Il Giappone celebra con l'Expo '70 il più grande "boom" della storia * di Paolo Garimberti

Il Giappone celebra con l'Expo '70 il più grande "boom" della storia * L'inaugura stamane a Osaka l'imperatore Hirohito Il Giappone celebra con l'Expo '70 il più grande "boom" della storia * E' costata 800 miliardi di lire e attende 50 milioni di visitatori - In essa il Paese dispiega agli occhi del mondo la potenza di un'economia che è inferiore solo a quelle degli Stati Uniti e dell'Urss - E gli esperti prevedono che il XXI sarà il secolo del Giappone - La formula del «miracolo»: 100 milioni di persone al servizio del «management» più efficiente del mondo Lo slogan ufficiale dell'Expo '70 — che s'inaugura stamane a Osaka — è: « Progresso e armonia per il genere umano ». « Il progresso è un concetto occidentale — ha spiegato ai giornalisti Kazuo Akiyama, uno dei funzionari che, per cinque anni, hanno lavorato all'allestimento della prima esposizione internazionale in Asia — l'armonia è, tipicamente orientale. Noi consideriamo la nostra Expo come un ponte tra le due culture ». Anche la fastosa cerimonia di apertura, alla quale parteciperà l'imperatore Hirohito, è una simbiosi di progresso e armonia: nel rigido e ossequioso rituale, degno dell'epoca imperiale, s'inserisce la fantascientifica presenza di un robot, alto 15 metri e pesante 50 tonnellate, che marcerà davanti ai dodicimila invitati d'onore emettendo bianchi vapori profumati. Rivincita attesa Con l'Expo — che è costata ben 800 miliardi di lire — il Giappone celebra una rivincita attesa e preparata dal 1945. Nella polverosa piana di Osaka, attraverso quella che Time ha definito « una gigantesca scatola di giocattoli », i giapponesi dispiegano agli occhi del mondo (sono attesi 50 milioni di visitatori), la potenza e la salute di un'economìa che oggi è inferiore soltanto a quelle degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica. Il Giappone moderno ha poco più di cent'anni: nasce ufficialmente il 6 aprile 1868, quando il giovane imperatore Meìji. pronunciando il discorso dell'incoronazione, dice: « Noi convocheremo delle assemblee e governeremo la nazione tenendo conto dell'opinione pubblica... Cercheremo nuove conoscenze in tutte le nazioni del mondo e così sarà assicurato il benessere dell'impero ». Ma tra la « restaurazione di Meìji » e il grande boom passano più di 70 anni: quella che l'economista Peter Drucker ha definito « la più straordinaria success story della storia dell'economia » s'inizia nel 1945 e tocca il culmine negli Anni Sessanta; il suo fertile humus è la cenere atomica di Hiroshima e Nagasaki, il suo soffio vivificatore è l'orgoglio quasi arrogante di un popolo che ha passato il bastone del comando dalle mani dei militari a quelle degli economisti. Nel 1967 il Giappone ha superato la Gran Bretagna, nel '68 la Francia, nel '69 la Germania occidentale. Alla fine di quest'anno, il prodotto nazionale lordo toccherà i 200 miliardi di dollari, contro i 932 degli Stati Uniti e i 600 dell'Unione Sovietica. Nel 1975 il Giappone dovrebbe raggiungere i 400 miliardi (gli Stati Uniti i 1400), nel 1980 gli 800 miliardi di dollari (contro 1800 degli Stati Uniti): il tasso annuo di espansione dell'economia giapponese è dell'11-14 per cento, quello americano del 5-6 per cento. Il reddito medio prò capite dei giapponesi è oggi soltanto di 1100 dollari l'anno, contro i 4600 dollari degli americani: il Giappone è al diciannovesimo posto nel mondo, ma salirà all'undicesimo nel 1976, al quinto nel 1981, al secondo nel 1986 e forse, nel 1988, arriverà a superare gli Stati Uniti, u Nessun paese — ha scritto Time — ha un'ipoteca più forte sul futuro ». E il futurologo americano Herman Kahn predice che « il XXI secolo sarà il secolo del Giappone ». Sino al fanatismo Il Giappone è il primo produttore mondiale di motociclette, macchine da cucire, apparecchi fotografici e transistors. E' al primo posto anche nelle costruzioni navali: la metà delle navi in servizio è uscita dai suoi cantieri; i giapponesi, nel 1968, hanno varato l'« Universe Ireland», una petroliera di 312 mila tonnellate, e si avviano a costruire navi di 500 mila tonnellate, che, entro dieci anni, saranno mosse dall'energia atomica. Per altri 19 prodotti, il Giappone è al secondo posto nel mondo, al terzo per la produzione di petroli raffinati e di acciaio. Il caso dell'acciaio è probante e merita un breve cenno: nel 1960, il Giappone ne produceva 20 