La belle époque viennese nella "Arabella,, di Strauss di Massimo Mila

La belle époque viennese nella "Arabella,, di Strauss L'opera diretta da Sawallisch alla Scala La belle époque viennese nella "Arabella,, di Strauss Il musicista austriaco ha tentato di ripetere, senza riuscirci, l'esito del «Cavaliere della rosa» - Spettacolo fastoso e gradevole, con cantanti di vari paesi (Dal nostro inviato speciale) Milano, 30 gennaio. Si dice che nel secolo scorso a Parigi fosse stato decretato un premio a un critico teatrale il quale aveva saputo spiegare ai suoi lettori, per filo e per segno, la trama del Matrimonio di Figaro di Beaumarchais. Il Premio Nobel non sarebbe di troppo per chi riuscisse a dipanare interamente la trama di Arabella, l'ultimo libretto che Hugo von Hofmannsthal fornì a Strauss nel 1929, pochi giorni prima di morire tragicamente d'un colpo, dopo avere accompagnato all'estremo riposo il figlio suicida. Comunque all'ingrosso si tratta di questo. Una coppia di nobili spiantati si stabilisce a Vienna, in un albergo, per cercare di trovare un matrimonio vantaggioso alla primogenita, Arabella. Neanche da pensare di sostenere le spese per introdurre in società anche la seconda figliola, Zdenka, e trovarle un marito; perciò i genitori la trasformano in un maschietto, fornendo così alla commedia lo zenzero erotico del Cherubino mozartiano e del conte Ottavio nel Cavaliere della rosa, elevato per così dire alla seconda potenza. Là un'attrice, possibilmente graziosa, a impersonare un adolescente dell'opposto sesso. Qui un'attrice a impersonare una fanciulla che esigenze di copione vogliono travestita da uòmo (e bisogna dire che Elisabeth Robson, luci del palcoscenico aiutando, appare graziosamente piatta, davanti e di dietro, nel suo smoking ottocentesco). Intorno ad Arabella si aggirano parecchi vagheggini, ed uno, Matteo, sembra il preferito. In ogni caso è il preferito della sorellina Zdenka, che fa di tutto per favorire le sue sorti presso la sorella, e quando invece un buon pretendente si presenta, facendo piazza pulita degli altri aspiranti, la piccola Zdenka spinge molto innanzi la propria compassione per il deluso Matteo: gli dà segretamente la chiave della propria camera, dicendogli che è quella della camera di Arabella, e ivi lo accoglie al buio, consolandolo personalmente in luogo della-sorella. Disgraziatamente la trama è giunta alle orecchie di Mandryka, il fidanzato di Arabella, solido gentiluomo campagnolo, ed egli si crede tradito dalla sua futura sposa. Lo stupore di Arabella ai suoi rimproveri è pari a quello di Matteo di fronte all'indifferenza di Arabella nei suoi riguardi, dopo la supposta notte d'amore. Infine tutto si accomoda, quando Zdenka appare sullo scalone dell'albergo in un negligé inequivocabilmente femminile (purtroppo alla Scala non così vaporoso come la didascalia del libretto autorizzerebbe a sperare) e la commedia finisce lietamente. Poeta e musico non fecero nessun mistero, accingendosi a questo lavoro, del loro proposito di produrre un secondo Cavaliere della rosa. Strauss chiedeva una commedia d'intrigo, con tanti valzer viennesi e tante belle donnine. Nessuno potrà mai tacciarci di austerità, e restiamo sempre disponibili alle attrattive dei suddetti ingredienti (specialmente del secondo). Ma si sa come vanno queste cose: la copia è sempre sbiadita rispetto all'originale. Nel 1911 il Cavaliere della rosa era un documento vivo 6ulla dorata decadenza dell'impero absburgico, alla vigilia di Serajevo Nel 1933, agli inizi del nazismo, Arabella non era più un documento, ma una rievocazione imbelle, con tutte le stigmate dell'impotenza connessa coi rigurgiti di nostalgia. In certo senso, la crudele tragedia che spazzò via il povero Hofmannsthal dopo quest'ultima fatica ha il senso d'una nemesi storica. In particolare Arabella soggiace alle conseguenze d'un duplice peccato di pigrizia. Pigrizia nel campo specificamente musicale, riducendosi a succhiare ancora una volta la liquefatta caramella melodiosa del Cavaliere, con le sue armonie di terza e sesta, con le sue impennate di valzer, con la strumentazione languorosa, rauche contromelodie di corni che danno la replica a quelle sinuose dei violini. Intendiamoci, molte di queste vecchie malìe funzionano ancora egregiamente, come Marlene Dietrich, e in