"La governante,, di Brancati in scena (dopo 18 anni) a Torino
"La governante,, di Brancati in scena (dopo 18 anni) a Torino Un'opera tragicomica, un'aspra critica di costume "La governante,, di Brancati in scena (dopo 18 anni) a Torino Protagonista Anna Proclemer, affiancata da Gianrico Tedeschi ; regìa di Patroni Griffi Pare incredibile che La governante di Vitaliano Brancati, rappresentata l'altra sera al Carignano e per la prima volta a Torino, sia stata una delle vittime più. illustri e incolpevoli di quella battaglia che la censura, larga di manica con prodotti commerciali stranieri come La prigioniera di Bourdet, condusse per decenni contro gli autori italiani puntualmente bocciando, ad esempio, i copioni premiati a Riccione e vietando, appunto, «una delle commedie più morali del teatro moderno » come scriveva nel '65 Anna Proclemer presentando lo spettacolo con il quale poteva finalmente portare sulla scena un lavoro che il marito ave¬ va scritto per lei tredici anni prima. Ma che il divieto non fosse poi tanto incredibile lo si capisce dallo sfogo che Brancati mette sulla bocca del personaggio di un romanziere che assomiglia parecchio a Moravia ma che poi è lo stesso autore: « Non solo non vogliono leggere o andare a teatro, ma vogliono essere sicuri che nelle commedie che non vedono e nei libri che non leggono non ci sia nessuna delle cose ch'essi fanno e dicono tutti i giorni». Da allora, e dal violento pamphlet — vero testamento morale di uno scrittore e uomo libero — con cui Brancati accompagnò nel '52 la pubblicazione del suo testo, n'è passata di acqua sotto i ponti, i costumi sono mutati, la censura abolita, ma quella battuta è ancora abbastanza attuale se riferita a coloro, spettatori non esclusi, che giurano soltanto sul teatro cosiddetto di consumo 0 dì evasione. Commedia morale? La Proclemer aveva ragione, proprio perché l'Eros (e non la calunnia come sosteneva, del resto debolmente, lo stesso Brancati) è il tema della Governante: l'Eros in tutti gli aspetti ossessivi che può assumere in una famiglia siciliana trapiantata a Roma, anche se poi la vicenda finisce con l'incentrarsi sulla figura di una omosessuale. Ma questa Caterina Lehrer, francese, calvinista, intransigente con tutti e con sé stessa, che 1 Platania hanno assunto come istitutrice, non si crogiola nel suo vizio, anzi ne ha orrore, e nemmeno mendica giustificazioni dalla psicanalisi o dalla letteratura che pure gliele offrirebbero. Caterina, insomma, vorrebbe liberarsi di una maledizione che si porta addosso da anni, per questo chiede aiuto al patriarcale e tollerante cattolicesimo e alla fondamentale sanità del vecchio Leopoldo. E riuscirebbe forse a vincere il suo male oscuro se il rimorso per le conseguenze dei suoi atti (la morte di una giovane serva da lei perfidamente calunniata) non la spingesse ad impiccarsi. Conclusione un poco precipitosa, e quasi casuale, che tuttavia serve ad intendere nel suo vero significato il richiamo a Cechov fatto da Montale per una commedia che si incupisce di un'ancestrale tristezza tra il luccichio di incìdenti e di casi tragicomici o grotteschi. Il dramma di Caterina serpeggia e brontola sordamente, ma anche si disperde, mentre sulla scena si parla, o si ride, di altro: religione, scienza, lettere, i difetti degli italiani, le corna, le tradizioni e - i pregiudizi degli isolani, e anche la politica. C'è il ritrattino di un villico rassegnato a finire in galera al posto del padrone che sottintende una polemica sociale più efficace di una clamorosa denuncia. Commedia frammentaria? Forse, ma anche troppo compatta, fìtta com'è di figurine e di episodi che s'intersecano, sgomitano fra loro e alla Une fanno groppo. Arche se "famo a Roma, tira ;(Wq di Sicilia. Per evitare le teulazionì naturalistiche, Giuseppe Patroni Griffi e Ferdinando Scarfiotti finiscono col cadere in eccessi di astrattezza, l'uno con una regìa piatta, che tuttavia si contraddice insistendo sulle venature comiche di alcuni personaggi, l'altro con una scenografia gelida, del tutto estranea alla lettera e allo spirito del testo. Ma Anna Proclemer corre da sola, e non sbaglia a far di testa sua con una recitazione asciutta, quasi livida, che è un portento con quel continuo staccarsi dagli altri e volgersi a chi sa quali voci segrete che è proprio di una donna inibita e tormentata. Gianrico Tedeschi è un capofamiglia colorito, collerico, e all'occorrenza spassoso, Franco Giacobini ha gli scatti di umore, gli sbadigli e le curiosità che convengono a un intellettuale, Manuela Andrei e Pino Colizzi sono due vacui coniugi, la Rigano, la Bartolucci e il Cirino gli alti-i misurati interpreti di una commedia seguita con molta attenzione e accolta con schietti consensi. Alberto Blandi
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