milioni di tonnellate, cioè il 6.5 per cento della produzione mondiale; nel 1969 è salito a 82 milioni di tonnellate, pari al 14,3 per cento. Infine, per concludere questa rassegna di cifre, il Giappone possiede 5 mila cervelli elettronici, il maggior numero dopo gli Stati Uniti (50 mila). Chi ha il potere? Ogni giorno il Giappone esporta merci per 44 milioni di dollari: un terzo verso gli Stati Uniti, un terzo verso l'Asia e un terzo verso il resto del mondo. Dal 1955 ad oggi la parte del Giappone nel commercio mondiale è triplicata, giungendo al 7 per cento del totale, mentre quella degli Stati Uniti si è ridotta a poco meno del 18 per cento. Nessun paese pratica prezzi che, per competitività, possono eguagliare quelli giapponesi: il basso costo della manodopera e l'altissima efficienza delle tecniche di spedizione consentono ai giapponesi di fornire pipe-lines complete all'Alaska a prezzi inferiori a quelli delle acciaierie di Pittsburgh. Quali sono le ragioni di questa irresistibile ascesa economica? Sommariamente si possono concentrare in questa formula: 100 milioni di persone (2365 abitanti per miglio quadrato, una densità doppia di quella dei Paesi Bassi) al servizio del management più efficiente del mondo. Passati improvvisamente dall'era feudale a quella della produzione industriale (ma certi schemi arcaici si conservano nelle strutture sociali: il 70 per cento dei matrimoni è ancora combinato), i lavoratori giapponesi sono laboriosi e disciplinati sino al fanatismo e pochissimo esigenti. Fino ad oggi i salari sono aumentati assai meno rapidamente della produttività e gli oneri sociali a carico del datore di lavoro si mantengono bassissimi: su un salario teorico di 100, un operaio costa all'industria tra HO e 130, contro 150 della media europea. Ma la vera spina dorsale J del miracolo economico giapponese è costituita dai ma- 1 nagers. L'alleanza tra il po- \ tere politico e quello economico è così stretta che legittima la domanda: chi governa realmente il Giappone? E' sempre stata una tradizione del Paese quella di avere un « governo dietro le quinte » e oggi la maggior fetta di potere, in un paese arso dalla febbre dell'economia, è detenuta dagli ambienti economici. « Nessuno — ha scritto Robert Guillain, corrispondente de Le Monde da Tokio — sarebbe potuto essere capo del governo, negli ultimi vent'anni, se egli avesse incontrato l'opposizione della "Keidanren" (la Confindustria giapponese) ». «No» alle atomiche Il discorso sul peso economico del « Sole risorto » (così The Economist definì una volta il Giappone del grande boom,) implica fatalmente alcune considerazioni sul nuovo ruolo politico del Giappone nel mondo e, soprattutto, nel tormentato scacchiere orientale. « Questo paese — ha detto il ministro delle Finanze Takeo Fukuda — non può permettersi ancora a lungo di pensare ai propri problemi senza considerare con attenzione il resto del mondo ». E il ministro degli Esteri Kiichi Aichi ha scritto di recente in Foreign Affairs: « E' necessario che il nostro popolo si stacchi gradualmente dalla tendenza al " piccolo giapponesismo " ». Questo processo è favorito indubbiamente dall'atteggiamento dell'Inghilterra (che completerà entro il 1971 il ritiro delle truppe da orien- j te di Suez) e dalla tendenza \ ndimummnclscnndltelnstrtprszdnlvdtpltctdincmdipblamericana ad un progressivo sganciamento dal Sud-Est asiatico (la cosiddetta « dottrina di Guam », ribadita da Nìxon nel suo « messaggio sullo stato del mondo»). In molti Stati asiatici è diffuso il timore di un riarmo giapponese: in realtà, a parte i limiti imposti al riarmo giapponese dall'art. .9 del Trattato di pace (che parla dì sole «forze difensive»), il Giappone ha attualmente un esercito di soli 254 mila soldati, tutti volontari. E. d'altra parte, il ricordo traumatizzante di Hiroshima e Nagasaki e l'adesione al trattato di non proliferazione nucleare sembrano escludere che i giapponesi intendano dotarsi, in un prossimo futuro, di armi atomiche, benché siano in grado di costruirle. Il Giappone, dunque, secondo il felice slogan di un diplomatico americano, potrebbe rappresentare davvero il primo, raccomandabile esempio di una « superpotenza senza super-armi ». Paolo Garimberti Stsescmqln Osaka. Veduta aerea del centro della città con la nuova «sopraelevata» costruita per l'Esposizione 70

Persone citate: Herman Kahn, Ireland, Kazuo Akiyama, Kiichi Aichi, Peter Drucker, Robert Guillain, Takeo Fukuda