Il nuovo "manifesto,, dei radicali francesi di Arrigo Levi

Il nuovo "manifesto,, dei radicali francesi La scommessa delle riforme Il nuovo "manifesto,, dei radicali francesi (Dal nostro inviato speciale) Parigi, febbraio. Cento giorni sono occorsi a Jean-Jacques Servan-Schreiber per preparare il «Manifesto radicale »: un documento di 250 pagine con il quale questo giornalista di successo (950 mila copie di La sfida americana vendute in Francia), diventato « segretario per scommessa » del vecchio partito di Clemenceau e di Herriot, tenta di rilanciare il partito e sé stesso nella politica, anzi nella storia di Francia. Di Servan-Schreiber Le Monde ha detto che la sua « immensa ambizione » gli ha fatto preparare non un programma politico per i francesi, ma «un piano per ricostruire l'universo ». Certo questo è un documento politico inconsueto, ma non conviene fermarsi a simili riserve, anche troppo ovvie. Più pertinente è l'osservazione di molti che questa operazione di ringiovanimento di un partito vicino all'estinzione (è ridotto oggi a Ì3 deputati) non ha, a prima vista, molte probabilità di successo. Anzitutto, non è detto che i delegati radicali, che si riuniranno presto a congresso per approvare o respingere il « Manifesto », accettino quello che è, in definitiva, un audace spostamento a sinistra, oltre i socialisti se non (per certi aspetti) oltre i comunisti, del loro partito piccolo-borghese. Anche se il partito radicale accetterà questo trapianto di un cuore nuovo nel suo organismo invecchiato, bisognerà poi vedere che cosa ne penserà l'elettorato. Sulla carta, lo spazio per un nuovo grande partito non c'è. La « scommessa » ,di Servan-Schreiber, e del presidente radicale Maurice Faure che tre mesi fa, fra la sorpresa di tutti, l'ha nominato segretario generale, si fonda sulla constatazione che oggi tutta la sinistra non comunista è in crisi, frammentata in piccole « schegge » di partito. Quest'elettorato confuso e quello di centro potrebbero sentire il fascino della «vecchia ditta» guidata dal suo nuovo manager. Così, il matrimonio di convenienza fra uh generale privo di truppe e truppe bisognose di un generale potrebbe anche avere risultati sorprendenti. Il sogno di una sinistra « realista e spietata », capace di rivoluzionare con le riforme quella che Chaban-Delmas ha definito «la società bloccata», potrebbe realizzarsi. Intanto Servan-Schreiber è riuscito, con mano esperta, a lanciare clamorosamente la sua nuova impresa. E' anche riuscito a scrivere, con l'aiuto di ima équipe di. tecnici, un documento significativo del pensiero e del movimento riformista, francese ed europeo, sulla soglia degli Anni Settanta. L'ispirazione è per molti aspetti neocapitalista e manageriale; per altri aspetti (il forte accento egualitario) è socialista. Questo progetto per fare dei francesi i « californiani d'Europa », questo « modello nippo-svedese » (come dice con malizia Jean Daniel) non è soltanto, pregio assai raro, un documento politico di gradevole lettura; è anche un'interessante « somma », con spunti originali, del riformismo europeo d'oggi. E non è forse il riformismo la corrente dominante della politica europea contemporanea? Quali sono le idee più nuove? Anzitutto il progetto, che mi sembra derivi da una ricerca che Pierre Uri ha condotto per la Cee, di instaurare un'economia di mercato molto più duramente concorrenziale: abolire ogni e qualsiasi aiuto statale alle imprese, sicché le peggiori inesorabilmente falliscano, e dedicare invece vasti capitali alla rieducazione e maggiore mobilità della manodopera. Fra tutte le economie possibili, Servan-Schreiber sceglie quella di mercato come la migliore per una crescita rapida: ma vuole più mercato, una selezione più spietata. A queste idee fa da contrappeso, da sinistra, il pro¬ getto derivante da Leon Blum di abolire « la trasmissione ereditaria dei mezzi di produzione». E' una proposta che ha fatto sensazione. Inoltre, Servan-Schreiber vuole «la separazione della proprietà dal potere »: i capi d'impresa dovrebbero essere nominati da un collegio elettorale composto in parti uguali da delegati degli azionisti-proprietari, del personale e dei quadri dirigenti. Servan-Schreiber, che non è un uomo modesto, paragona questa riforma «all'abolizione della monarchia ereditaria per diritto divino». Nell'impresa riformata, e non ereditabile, dovrebbe regnare un vigoroso contrasto fra sindacati e dirigenti. Il sogno dell'« armonia costante» è giudicato illusorio: « La tensione è un fattore di progresso ». Questi sono gli spunti più controversi, ma non i soli interessanti. Le tesi regionaliste e quelle europeiste sono esposte bene. E' bello il capitolo sulla riforma dell'educazione,' che suggerisce l'inizio della « scuola », con formule nuove, fin dai due anni, ossia da queil'«età d'oro dell'intelligenza » che condiziona, come insegna la moderna pedagogia, tutto l'avvenir.e dell'individuo. Altre proposte, come quella di un «reddito minimo garantito» (derivata da Friedman), o quella dell'imposta diretta sul reddito speso, anziché su quello guadagnato, sono" oggi nell'aria in diversi paesi. Ma è sulle idee economiche centrali del « Manifesto » che sono esplose le polemiche. Sopravvivrebbe l'economia di mercato a queste riforme rivoluzionarie? Non risulterebbe avvilita l'iniziativa privata? Le azioni delle imprese non finirebbero, in buona parte, nelle mani di enti statali? (il «Manifesto » fa quest'ipotesi, in sostanza approvandola). Infine, non si creerebbe un potere dei managers, della « tecnostruttura », anch'esso alienante per le masse? Nell'ambito del riformismo europeo, come si vede, il « Manifesto radicale » propone temi utili alla discussione, se non un programma compiuto. Arrigo Levi

Luoghi citati: Europa, Francia, Parigi