I fascisti alla Sorbona

I fascisti alla Sorbona LE VIOLENZE NELLE UNIVERSITÀ' DI PARIGI I fascisti alla Sorbona Sono pochi, ma pericolosi, organizzati in bande armate - Hanno il culto della violenza, sono nostalgici di Mussolini e pensano alle «riforme» della repubblica di Salò - Ottengono l'appoggio aperto degli ambienti più reazionari, che tendono ad utilizzarli come poliziotti, capaci di tenere lontani i «gauchistes» (Dal nostro inviato speciale) Panivi, 23 marzo. « I giovani fascisti romani sono veramente forti. Come tengono il campo all'Università, come picchiano sodo. Credevamo di essere duri a Parigi, ma i vostri ci battono, li ho visti in azione. A Roma sono fortunati.: Giovane Italia, Fuan, Msi, altro che noi a Parigi ». Tanta ammirazione per i fascisti nostrani scaturisce dall'eloquio torrenziale di Francois Duprat, ispiratore e guida dei gruppi studenteschi di estrema destra. Agitato, volto pallido da asceta che può diventare crudele, gli occhi un po' discordi, Duprat tiene banco nello scantinato di un caffè sotto rue d'Assas, a due passi dal modernissimo palazzo che è sede della Facoltà di legge, dominata dai fascisti. Mussolini e Mao Due bidelli anziani avevano controllato i miei documenti all'ingresso, avvisando poi, per telefono, i capi del « Gud (Groupe union droit). Uno, altissimo, fisico eccezionale, mi aveva accompagnato nel caffè per l'incontro nascosto; fiero del suo elmo nero sotto braccio, stretto alla borsa di pelle colma di arnesi da battaglia. « I ritratti dì Mussolini? E' vero, li portiamo in giro, non per nostalgia, ma per opporre un nostro simbolo ai ritratti di Mao ». Sprovvista di eroi e di miti attuali, la destra giovanile francese adotta idoli altrui, anche se scoloriti (perfino Primo De Rivera, ricordato da pochi come fondatore della Falange spagnola, e lo scrittore Brasillach fucilato alla liberazione). Prospera a rue d'Assas col favore di un ambiente sociale reazionario per tradizione, tendente a utilizzare i fascisti come poliziotti interni, capaci di tener lontani i gauchistes e di garantire lo svolgimento dei corsi e degli esami. Duprat e i suoi mi dicono con orgoglio: « Rue d'Assas è casa nostra. Neppure nel maggio '68 la sinistra riusci a scacciarci dalla Facoltà di diritto ». Sono organizzati in piccole bande armate; rifiutano la definizione di fascisti come nostalgici. Parlano di un'ideologia confusa che dicono « sperimentale », antimarxista e vagamente anticapitalista, nel fondo alimentata da Nietzsche e da un'oscura rivolta morale contro la storia. « Pensiamo alle riforme e alle nazionalizzazioni della repubblica di Salò. Non per altri motivi ci ispiriamo a Mussolini ». Preferiscono le distorsioni astratte alla conoscenza della realtà tragica di quel tempo. La discussione è impossibile. I quattro più giovani mi guardano perplessi, ma Duprat li rincuora incalza, straripa con i discorsi e con le braccia, travolgendo un bicchiere di birra: « Francia nazionalista in una Europa autoritaria, questo è il nostro traguardo ». « Si ripete che siamo manganellatori e niente altro Non è vero, noi stiamo cercando di precisare la nostra ideologia », riesce a dire il giovane atleta col casco ne ro.( E' addetto agli scontri cori i gauchistes di Nanterre; ne parla con una voluttà della violenza e della distru zione che ricorda certe premesse dannunziane dello squadrismo. « A maggio scoppierà tutto, e noi dovremo rompere le teste degli altri prima che le rompano a noi. Tutti i gruppi universitari hanno le loro bande. Ma l'armamento non è più quello di due anni fa. Manganelli e catene oggi sono roba da bambini. Coltelli come si deve, bombe molotov, granate, mazze di ferro ». Alla reale pericolosità di questi esaltati, contrapposti ai supergauchistes che facilmente cadono nel delitto comune (a Nanterre alcune aggressioni ne avevano tutto il carattere), si somma la loro retorica da legionari, « six pieds sous terre, une balle dans la lète ». L'estremismo di destra ama i teschi. Svastiche nere Quanti sono? « Pochi » ammette Duprat, e mi fa un quadro della destra all'Università di Parigi: «Duecento militanti nel nostro Gud, poche decine nel Mjr (Mouvement jeune revolution). Ordre nouveau non è un movimento di studenti. I monarchici di Action francaise qui non sono più di quindici o venti. Però alle elezioni interne molti simpatizzano per noi; abbiamo avuto 1200 voti su 6000, a rue d'Assas». Sono gruppi d'azione, non forze politiche. Uniti dall'anticomunismo e dal gusto della violenza, hanno scarsi legami con i resti della destra francese, che nel '65 sembrava "I-accolta a sostegno di Tixier - Vignancour, candidato antigollista poi passato con Pompidou. Non parlano dell'Oas, né di Bidault o di Soustelle. Sono divisi e incerti. Le svastiche nere sui muri, i manifesti