Ora le Regioni possono nascere di Carlo Casalegno

Ora le Regioni possono nascere LA RIFORMA ATTESA DA CENT'ANNI Ora le Regioni possono nascere Il lungo cammino politico e legislativo che deve condurre all'« Italia regionale », non è ancora concluso. Se nessun ostacolo sposterà le scadenze previste, in primavera si terranno le elezioni; poi ci vorrà un biennio perché i Consigli regionali elaborino i propri statuti, il potere centrale precisi le «competenze» dei nuovi enti e la macchina amministrativa si metta in grado di funzionare. Nei fatti, le quindici Regioni non avranno vita prima dell'estate 1972; tuttavia la votazione di ieri a Montecitorio rappresenta in un certo modo il loro atto di nascita. La legge elettorale fu il primo passo risolutivo verso l'ordinamento regionale, ma solo la legge finanziaria procura alle Regioni i mezzi d'esistenza. Non è rettorica definire storico il voto della Camera. Ad un secolo dalla presa di Roma, ventidue anni dopo le promesse della Costituzione, lo Stato italiano affronta la prima riforma innovatrice delle suetD stesse basi: passa dal centralismo napoleonico al decentramento e alle autonomie politicoamministrative, accogliendo aspirazioni del passato e necessità del presente. Non è tradire, ma piuttosto completare il Risorgimento. Negli '« anni del miracolo », tra il 1859 ed il 1865, lo Stato unitario nacque rigidamente accentrato, sul modello della Francia imperiale, non per una scelta ideologica, bensì per un calcolo opportunistico: si temeva che, rispettando le autonomie, le forze centrifughe minacciassero l'unità fragile e quasi improvvisata del Paese. -Ma tutti i padri della patria, da Cavour a Cattaneo*, avvertivano la necessità di strutture meno rigide e fondate sull'autogoverno locale; e proposero varie soluzioni, dal decentramento al federalismo, per rispettare le caratteristiche di una terra lunga e diversa qome l'Italia, consentire una partecipazione più diretta dei cittadini alla vita pubblica, mettere argine alle tentazioni autoritarie inevitabili nel centralismo, togliere alle Camere ed al governo il peso dei problemi locali. Mazzini voleva « l'Italia una, ma non d'unità napoleonica »: uno slogan valido anche oggi. Il secolo trascorso da allora, infatti, non ha smentito quelle preoccupazioni. Nella nostra età dei grandi spazi geopolitici e delle intese supernazionali, mentre si estendono dovunque compiti e interventi del potere centrale, in tutti i Paesi si avverte una forte spinta alle autonomie regionali. L'esperienza ha dimostrato, anche tragicamente, i rischi del centralismo; è in larga misura responsabile l'eredità « napoleonica », se lo Stato funziona adagio e male, il Parlamento si disperde nelle leggine, la burocrazia rallenta più che amministrare la vita sociale ed economica, e gli istituti rappresentativi sono in crisi. Per realismo politico, non per preoccupazioni ideologiche o demagogia, la Costituzione si impegnò a «porre gli amministrati nel governo di sé medesimi ». Tutti i pareri sono rispettabili; ma davvero sembrano ingiustificate le paure di quanti temono l'Italia «ridotta in pillole», l'unità nazionale minacciata, il Paese tagliato in due da un'onnipotente « fascia rossa ». Le nostre Regioni, soprattutto le quindici che nasceranno a statuto ordinario, non avranno l'autonomia ed i poteri dei Cantoni svizzeri, dei Lànder tedeschi, dei cinquanta Stati che formano gli Usa, e nemmeno della Sicilia. Sono autorizzati a legiferare su problemi locali, tenuti sotto il triplice controllo del governo, delle Camere, della Corte costituzionale: e nessuna Giunta ovviamente potrà crearsi un suo esercito, pur dirigendo vigili urbani e guardie campestri Sono valide, invece, le preoccupazioni di funzionalità e\di efficienza riguardo al mòdo in cui sarà attuata la riforma.' Ci si piiò chiedere anzitutto se le quindici nuove Regioni abbiano confini razionali, legati a realtà economiche, etniche, storiche, o non taglino in modo arbitrario zone omogenee. Si deve sperare, pur senza illudersi troppo, che con gli anni si giunga a fusioni e "spostamenti di frontiera, come la Costituzione permette dopo un referendum tra gli elettori: sarebbe nell'interesse di tutti e di ciascuno avere Regioni compatte, vitali, capaci di collaborare in programmi comuni anziché chiudersi in gelosie di campanile. Ui.'altra valida inquietudine è stata espressa con particolare vigore dal partito repubblicano: le Regioni rischiano di accrescere le spese, l'inefficienza e la confusione burocratica, se non assorbono l'ordinamento provinciale. Si può discutere se convenga abolire anche i prefetti, come proponeva Einaudi, o lasciarli quali strumenti amministrativi del governo centrale; certo non c'è più posto, nell'Italia regionale, per un centinaio di assemblee provinciali, con pochi compiti e meno poteri. Tra lo Stato ed il Comune, come organismo politico basta la Regione. Ma forse non basta emen dare la Costituzione per abo¬ lire le Province; converrebbe rivedere, a parere di molti, anche gli articoli che fissano gli statuti regionali. Operando secondo schemi giustificabili nel '46-'48, i costituenti hanno dato alle Regioni la forma di venti piccole repubbliche, riproducendo in periferia l'ordinamento dello Stato. L'esperienza di questi vent'anni insegna che non possiamo permetterci il lusso di altre quindici assemblee ingovernabili,' quindici governi instabili, quindici presidenti provvisori: il regime parlamentare è giustificato a Roma, dove ha la responsabilità politica del Paese, non in organismi locali di prevalente carattere amministrativo e di poteri circoscritti. E' uno tra i tanti problemi che attendono il prossimo governo quadripartito: anche la riforma regionale esige che esso abbia coesione interna, prestigio nel Paese e speranza-di durata. Ha la responsabilità di preparare Regioni efficienti ed un compito ingrato: assegnare parte dei funzionari ai nuovi organismi periferici, secondo l'art. 15 della legge finanziaria votata ieri, ed impedire che si formi un'altra burocrazia, superflua e fatalmente legata al sottogoverno. Carlo Casalegno

Persone citate: Cattaneo, Cavour, Einaudi, Mazzini

Luoghi citati: Francia, Italia, Roma, Sicilia, Usa