Le illusioni di Nkrumah di Sandro Viola

Le illusioni di Nkrumah L'AFRICA NERA A DIECI ANNI DALL'INDIPENDENZA Le illusioni di Nkrumah 11 dittatore del Ghana spese miliardi per fare del suo paese il centro dell'Africa unita, forza autonoma nella politica internazionale - Il mito si era già dissolto, quando nel 1966 i militari rovesciarono un regime « affondato nel marcio» - Ora i successori stanno pagando il passivo della sua megalomania: debiti, corruzione, 600 mila disoccupati su nove milioni d'abitanti (Dal nostro inviato speciale) Accra, gennaio. Rettangolare, tozza, enorme (costò oltre dieci miliardi), la State House di Accra \ è la più importane «rovina» I africana. Così, se si vuole ripensare il decennio dell'indipendenza, dipanare il filo i degli avvenimenti che si so- ! no succeduti in questi anni, cercare un senso nell'informe vicenda del continente, conviene sostare un po' qui, all'ombra di questo brutto edificio. Infatti la State House (di cui non è caduto, naturalmente, un solo mattone; anzi sta in piedi benissimo) è una « rovina » quasi classica: è quel che resta del mito dell'unità africana, un'inerte sopravvivenza dello spirito che animò l'Africa all'inizio degli Anni Sessanta. Rovinosa'caduta Era stato Kwame Nkrumah a volerla così imponente, e non per pura megalomania. Poiché aveva capito che l'Africa indipendente aveva bisogno di simboli nazionalistici, Nkrumah decise di darglieli: il primo fu sé stesso (e bastano pochi incontri nelle università africane, da Dar es-Salam a Ibadan ad Accra, per rendersi conto di che vuoto abbia lasciato la sua scomparsa come simbolo); il secondo fu la State House da dieci miliardi. In quel 1960 l'Oua (l'Organizzazione per l'unità africana) era ancora in gestazione, ma ormai sembrava chiaro che si sarebbe riusciti a vararla. Nkrumah le preparò la sede. Le cose andarono, com'è noto, diversamente. L'Oua ebbe sede ad Addis Abeba, la sua vitalità durò non più. di tre anni, dal 1963 al '66, l'anno in cui cadde Nkrumah. Quando lui scomparve travolto dal peso di errori immensi (la verbosità, l'autoritarismo inconcludente, la cattiva amministrazione), lo spirito dell'unità africana perse vigore e cominciò a declinare. Nel '63, quando ventinove delegazioni del continente si riunirono nella capitale etiopica, era parso davvero di assistere alla nascita d'una forza capace di pesare nei rapporti mondiali. Nell'ultima riunione dei capi di Stato, lo scorso settembre, l'Oua ha mostrato di sopravvivere per puri obblighi di facciata. « No », disse il presiden- te del Senegal Senghor, annunciando che non si sarebbe recato alla riunione, «questa conferenza non è un avvenimento di grande importanza ». La sclerosi dell'organizzazione è evidente. Lo sbriciolamento degli interessi e del¬ le . tendenze non viene contenuto come all'Onu dalla capacità dì polarizzazione che hanno i paesi più potenti. Stati Uniti e Unione Sovietica. Così, la divisione sui temi politici ed economici finisce col dar luogo a lunghi saggi di oratoria accademi¬ ca e ad una totale inerzia operativa. Certo, se si tratta di condannare in assemblea i regimi razzisti di Pretoria e di Salisbury il consenso è facile, i toni persino battaglieri. Ma quando dall'assemblea la discussione passa al «.Comitato di solida- rietà coi movimenti di liberazione nei territori sotto controllo europeo », essa si fa di colpo stentata. Da due anni il comitato non fa che litigare su problemi di organizzazione e di finanziamento, mentre è noto che la Rhodesia, nello stesso periodo, ha aumentato le sue esportazioni del trenta per cento e il prodotto nazionale del 5,4. Impotente di fronte alla guerra del Biafra, del tutto muta sui massacri del Sudan meridionale, poco attiva nella ricerca (agricoltura: educazione), l'Oua è oggi poco più che la sua sigla. L'unità africana è stata un sogno che ormai comincia a sfuggire alla memoria, che molti africani fanno addirittura finta di non ricordare. I microstati, dopo tutto, bastano ai loro gruppi dirigenti, soddisfano cioè un certo numero di ambizioni e offrono una vita agiata alla classe degli amministratori. Che sarebbe di queste élites (per esempio della pleiade di ambasciate africane del mondo), se la balcanizzazione avesse fine? Da Accra, la capitale da dove Nkrumah galvanizzò sul tema dell'unità la prima generazione di intellettuali dell'Africa indipendente, quel che è accaduto si coglie in maniera molto nitida. Pochi giorni fa parlavo con Da Rósha, il segretario del Progress Party, il partito che a settembre ha