L'aviazione senza piloti di Renzo Carnevali
L'aviazione senza piloti ANALISI L'aviazione senza piloti (Parigi vende cento aerei alla Libia e s'impegna a istruire i suoi aviatori) Dopo; avere deciso di cedere cento aerei alla Libia (e di istruire i suoi piloti), il governo francese tratterebbe ora la vendita di altri cinquanta cacciabombardieri all'Irak. Se i negoziati, di cui si parla finora soltanto per indiscrezioni (le parti trattarono già una volta nel 1958 e l'affare sfumò perché Bagdad — dice Le Monde — non fece il primo versamento pattuito), andranno a buon fine, il mercato dei Mirage nel Mediterràneo sud-orientale diverrà rilevante, con aspetti curiosi: due schieramenti — Israele da una parte; Libano, Libia e Irak dall'altra — potrebbero un giorno combattersi sugli stessi aerei usciti dagli stabilimenti Dassault. La prospettiva che altri 150 apparecchi da combattimento vadano ad accrescere nei prossimi anni l'arsenale militare del Medio Oriente è inquietante, ma essa forse ha meno peso strategico che politico. Anche nelle commesse belliche, i paesi arabi cercano spesso l'apparenza della forza. I cento aerei ordinati dalla Libia, che non ha mai avuto una vera aviazione da combattimento, possono compiacere le esigenze guerriere del governo militare ed offrire un simbolo di prestigio, ma non dare al paese un'autentica potenza. . Così i cinquanta nuovi aerei che Bagdad vorrebbe aggiungere ai suoi 80 Mig russi e ai suoi 25 Hunter inglesi non renderebbero più offensiva l'aviazione irakena la quale, pur relativamente vistosa già allora, agì con molta pruder*:, zà'nella guerra dei «sei giorni ». L' addestramento degli equipaggi per i Mirage richiede da due a quattro anni, e non è ancora un fatto decisivo nella guerra aerea. Questa remora potrebbe acquietare la coscienza dei venditori. Peso maggiore ed effetto immediato hanno le conseguenze politiche. Anzitutto il contratto con la Libia ' (immediatamente preceduto dalla vendita di duecento tonnellate di armi all'Irak) non è un'eccezione, a giudicare da un comunicato dell'Eliseo, il quale spiega che « la politica francese di embargo varia secondo la qualità più o meno offensiva delle armi, la posizione geografica dei paesi acquirenti, la loro partecipazione diretta o no alla guerra e infine l'evoluzione del conflitto». Dottrina volutamente imprecisa, che non impedisce la cessione di Mirage ad altre nazioni ambe dopo la Libia e l'Irak. La Francia, principale partner commerciale di molti paesi islamici, persegue il suo interesse economico e rinnova (con la «presenza» nel Medio Oriente) i sogni gollisti di inserimento tra le due massime potenze. «E' l'occasione — così il Quai d'Orsay ha commentato l'affare con la Libia — di assicurarci un nuovo mercato e di limitare l'espansione sovietica nel Mediterraneo ». Ma con la revisione francese della politica d'embargo si spegne anche la politica di dosaggio e di ambivalenza, per cui De Canile potè vendere armi ad alcuni Stati arabi e ad Israele senza scontentare nessuno. Già i sovietici avevano scosso l'equilibrio sostituendo con abbondanza gli armamenti perduti da egiziani e siriani nella guerra dei « sei giorni », per un valore di centinaia di milioni di dollari. Le forniture francesi, in concorrenza con la Russia e nella stessa direzione, sovraccaricano la bilancia da una sola parte. Il nuovo vantaggio degli arabi, sebbene per adesso inoffensivo, rafforza oggi le richieste di Israele agli Stati Uniti. Time nota: « L'orientamento della Francia potrebbe indurre Washing ton a rivedere le posizioni rispetto alla domanda israe liana per la fornitura di aerei Phantom e Skyhawk e di missili terra-aria ». Renzo Carnevali
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