Musiche di Webern e Schoenberg nel concerto al Conservatorio

Musiche di Webern e Schoenberg nel concerto al Conservatorio Gli "Incontri,, per l'Unione Musicale Musiche di Webern e Schoenberg nel concerto al Conservatorio Apparentemente anche questo concerto, dedicato a musiche di Webern e di Schoenberg, potrebbe sembrare un passo indietro nei propositi informativi degli Incontri con la Musica Contemporanea. In realtà, la più gran parte dei brevissimi lavori in cui Webern, intorno al 1910, si veniva liberando dagli schematismi della dialettica formale e dai legami della tonalità, costituiscono ancora adesso ossi duri da rodere, più che tante partiture d'avanguardia. Già nelle liriche op. 3 e 4, su poesie di Stefan George, così sganciate dalla tradizione liederistica, ma ancor più nei Quattro Pezzi op. 7 per violino e pianoforte, nei Tre pìccoli pezzi op. 11 per violoncello e pianoforte, e nei Cinque Pezzi op. 5 per quartetto d'archi, la straordinaria concentrazione formale fa davvero pensare, come scrive il Rostand nel suo recente oouquìn su Webern « a quei fenomeni naturali della cristallizzazione mineralogica o dell'organizzazione botanica in cui ammirevoli e complesse strutture s'organizzano in un universo micrometrico ». Ma con la differenza che le simmetrie e le ripetizioni morfologiche tanto care al mondo della natura, qui sono evitate come la peste. In tanta concisione nulla viene mai ripetuto, una variazione totale e perpetua si sostituisce allo sviluppo sonatistico dei temi, e ciò pone difficoltà non comuni all'ascolto: il pezzo musicale si autogenera come per un moto spontaneo di microelementi, moto apparentemente cieco e privo di direzione riconoscibile, proprio in ragione della sua organicità. Interessante confronto quello tra i giovanili Cinque pezzi per quartetto (di cui i tre centrali sono tra le gemme più preziose di tutta la musica), e il Quartetto op. 28, unica composizione dodecafonica fra quelle di Webern eseguite in questo concerto: tanto più severa e scabra, e volutamente uniforme dal punto di vista timbrico, con la sua serie formata di tre incarnazioni della sigla BACH E' un'opera di contrappunto puro, che qualcuno ha criticato come « dottrinaria », e forse non del tutto a torto. Dodecafonia senza lacrime, invece, quella dell'Ode a Napoleone di Schoenberg, dove nel 1942 il vecchio profeta esalò la sua santa collera, non tanto di ebreo, quanto d'uom giusto, verso i misfatti del nazismo. (E il povero Napoleone ci andò di mezzo, visto attraverso le invettive byroniane come un Hitler avanti lettera). Qui la serie originale è composta di tre limpidi accordi perfetti, due maggiori e due minori, e si apre a larghe possibilità di recuperi tonali, consentendo la virulenta eloquenza della colonna sonora che pianoforte e quartetto d'archi tessono intorno alla bronzea recitazione ritmata, non intonata, d'una voce di baritono. Era questi Elio Battaglia, che si è battuto leoninamente contro le difficoltà della lingua e del tempo estremamente concitato con cui lo trascinavano i colleghi strumentisti, gli ottimi Salvatore Accardo (che ha sbalordito suonando a memoria i Quattro Pezzi op. 7, come se fossero la Sonata a Kreutzer), Pasquale Pellegrino, Luciano Motta e UmbertoEgaddi (bravissimi anche nei due Quartetti weberniani, ed Egaddi nei Tre Pezzi op. 11), e il pianista Lodovico Lessona, che porta in queste musiche la stessa carica espressiva e la stessa raffinatezza preziosa di tocco che lo fanno tanto apprezzare nel repertorio classico-romantico. Con Alide M. Salvetta, già altre volte distintasi in Lieder e liriche di lingua tedesca, ci troviamo a possedere un soprano naturalmente bilingue, per la quale lo stile vocale del « Wiener-Kreis » non ha segreti, e che ha fatto progressi tecnici ben notevoli dalle sue ultime esibizioni a Torino. Applausi ad ogni pezzo e a tutti gli esecutori, ma particolarmente intensi dopo l'Ode a Napoleone. Dell'annunciato dibattito dopo il concerto non se ne fece nulla: sarebbe vero che Schoenberg e Webern sono ormai fuori discussione? m. m.

Luoghi citati: Kreutzer, Torino