arancione « Monarchia, speranza della Francia », appaiono come espressioni episodiche, deliranti e isolate. Alla Sorbona prevalgono i moderati e le sinistre che rifiutano la violenza della gauche prolétarienne, dominatrice a Nanterre. Forte presenza delle sinistre, con punte di Mao-spontex, al Centre Censier, la succursale della Sorbona che sta ingigantendo i suoi edifici e le sue torri. Moderati e sinistre a Medicina e a Scienze. Comunisti in lotta con i gauchistes a Vincennes, dove il governo costruì in fretta, dopo il maggio '68, una sede modernissima per l'università sperimentale. Si è ammessi senza diploma e senza esami; il partito comunista e la Cgt hanno iscritto più di 1500 operai, per contrapporli ai gauchistes scatenati col motto « Sciopero e incendio degli edifici ». Si ha, netta, l'impressione di uno schieramento di forze, con vere e proprie cittadelle. In poche il culto della violenza si sostituisce alle stesse aspirazioni rivoluzionarie dei giovani. Ma l'Università francese, ancor oggi, riesce ad essere espressione e stimolo della gioventù che mette in causa l'intera società, senza necessariamente trasformarsi in una arena per scontri di « bravi ». Il maggio '68 Lo dimostra la Sorbona, a due passi dalla Facoltà di rue d'Assas guardata dai fascisti. Il .classico tempio degli studi superiori di Lettere e di Scienze ha l'aspetto disteso e tranquillo, benché fra i suoi 40 mila iscritti siano numerosissimi gli appartenenti ai gruppi della sinistra rivoluzionaria (po- chi, però, quelli della gauche prolétarienne). Entro nel cortile Richelieu, silenzioso e pulito. Qualche coppia di studenti abbracciati sotto le statue di Victor Hugo e di Louis Pasteur, riferimenti delle battaglie del 3 maggio 1968. Salgo alla biblioteca per lo scalone di marmo. Ancora silenzio e ordine; i ragazzi versano nell'apposito cestino pezzi di carta e mozziconi di sigarette, fanno vedere la tessera ai due bidelli, in grembiule nero, che vigilano all'interno del salone di studio, affollatissimo. « Qui c'è un'aria diversa. Si lavora, corsi ed esami regolari. Eppure fra gli studenti la gamma delle opinioni è vasta, e tutti noi siamo gli stessi delle manifestazioni. Non siamo affatto spettatori, passivi. Però qui si fa politica in un altro modo, almeno fino alla vigilia dei grandi scoppi. Quando deve saltare tutto, salta anche la Sorbona », mi dice uno stu- dente del terzo anno di Lettere, parlando sottovoce per non turbare la quiete della biblioteca. Mi affaccio in una delle aule più grandi, ì'Amphithéàtre Turgot, al piano terreno. Una sala vastissima, con la parete di fondo affrescata, i banchi disposti a semicerchio. Là in basso, sotto una lavagna, il professore sta facendOylezione. Parla di Napoleone. Una sua battuta di spirito è accolta con educate risatine dagli studenti, una ventina. C'è poca luce, l'aria ha odore di chiuso, come a scuola. Sulla porta un piccolo I segno di presenze contestatrici: un foglietto autoadesivo con l'insegna dell'Une/. Nell'atrio, ordinatamente affissi ai pannelli appositi, i manifesti deWUnef, della Lega comunista trotzkista di Alain Krivine. « Qui i fascisti non si fanno vivi », mi dice una ragazza. « Per l'as- \ salto al vecchio mondo unitevi nella Quarta ìnternazio naie », esorta un cartello all'ingresso del cortile Richelieu. le «frange folli)) Nella tolleranza si potrebbe pensare a parziali successi della grande riforma approvata dopo il maggio '68, su proposta del ministro Edgar Faure. Ma non è così. L'opposizione si è indurita anche fra gli aderenti ai gruppi privi di manganelli e di caschi. La legge Faure, per molti aspetti avanzata, richiede per prima cosa la partecipazione degli studenti all'autogoverno delle Università, del tutto autonome. A sinistra i comunisti sono praticamente soli nel partecipare alle elezioni per i consigli di gestione: gli altri, compresi i non violenti, si uniscono nel rifiuto. « L'Università non è un organismo neutro nel sistema capitalista. Serve a perfezionarlo, dispensando una cultura appropriata. Per questo motivo noi rifiutiamo di farci integrare e rifiutiamo la cogestione », mi dice Petijean alla sede dell'Une/, negli stanzoni poveri e invasi di carte, al numero 15 di rue Soufflot, due passi dalla Sorbona. Forse non ci sarà bisogno di una polizia universitaria, probabile esca per nuovi disordini, per tenere a bada le « frange folli » (la definizione è del dimissionario preside di Nanterre, Ricoeur). Ma al ministro dell'Educazione Olivier Guichard si affaccia un interrogativo più serio: come ristrutturare l'Università francese senza il consenso delle minoranze più attive, decise a combattere la riforma «perfezionamento del sistema ». Mario Fazio Parigi. Una dimostrazione di studenti davanti all'Università di Nanterre (Teleloto « Ansa »)