Con la vedova di Pinelli di Giampaolo Pansa

Con la vedova di Pinelli NELLA CASA DELL'ANARCHICO MORTO IN QUESTURA Con la vedova di Pinelli Si erano conosciuti alle lezioni di esperanto, per 15 anni avevano condotto assieme un'esistenza « bizzarra e felice » - « Pino era buono, forse ingenuo, certo entusiasta » - Al circolo anarchico portava solo le bambine a giocare: « Io mi sentivo un'estranea fra tanti giovani » - Suo marito aveva rotto con Valpreda: « Era pulito. Non credo che si sia ucciso; debbono darmi spiegazioni » (Dal nostro inviato speciale) Milano, gennaio. « Signora Pinelli, io sono già stato da lei una notte, in dicembre. Suo marito Pino era caduto dal quarto piano della questura e stava morendo in un pronto soccorso. Eravamo in cinque. Lei ci parlava dalla porta come mi parla adesso: senza un tremito, sema un pianto... ». « Io non piango: non piango in pubblico. I miei sentimenti sono soltanto miei». «Ma lei, quella notte, che cosa provava? ». La signora Pinelli guarda la madre e la suocera, poi guarda me, e i suoi occhi sono di gelo: « Se le dicessi che provavo odio, lei capirebbe? ». « Odio per chi? ». « E' inutile che glielo dica, come è inutile fare pianti o scene isteriche. E' utile, piuttosto, fare dell'altro... ». « Che cosa? ». « Quello che stiamo facendo: la ricerca della verità ». Cerca la verità E' dalla notte del 16 dicembre che la signora Licia sta cercando la verità. Come è morto suo marito, capofrenatore delle Ferrovie e piccolo esponente anarchico? E perché è morto? Suicidio, malore, delitto: sono state pensate tutte. C'è un'inchiesta, ma prima dell'inchiesta c'è una storia, con due protagonisti: un uomo giovane e sano che un giorno, d'improvviso, ha smesso di arrivare col suo motorino e la sua allegria in questo cortile periferico di via Preneste, fra tetre case popolari e alberelli stenti; e una donna di 39 anni con due bambine, che sta imparando la parte difficile di vedova del Pinelli, colui che con la sua fine oscura forse custodisce la chiave per risolvere il mistero del « venerdì di sangue ». « Lei cerca la verità, signora. Vediamo quella su suo marito. Eccone un ritratto: un uomo attaccatissimo alla famiglia, ingenuo, entusiasta, distratto, trasandato. Era così? ». « Forse. Ma per prima cosa direi che Pino era estroverso, generoso, buono. Ingenuo? Anche. Tutte le persone per lui erano ottime, doveva batterci la testa prima di capire. Ma soprattutto, ecco, era entusiasta. Se non lo fosse stato, diciassette anni fa, forse, non ci saremmo incontrati... ». « Dove vi siete conosciuti? ». « A lezione di esperanto, nel casello daziario di Porta Venezia. Io non l'ho mai imparato, ma lui era bravissimo. Aveva corrispondenza con esperantisti di tutto il mondo, e quando qual- cuno capitava a Milano era felice. Credeva nella fratellanza universale. Diceva: se tutti gli uomini parlassero la stessa lingua, non ci sarebbero più guerre. E li portava a vedere la Scala, il Duomo ». « Sapeva tutto sul Duomo — interrompe la madre del Pinelli — chi lo aveva fatto, e quando... ». Lo stesso intatto entusiasmo bruciava nelle sue idee. « Un giorno — dice la signora Licia — si era vicini a Natale, tornò dalla Rinascente. Per me aveva una matita su cui era inciso: " Alla mamma più in gamba del mondo ". Lui, invece, si era regalato una targhetta di legno di tek con la scritta: "Io sono un anarchico". L'aveva messa bene in mostra, lì, sulla libreria. Dopo un po' di tempo mia madre aveva detto: " Ma che cosa c'entra questa targhetta? Non c'è mica solo il Pino in questa casa ". Lui aveva risposto ridendo: "Non sta bene? Così chi entra la vede, e tutti sanno come la penso"». Mondo di