La tragica ballata di Antonio das Mortes
La tragica ballata di Antonio das Mortes LE PRIME SULLO SCHERMO La tragica ballata di Antonio das Mortes (Centrale d'Essai) - In Antonio das Mortes del regista brasiliano Glauber Rochas, capofila del «Cinema Novo», lirismo grazia e musicalità sono raggiunti attraverso timbri di selvaggia violenza. Continuazione del precedente, e assai notevole, Il dio e il diavolo nella terra del sole, esso ripresenta quello stesso Antonio che già vedemmo, in veste di prezzolato restauratore dell'ordine, infierire sui rivoltosi del desolato Nordeste brasiliano. Non bene spenta la rivolta, il tetro ammantellato killer è nuovamente chiamato in causa: gli si chiede, da un proprietario terriero, cieco e cornuto, di schiacciare una comunità di contadini affamati, il cui misticismo, esaltato dai vaticini d'una « santona » e dalla presenza del bandito Coirana, continuatore della tradizione anarchica dei Lampiao e dei Corisco, ha assunto aspetti pericolosi. Ma Antonio non è più quello di una volta. Egli va all'impresa col cuore gonfio di rimorsi, e dopo avere mortaimente ferito, in duello leale, il « cangaceiro », scioglie quei rimorsi schierandosi coi disgraziati abitatori del « sertao », cui sembra esser negato, secondo una canzone popolare, anche l'inferno; e in un finale al calor bianco, guida i ribelli allo sterminio dei loro rapaci sfruttatori. Ma questa semplicissima trama spiega ben poco di un film che s'invera tutto quanto nello stile, nei toni e nelle cadenze d'un « mistero » surrealistico, lìtaniato da un cantastorie, dove le singole figure (Antonio, la « santa », il bandito, il proprietario, l'adultera, il negro ecc.) simboleggiano i diversi aspetti d'una disperazione sociale che non ha ancora trovato il suo esito rivoluzionario. Anche nelle poche pause dell'azione, il lavoro è pervaso da un pathos energico, trascinatore, che butta all'aria le premesse politiche e fa passare ogni voglia di discuterle. Si tratta, è vero, d'una furibonderia che viene dal freddo, cioè di stampo intellettualistico e barocco; ma non per questo la sua resa totale è meno calda sullo schermo. Insistenze ed eccessi (di sangue soprattutto) fanno parte dell'ispirazione, e non sono veramente tali che per la visione ristretta dei morigerati; sicché ha ragione Rocha di lagnarsi che l'edizione italiana, con qualche taglio e ritocco nei dialoghi e nel montaggio, abbia danneggiato l'integralità artistica dell'opera, quale apparve a Cannes. Ma il fervore dei quadri, il lirismo di certe situazioni, la crisi psicologica del protagonista, l'agilità delle modulazioni interne, l'uso funzionale e perciò irrazionale del colore, tutto questo resta intatto e fa di Antonio das Mortes (nonostante la dirninutio che inevitabilmente gli viene dal venire dopo « Il dio e il diavolo ») un film ben singolare, una furiosa corrusca « fantasia » evaporata dalla terra più desolata del Brasile. 1. p.
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