un'esecuzione di autentico stampo viennese Arabella può esercitare un fascino edonistico a cui non sarebbe facile resistere. Sebbene si debba anche precisare che il sogno , di semplificazione mozartiana del Cavaliere della rosa qui è completamente svanito: Wagner batte Mozart quattro a zero, e dietro alle donnine vieimesi di Arabella sembra proiettarsi l'ombra minacciosa della Walkirìa e perfino d'altre creature ancor meno afrodisiache come Erda e Fricka. Ma la pigrizia principale che impedisce a quest'opera di assurgere al posto eminen¬ te cui qualcuno la vorrebbe promuovere è l'altra, è la pigrizia drammaturgica di avere puntato tutte le carte su quella pupattola lattemiele di Arabella, anziché sulla piccante fìguretta della sorellina. Se Strauss avesse riversato su Zdenka le attenzioni di cui ha colmato Arabella, illustrando con la musica i segreti di quel cuore d'adolescente che la spingono a combinare tanti pasticci, allora la commedia, frivola e manierata finché si vuole, avrebbe potuto vivere di vita propria. Invece Zdenka resta un personaggio laterale, sebbene sia il deus ex machina dell'azione, e i suoi atti non sono mai motivati. Come il Cavaliere della rosa, anche Arabella richiede ima compagnia di canto sterminata, con sette od otto personaggi di pari importanza. La Scala ha messo insieme una specie di legione straniera, delle più varie provenienze, dove tutti danno prova di abilità e disinvoltura, nessuno di quella classe vocale che 10 stile di Strauss. esige. Si è formato un cast da opera moderna, con cantanti intelligenti e musicali, ma non dotati di grandissima voce.i Invece lo stile di Strauss postula 11 divismo, vuole le Schwarzkopf (se ancora ce ne sono), vuole i Fischer-Dieskau. Inoltre, essendo l'opera eseguita in italiano (e quel poco che si capisce ogni tanto è pur sempre uno sprazzo di luce nella selva di quelle che il Concise Oxford Dictionary of Opera chiama « un mucchio di complicazioni viennesi) la spontaneità dei cantanti stranieri è probabilmente impacciata dalla lingua straniera, i nostri per contro mancano di quello stile viennese radicato in una tradizione teatrale indigena che non è prodotto d'esportazione. I nostri Paolo Montarsolo e Laura Zanini formano la squinternata coppia dei conti Waldner, Catarina Ligendza è la protagonista, vocalmente vezzosa come si conviene, Elisabeth Robson l'acerbo androgino di sua sorella, il baritono Norman Mittelmann interpreta con vigore la parte del pretendente fortunato, il tenore René Kollo è il romantico Matteo, Giuseppe Campora, Claudio Giombi e Nicola Zaccaria il terzetto degli altri pretendenti, Rita Shane è il soprano di coloratura cui spetta la parte di Fiakermilli, cioè la carnevalesca regina nella veglia dei fiaccherai, Silvana Zanolli la cartomante cui si rivolge la contessa Waldner per trovar marito alla primogenita; Regolo Romani, Luigi Pontiggia, Giovanni Fracasso, Domenico Versacci, Silvio Maionica, Giovanni De Angelis e Carlo Forti forniscono lo sfondo di camerieri, giocatori di carte e simili. La direzione di Wolfgang Sawallisch, ottima nei risultati orchestrali, non perviene ad imprimere unità nel variopinto palcoscenico, cui reca un piccolo contributo anche il coro, istruito da Roberto Benaglio, e trattato dall'autore, in verità, secondo criteri da operetta. Le scene e i costumi di Veniero Colasanti e John Moore sono ossequenti al carattere ottocentesco e alberghiero della vicenda. La regìa di Rudolf Hartman non ha approfittato gran che dell'occasione collettiva offerta dal gran ballo nel se¬ condo atto, ed ha meglio curato gli aspetti della commedia di personaggi, sottolineando con una certa efficacia le scene salienti assegnate alla protagonista, in particolare il finale, tutto vibrante di contenuto fervore nuziale, con l'offerta simbolica allo sposo d'un bicchiere di acqua pura, ch'egli spezza sullo scalone dell'albergo. In complesso uno spettacolo fastoso e gradevole, nel senso culinario del termine, per l'occhio e per l'orecchio. Delikatessen, come dicono in Austria, cioè pasticceria, più o meno di lusso. Folto pubblico, caloroso successo, con parecchie chiamate dopo ogni atto. Massimo Mila Parigi. Un abito da gran sera in shantung bianco e corallo, con larga cintura, presentato da Givenchy (Telef. Ansa)

Luoghi citati: Austria, Milano, Parigi, Vienna