Blasetti "inviato" nella Napoli 1860 di Ugo Buzzolan

Blasetti "inviato" nella Napoli 1860 CRONACA DELLA TELEVISIONE Blasetti "inviato" nella Napoli 1860 Il regista ha compiuto un'inchiesta storico giornalistica sulla caduta dei Borboni - Stasera un dramma sugli ebrei di Varsavia S'è concluso con la seconda parte trasmessa domenica il programma di Alessandro Blasetti « Napoli 1860 »: un programma che al di là degli elogi e delle critiche inerita un certo discorso. Siamo in pieno periodo di stretti rapporti tra cinema e televisione: è un fenomeno che da queste colonne abbiamo segnalato sin dal suo primo apparire, e che ora si consolida e si estende sempre più. Da una parte si sono rivolti al piccolo schermo registi come Rossellini, come Renoir, come Lizzani, Castellani, Franco Rossi, come l'ungherese Jancso, autore de « L'armata a cavallo »; dall'altra stanno tentando vie nuove, sul piano della produzione sperimentale e comunque impegnata sotto ogni punto di vista, i varii Bertolucci, Bellocchio, Straub, Olmi eccetera. E' un momento di grossi progetti, di grosse attività ed è anche un momento delicato, in cui ì registi si trovano a dover affrontare una quantità enorme di problemi che riguardarlo sia la tecnica sia i contenuti. Prendiamo, appunto, Blasetti. I giudizi su Blasetti possono essere disparati: ma non si può negare, assolutamente, che chi ha firmato « 1860 » e « La corona di ferro », « Quattro passi fra le nuvole » e « Prima comunione » occupi un posto importante nel cinema italiano. Blasetti è una « gloria », è un uomo che ora ha settant'anni, e quindi è doppiamente interessante vedere come ha « voluto » accostarsi alla tv (precedentemente aveva realizzato il documentario « Lunga strada del ritorno », molto ben riuscito, e l'allestimento — questo, al contrario, fiacco e anonimo — di una brutta commedia spagnola). « Napoli 1860 ». Blasetti ha compiuto, circa il soggetto, una specie di sentimentale salto all'indietro di quasi un quarantennio e s'è riallacciato al tema dell'indimenticabile « 1860 » che ha ricordato persino nel titolo. Ma i sentimentalismi, diremmo, sono finiti qui: da artista intelligente e astuto com'è sempre stato, Blasetti non ha assurdamente ripetuto se stesso e s'è adattato con prontezza alla dimensione televisiva. Lo spettatore che s'e piazzato davanti all'apparecchio convinto di assistere ad un film o, peggio, ad un romanzo storico in due puntate, era in errore e dev'essere rimasto deluso abbastanza profondamente. « Napoli 1860 » non era né un film né un romanzo, bensì un'inchiesta che tendeva a illustrare le cause e le circostanze della caduta e della fuga degli ultimi Borboni da Napoli: un'inchiesta che si fondava su una struttura tipicamente televisiva, composta di scene recitate, di spezzoni cinematografici tratti da pellicole (« 1860 » e « Viva l'Italia » di Rossellini), e di un commentatore fuori campo che a volte interveniva per rivolgere, secondo l'uso della moderna intervista, domande ai personaggi. Forte della sua esperienza, Blasetti ha saputo amalgamare i diversi elementi ed ha saputo soprattutto tener fede al suo proposito di inchiesta giocando con maestria su una serie di incontri e colloqui che probabilmente in mano ad un regista meno dotato avrebbero finito coll'ingenerare un senso di stanchezza se non addirittura di noia. Invece con quanta abilità egli ha impostato gli attori, e valga per tutti il re Franceschìello interpretato da Bruno Cirino: un re debole, smarrito, torturato dall'indecisione, sopraffatto dagli avvenimenti che non capisce, ma non una marionetta indecorosa e risibile, non un fantoccio da drammone d'arena: il Franceschiello di Blasetti è un uomo vero e vivo e, anche esteriormente, quel suo dialetto fiorito, quei suoi pittoreschi modi di dire partenopei gli conferiscono una concreta umanità. A Blusetti muoviamo due appunti: uno su questa seconda parte, e precisamente sull'inaspettata loquacità e teatralità della sequenza del congedo dei sovrani, veramente priva di pathos interno: e uno in generale, sui limiti dell'inchiesta che affrontando la fine del regno borbonico ha preferito procedere per vertici e non occuparsi della base: ossia in primo piano stanno solo i capi, i potenti, i ministri, gli emissari piemontesi (che da buoni monarchici sperano che il repubblicano Garibaldi non avanzi troppo in fretta: e sono annotazioni rapide e gustose), ma non c'è mai il popolo che pure è coinvolto nella tragedia e partecipa attivamente e tumultuosamente allo sgxetolamento di un sistema; del popolo si perla, ma con il popolo non c'è alcun contatto diretto, e ciò ha rischiato di trasformare agli occhi del pub¬ brltcsckrltLnlpelMcdc blico meno attento, un terremoto collettivo come quello del 1860 nella crisi mortale di un singolo e di una casta. * * Ieri sera il pezzo forte è stato il film « L'uomo di Alcatraz» (1962) di John Frankenheimer di cui si può dire, a distanza di anni, che l'unica nota realmente positiva è la prestazione dì Burt Lancaster. Sul « secondo », nella rubrica « Stasera parliamo di... » si è discusso sui problemi dei giornali di oggi e di domani. * * Stasera sul canale nazionale segnaliamo « Il muro » di Millard Lampell, che rievocherò, lo sterminio, ad opera dei nazisti, degli ebrei rinchiusi nel ghetto di Varsavia. Ugo Buzzolan

Luoghi citati: Italia, Napoli, Varsavia