sogni «A raccontarla sembra una spacconata, ma non era così ». La targhetta serviva a far nascere negli estranei (per gran parte studenti che portavano alla signora Licia le tesi da battere) quel che Pinelli amava di più: la discussione, il parlare su tutti e su tutto, letture, politica, religione. Un anarchico autodidatta, con la quinta elementare, ma con tanti libri, e anche romantico, certo più della moglie: « Quello di Pino e dei suoi amici era un po' il mondo dei sogni... Anche fra noi le discussioni .erano cose da matti, però lui non cercava di convincermi, sapeva che io non ero il tipo che si fa plagiare. Eppure, forse proprio per questo, era così bello... ». La signora Licia parla con dolcezza un po' asciutta di quella vita « felice e strana », in cui ha parte il circolo « Ponte della Ghisolfa »: il grigio più grigio della periferia di Milano, piazzale Lugano, fabbriche, l'inizio della sopraelevata, il cavalcavia sulle Varesine, con il club in uno scantinato. Sulle pareti, buffi anarchici col mantellaccio che mettono in fuga preti, generali e banchieri in ghette e cilindro. Giornali, libri, i cartelloni della « croce nera », un po' di disordine... « Ci sono entrata una vol- ta, poi non ci sono voluta andare più ». « Perché? ». « Ero un'estranea. E poi lì era pieno di giovani, con tutti i loro travagli. Io le ho già superate queste esperienze. I ragazzi riesco a capirli uno alla volta, quando mi portano le tesi di laurea da battere, ma venti tutti assieme! ». Arriva Valpreda Al Pino, invece, il « Ponte della Ghisolfa» forse piaceva proprio per questo. L'anarchismo anche come modo di restare giovani e uscire dalla prigione dello scalo di Porta Garibaldi, un'evasione alla buona (così, almeno, la ricorda la signora Licia): al circolo ci portavano pure i figli bambini, « che ne facevano di tutti i colori, scassavano tutto ». E poi l'anarchismo come gusto dell'amicìzia: rimorchiarsi a casa, anche a dieci per volta, facce'mai viste, vecchissimi italo-americani da «adunata dei refrattari», giovani in giro per il mondo. Un giorno, era il Natale 1968, arrivò un tipo smilzo, elegante: Pietro Valpreda. a Eravamo qui ad ascoltare un disco di canzoni milanesi, quando capitò in casa. Era felice perché lavorava finalmente in un /balletto classico, quello del Comunale di Bologna. Parlava, parlava. In tutto venne tre-quattro volte. Nel 1969 mai. Un giorno Pino mi raccontò che lo aveva sbattuto a calci fuorri del circolo... ». « Perché? ». « Pensavo fosse roba di droga. Più tardi, invece, mi parve di capire che Valpreda parlasse di bombe. Ma ne parlava solo per mettersi in mostra, da "bauscia" che però ha un fondamento buono ». « Niente altro, signora Licia? ». « Quale altro? ». « Si sono dette tante cose non soltanto su Valpreda, ma anche su suo marito: prelievi da vagoni di esplosivi, quel viaggio a Roma, le bombe sui treni. E' sicura che Pino le confidasse tutto? ». La risposta viene d'impeto: « Sì! Gli leggevo la posta, il telefono è sempre stato qui. E poi, anche volendo, non avrebbe potuto celarmi nulla. Lo guardavo in faccia, gli dicevo: "Tu mi nascondi qualcosa ", e capivo. In 15 anni di matrimonio, ci si impara a conoscere, vorrei sperare ». Poi le cose si erano fatte più diffìcili, « ma non dipendeva da lui ». Era stato dopo ottobre, con lo sciopero della fame per gli anarchici in carcere. « Pino si era prestato molto, anche con gruppi che lui sentiva distanti: chi non lavorava e si faceva mantenere, non gli piaceva. Quando la polizia intimava ai ragazzi sdraiati sulla scalinata del Tribunale di Milano: "Voi non potete restare lì ", il Pino li faceva scendere di un gradino. Allora, un