vinto le elezioni e che ora (ritiratisi sul fondo della scena i militari che defenestrarono Nkrumah) domina la vita politica del Ghana. I miti fuori uso Gli ho chiesto che ne fosse dei progetti di unità africana. Da Rosha si è quasi messo a ridere: « Lasciamo stare queste cose », ha detto, « con le idee non si mangia. Le ideologie, i miti, non sono più di moda, in Ghana ». In Ghana, come quasi dappertutto nell'Africa nera (fatta la sola eccezione della Tanzania; la Guinea di Seku Ture e il Congo Brazzaville sono casi troppo ambigui e confusi per prestarsi a un giudizio appena sicuro), è il pragmatismo a essere di moda. Tipi diversi di pragmatismo, sufficientemente onesti come in Nigeria o in Ghana, più spregiudicati come in Congo, ma tutti marcati da un rifiuto nervoso delle scelte di contenuto. Dello stesso « socialismo africano ». pur così inconsistente, nessuno parla più. « La colpa di questo riflesso qualunquista », mi dice il professor Jones-Quartey, uno dei più noti sociologi africani, « è in qualche modo di Nkrumah. Lui era stato il campione dell'iniziativa africana, nei suoi tre aspetti dell'anticolonialismo, della modernizzazione e dell'unità. Il suo crollo si è trascinato dietro tutte queste idee, e se il fenomeno non si avverte solo in Ghana, ma in tutta l'Africa nera, è perché il personaggio era di statura continentale, perché la sua leadership fu in un certo periodo indiscussa. Ma dieci anni di errori sono troppi. Oggi, ed è comprensibile, gli africani tendono a identificare i contenuti della visione di Nkrumah con gli esiti disa¬ strosi del suo regime. Qui nasce il loro rifiuto dell'ideologia ». Jones-Quartey resta un momento in silenzio, le mani intorno alla faccia, poi riprende: « Per qualche anno parve che l'opzione radicale di Nkrumah potesse davvero capovolgere il corso degli eventi, imprimere all'Africa una spinta socialista, contenere il ritorno in massa degli interessi economici occidentali, portare avanti il processo unitario. Perciò i suoi errori, la corruzione della sua cricca, il procedere dissennato in economia e in politica estera, sono tanto più gravi: perché l'Africa sarebbe stata diversa, se Nkrumah non fosse affondato nel marcio del suo regime ». Miliardi e morale Certo, Nkrumah lasciò il Ghana nei guai. Nella setti-mana successiva al colpo di Stato del 24 febbraio '66, i militari che avevano spento la « Dolce Luce » (come Nkrumah veniva chiamato alle riunioni di massa del suo partito) fecero un po' di conti. Il dittatore aveva lasciato debiti per 600 miliardi di lire, l'economia in uno stato di confusione spaventoso, un complesso di opere di regime (acciaierie, autostrade) tanto inutili che ora stanno cadendo a pezzi. Miracoli non se ne possono fare, e i militari non ne hanno fatti. Oggi la situazione è pressappoco la stessa del '66: i debiti sono saliti di altri 150 miliardi, il programma di risanamento della spesa ha fatto crescere il numero dei disoccupati a circa 600.000 su una popolazione di nove milioni. I militari, dice qualcuno, si sono ritirati perché non sapevano come far fronte alla situazione. I prestiti ai paesi sottosviluppati non sono prestiti speciali: il debitore paga capitale e interessi e deve pagare entro il termine stabilito. Il Ghana ha ora ottenuto (non certo gratuitamente dal punto di vista politico) delle dilazioni; ma pagherà debiti sino al 1982, e sono rate che fanno paura. Circa ventuno miliardi all'anno da qui al '74, quarantadue miliardi (la spesa attuale per l'istruzione) negli otto anni successivi. Quanto al programma di moralizzazione annunciato dai militari al loro arrivo al potere, su un punto almeno bisogna dire che è fallito. In Ghana, come in tutti gli Stati africani, la struttura dei salari è ancora di tipo coloniale. Successe subito, all'indipendenza: le élites istruite si attaccarono con le unghie e coi denti ai privilegi degli amministratori coloniali, e non hanno più mollato. Un manovale guadagna ad Accra 14.000 lire al mese, mentre un direttore di ministero ne guadagna 245.000;' un operaio specializzato può giungere a 32.000 lire, un ministro supera il milione. In Cina, paese che sta uscendo dal sottosviluppo, il rapporto tra stipendi minimi e massimi non ha mai superato l'equazione uno-sei. Sandro Viola (I precedenti articoli dell'inchiesta sono usciti il 7, 16, 19, 24 , 30 dicembre e 8 gennaio). Accra. Gente del Ghana nelle vie della capitale (Tel. Team-Sansone)

Persone citate: Biafra, Dolce Luce, Jones-quartey, Kwame Nkrumah, Salisbury, Sansone, Senghor