La libertà di Liggio

La libertà di Liggio ANALISI La libertà di Liggio (L'ordine di arresto è rimasto per 5 mesi in un cassetto della questura di Palermo: come mai?) Dalle indagini che la Commissione antimafia sta conducendo sul « caso Liggio » è emersa una circostanza inquietante. Il presunto capo mafioso si è eclissato il 19 novembre nonostante l'esistenza d'un ordine di arresto (o, più esattamente, di « custodia in un carcere giudiziario ») emanato nei suoi confronti in data 18 giugno 1969 e mai eseguito, perché rimasto, a quanto sembra, nei cassetti della Questura di Palermo per oltre cinque mesi! Eppure il provvedimento era stato sollecitato, e con apprezzabile prontezza, dallo stesso questore di Palermo sin dall'll giugno, all'indomani cioè della sentenza con cui la Corte d'Assise di Bari aveva assolto e scarcerato Luciano Liggio, imputato di nove omicidi dolosi e^d'associazione per delinquere. Per meglio capire la situazione e il suo successivo evolversi, riportiamoci alla atmosfera di quei giorni. Il timore che, riguadagnata la libertà, Liggio volesse sottrarsi con la fuga alle verifiche del giudizio d'appello era presente in tutti. A fronteggiare il pericolo, polizia e magistratura non avevano altra via che far ricorso alle pur tanto discusse misure di prevenzione, introdotte con la legge 27 dicembre 1956 n. 1243 ed ampliate per gli « indiziati di appartenere ad associazioni mafiose» dalla legge 31 maggio 1965 n. 575. Due, in particolare, le possibilità consentite. Della prima aveva cercato d'avvalersi il questore di Bari, prescrivendo a Liggio di rientrare, ^ con tanto di foglio r,di via obbligatorio, a Corleone, comune di sua residenza. Ma Liggio, che si trovava in quei giorni a Bitonto, già intento a nuove attività, si faceva ricoverare in una clinica di Taranto, e poi in una di Roma, ottenendo così l'automatica sospensione del provvedimento. Non restava, dunque, che la possibilità di un ordine d'arresto (o, più ■esattamente, di « custodia precauzionale»), da eseguire magari sotto forma di piantonamento in ospedale. A tal fine il questore di Palermo si rivolgeva al procuratore della Repubblica chiedendogli di compiere un duplice passo, strettamente articolato: da un lato, proporre al Tribunale di assoggettare Liggio alla misura « dell'obbligo di soggiorno in un determinato comune» e. dall'altro, proporre al presidente dello stesso Tribunale di ordinare che, nell'attesa, Liggio fosse « tenuto sotto custodia in un carcere giudiziario ». La legge sulle misure di prevenzione prevede, infatti, questa particolare forma di arresto solamente in via cautelare e preliminare rispetto all'obbligo di soggiorno in un determinato comune. Il procuratore della Repubblica di Palermo formulava, dunque, le suddette proposte e rapidamente il presidente del Tribunale emetteva l'ordine desiderato. Resta il mistero del perché non lo si sia eseguito, né subito né mai. La Commissione antimafia ha già interrogato questore, procuratore della Repubblica, presidente del Tribunale e le versioni fornite sono risultate in parziale contrasto. E' chiaro, però, che il nodo, pur venuto al pettine con tanto ed esiziale ritardo, dovrà essere sciolto a qualunque costo. Per intanto la commissione antimafia ha chiesto che presidente del Tribunale e procuratore della Repubblica siano deferiti al Consiglio superiore della Magistratura. L'argomento addotto nel tentativo di offrire una giustificazione almeno formale non regge assolutamente. Si' pretenderebbe di sostenere che l'ordine in questione è eseguibile non in ogni parte del territorio nazionale (come accade, invece, per gli altri provvedimenti di arresto o di cattura o di sequestro), r?a soltanto nella provincia uove ha sede il Tribunale chiamato a provvedere sulla proposta di soggiorno obbligato, che nella specie era il Tribunale di Palermo. E', oltretutto, sorprendente che una tesi siffatta, tanto limitativa dei poteri dell'autorità giudiziaria e della polizia, abbia ispirato la linea di condotta di due alti magistrati e di un questore. Come si può credere di frenare le attività mafiose riducendo ai minimi termini la portata esecutiva dei provvedimenti consentiti dalla legge? Se esistono i presupposti per emetterli, non vi è ragione di bloccarne gli effetti una volta presa la relativa decisione. Il vero problema è uno solo: vogliamo o non vogliamo perseguire il difficilissimo obiettivo? Giovanni Conso

Persone citate: Giovanni Conso, Liggio, Luciano Liggio

Luoghi citati: Bari, Bitonto, Corleone, Palermo, Roma