funzionario della " politica " gli disse: "Tu ci prendi in giro, stai attento... " ». E suo marito? « Era assolutamente pulito, per questo non stava in guardia. Era sempre andato d'accordo con quelli della "politica ". Il Pino li stimava sul piano umano. "Stanno dall'altra parte — mi diceva — ma con loro ci si può parlare, sono persone intelligenti ". E quando il dottor Allegra e il commissario Calabresi gli regalarono un libro, Mille milioni di uomini di Emanuelli, lo raccontò a mezzo mondo, anche se io gli dicevo: "Guarda che non è mica un punto d'onore! ". « Dopo quell'ottobre, vidi Pino pensieroso. Sosteneva di essere pedinato. Io ero preoccupata: " Non metterti troppo in mostra " lo consigliavo. E lui: "Ma sì, mi toglierò un pochino, darò un incarico a qualcun altro ". Però non si decideva mai... ». « E lei? ». « Che cosa potevo fare? Non sono un tipo da scenate. E poi un uomo deve avere le proprie idee... ». Fu con le proprie idee che, alle 19 di quel venerdì il Pinelli, a cavallo del suo motorino, entrò nel cortile della questura di Milano. Era al seguito di una «850» blu della « politica » che lo aveva incontrato e invitato « per una chiacchierata », come tante altre volte. Tre giorni di fermo (un fermo protratto illegalmente, dicono gli avvocati Palmieri, Contestabile e Gentili che assistono la signora); le telefonate a casa, gli interrogatori; poi, di colpo, quel volo da diciotto metri e quel tonfo sordo su un'aiuola gelata. I punti oscuri Una fine carica di mistero, su cui girano tante voci: le mani non appaiono graffiate (allora è caduto già privo di sensi), aveva entrambe le scarpe (dunque non è vero che hanno cercato di trattenerlo), l'ora di chiamata dell'ambulanza, le varie dichiarazioni del commissario Calabresi che lo stava interrogando... « No, no, no! »: la signora Licia non vuole parlarne, adesso. Dice soltanto: « Mio marito era innocente ed aveva i nervi saldi. Sono convinta che non è stato un suicidio ». Parliamo .allora della sua vita di vedova. Ha problemi? Non risponde, ma è chiaro che ne ha: « Però non sono ancora morta ». Lunedì comincerà a lavorare a mezzo tempo come impiegata in una Facoltà, e poi c'è la macchina per scrivere con le tesi da battere. Le bambine tornano adesso: Silvia, dieci anni, e Claudia; di otto. Che cosa sanno? « La mattina dopo ho detto soltanto che papà era caduto e stava all'ospedale. Sono scoppiate a piangere. Silvia era la più disperata, gridava: " E io che dicevo di essere tanto fortunata perché avevo il papà! "; poi hanno aggiunto: " Speriamo in un miracolo ". Dopo i funerali, io ho detto soltanto: " Silvia, Claudia, il miracolo non c'è stato " ». E le polemiche sulla morte di suo marito? « Ma no, che cosa vuole, le bimbe non sanno nulla. Però, il giorno che le ho avvisate che Pino era caduto, Claudia, la più piccola, ha subito chiesto: "Chi è stato? ". " Niente, per ora non possiamo dire niente", le ho risposto ». « E adesso, signora Pinelli, che cosa risponderebbe? » Nel piccolo tinello tutti tacciono. In cucina ronza la lavatrice. « Anche adesso risponderei niente. Arriviamo con la giustizia, e poi ne riparleremo. Io escludo soltanto il suicidio. Per il resto debbono darmi delle spiegazioni. Qualunque fatto sia avvenuto in quella stanza, ci sono delle responsabilità morali. Io so soltanto una cosa: che mio marito là ci è entrato vivo, e ne è uscito morto ». Claudia è seduta sul divano e mastica una caramella, sgranando gli occhi nel vuoto. Silvia, invece, ' si disfa le trecce e mi guarda in silenzio. Giampaolo Pansa Milano. Licia Rognini, moglie dell'anarchico Pinelli (Tel. Ansa)

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