito della casa editrice Rizzoli. Nei villaggi western costruiti alla Elios, ora deserti, le porte dei saloons sbattono tristemente. Negli ultimi tre mesi, rispetto al 1969, la contrazione degli investimenti è del 40 V i film messi in cantiere sono diminuiti di quaranta; fra le file dei lavoratori cresce la paura della disoccupazione; l'immobilismo finanziario di molte aziende di produzione e noleggio e quasi totale. Sulla crisi del nostro cinema non ci sono più dubbi. Da varie parti, anzi, si dice che esso è condannato a morte sicura. Le cause di questa situa zione non sono un mistero: mancanza di idee, vertiginoso aumento dei costi, arretratezza delle strutture, flessione negli investimenti del capitale americano. La stanchezza delle idee coincide con l'esaurimento dei due generi che i nostri produttori avevano sfruttato negli anni scorsi fino alla nausea e all'estremo scadimento del prodotto: il western e l'erotico. « Oggi nessuno sa cosa il pubblico voglia ». dice Franco Cristaldi. Si prò cede per ipotesi, tentativi, proposte. Ma non si voglio¬ no correre rischi. Sbagliare un film, per molti produttori, può significare il crollo I costi, infatti, sono saliti alle stelle, mentre è diminuita la domanda di mercato e si sono fatti difficili i crediti. Fino a qualche anno fa il costo medio di un film era sui duecento milioni, e per il settanta-novanta per cento il mercato interno copriva le spese: lo sfruttamento all'estero rappresentava l'utile netto. Ma quando abbiamo voluto guadagnare di più e presentarci sui mercati stranieri con opere create apposta per il gusto e le tendenze di quegli spettatori, abbiamo perso la tipicità del prodotto: l'apporto dei capitali americani ha coinciso con l'inserim^nto di stars americane nelle nostre pellicole e la trattazione di temi estranei alla nostra realtà. Così si sono scontentati gli spettatori italiani e quelli stranieri, e si sono inflazionati paurosamente i costi. Oggi un film medio, senza grandi attori, costa circa mezzo mi liardo di lire, cui vanno aggiunti gl'interessi passivi, le spese di lancio pubblicitario e delle copie. Gl'incassi, per ripagare il produttore del rischio e dell'impegno finanziario, dovrebbero toccare i due miliardi. Aa pochissimi film raggiungono queste cifre: negli ultimi anni, Per un pugno di dollari C64), Matrimonio all'italiana C64), Per qualche dollaro in più C65), La Bib bia C66), Il buono il brutto il cattivo C66), Il medico del la mutua C68), Serafino C68) Grazie agli accordi finanziari e produttivi che strin geva con i capitali americani, il nostro cinema irrobustiva le sue dimensioni e por¬ tava il suo giro d'affari a livello internazionale. Non riusciva, però, a darsi là solidità d'impianto d'una vera industria. Le leggi rimanevano arretrate. I rapporti finanziari con lo Stato, di tipo paternalistico-protettivo. Imperfetto, a nostro svantaggio, il meccanismo delle vendite all'estero. Pericolosa la sopravvivenza d'un istituto come la censura. Complicato e malvisto il sistema della tassazione, dei ristorni e dei premi governativi. Organizzato secondo il mercantilismo più basso il sistema distributivo, che manca di circuiti alternativi a quelli commerciali per ospitare le opere interessanti di registi stranieri (o non vengono acquistate o vengono distribuite malamente travisate) o di giovani registi italiani (che difficilmente vengono proiettate, tanto che si dà il caso di film che hanno avuto « il premio di qualità » senza che il pubblico li abbia mai visti). Confuse e spes so contraddittorie rimanevano le iniziative cinematografiche statali, per cui l'Italnoleg gio — da cui ci si sarebbe dovuti aspettare incoraggiamento per ie opere non « commerciali » — distribuisce La pecora nera e rifiuta Uomini contro di Rosi. Ambiguo e sempre più servile si faceva l'atteggiamento dei nostri produttori verso i capitali americani, tanto che si poteva parlare di « colonizzazione » del cinema italiano, senza che questo suonasse a scandalo. Ora, in tutti i Paesi del mondo il cinema attraversa una fase di crisi: ma è la crisi della cinematografia americana che più duramente si ripercuote su di noi. Liliana Madeo

Persone citate: De Paolis, Dino De Laurentiis, Franco Cristaldi, Rosi, Serafino C68

Luoghi citati: Roma