Il "nemico degli italiani"

Il "nemico degli italiani" INTERVISTA CON JAMES SCHWARZENBACH Il "nemico degli italiani" Svizzero tedesco di educazione britannica, protestante convertito al cattolicesimo, nega di essere un razzista pur chiedendo l'espulsione di 300 mila lavoratori stranieri - « Ben vengano gli uomini del Sud, ma pochi, per poterli assimilare » - Le conseguenze sull'economia non lo interessano: è un conservatore con il culto delle tradizioni e la nostalgia della « Belle epoque » (Dal nostro inviato speciale) Zurigo, 21 gennaio, -Dicono che sia. un razzista di tipo rhodesiano; che prima della guerra fosse uno dei pochi svizzeri che simpatizzavano per Hitler; che quando incontra un lavoratore italiano o spagnolo rischi l'infarto. I nostri emigrati pronunciano il suo nome, storpiandolo, con un misto di timore e di astio; gl'industriali e i sindacati svizzeri, preoccupati per il suo progetto « contro l'inforestieramento », hanno stretto alleanza per evitare che nel referendum del 7 giugno prossimo la sua tesi possa trionfare. I suoi sostenitori vedono in lui una specie di arcangelo con la spada fiammeggiante che scaccia dal Paradiso Terrestre svizzero i piccoli, vociferanti uomini del Sud; i suoi avversari lo chiamano « uccello nero », «apprendista stregone», «disonore del Paese». « Per carità — mi dice con voce sommessa James Schwarzenbach, movendo lentamente la mano per dispèrdere il fumo dèlia stia pipa — mai avuto simpatie per il nazismo e per il razzismo, mai stato iscritto al Fronte Nazionale (l'organizzazione politica svizzera che negli Anni Trenta simpatizzava per Hitler); sono un liberale, un conservatore che non volta le spalle al progresso, questo no, ma a cui stanno a cuore soprattutto le tradizioni ». In Casa editrice Cinquantanove anni, vestito di scuro, occhiali, mento sfuggente, voce sommessa, gesti misurati di chi usa le mani soprattutto per sfogliare i libri, sembra uno di quegli uomini solitari e introversi che passano l'intera vita in biblioteca; ma che talora, sotto il velo del¬ la mitezza interiore, possono nascondere drammi angosciosi, turbamenti segreti. Più inglese che svizzero, direi, se non fosse così piccolo di statura. Del resto nella sua famiglia — industriali tessili di antica tradizione — l'Inghilterra ha' sempre rappresentato l'esempio, il modello; suo padre, studente a Cambridge, era così infatuato dallo stile britannico che quando ebbe un figlio volle chiamarlo James, all'inglese, certo l'unico James di tutto il Cantone di Zurigo. Anchfi l'ambiente dove mi riceve è « inglese ». Siamo nella sede della Casa editrice presso cui Schwarzenbach lavora come redattore, il suo ufficio è lontano da tutti gli altri, all'ultimo piano, in cima a una vecchia scaletta di legno tirata a lucido. Una stanza modesta, foderata di libri fino al soffitto, uno scrittoio, due poi- \ stiano' ansi cattolico (la sua trone di cuoio. Mentre preme il tabacco nel fornello della pipa, dice che chi lo accusa di razzismo è un imbecille. Proprio cosi, in francese: « C'est un imbécile ». La parola, per quanto pronunciata quasi in un soffio, detta da lui sorprende come una frustata. In Europa, mi spiega, parlare di razze è assurdo, tutt'al più si può parlare di famiglie. E'ìa Svizzera, lo sanno tutti è.composta di tre famiglie: tedesca, francese, italiana, che hanno trovato un eccellente equilibrio. Dunque nel suo progetto — che tra l'altro prevede di allontanare anche una parte dei lavoratori austriaci e tedeschi — la componente razzista non esiste. Ben vengano gli uomini del Sud, purché non superino una percentuale stabilita. In tal caso la Svizzera avrà ogni convenienza a farli lavorare, ospitarli e, qualora vogliano restare definitivamente, ad assimilarli. Oltre certi limiti, invece, l'assimilazione è impossibile, contrasti e attriti esplodono inevitabilmente. Già, ma questo milione di lavoratori stranieri ha costruito case, ponti, autostrade: in molte imprese costituisce il nerbo della manodopera, ha contribuito in modo decisivo al boom economico svizzero. Boom' economico? Di nuovo Schwarzenbach fa il gesto di cacciare il fumo. L'espressione evidentemente non gli piace e non gli piace neppure la sostanza. Perché questa continua corsa alla produzione? Per quanto provenga da una famiglia di industriali, l'industria non gli è mai stata congeniale. E la « smania » che anima gli imprenditori neppure. In luì pare di avvertire una ribellione contro l'ambiente di provenienza, qualcosa di vago, sfumato, chissà se nasce da frustrazioni, rotture, rimpianti. Che l'economia si sviluppi, d'accordo, dice, ma non bisogna esagerare. Se no, i miti dell'espansione e della produttività rischiano di cancellare definitivamente i valori tradizionali. « Mi creda, — dice — pochi hanno capito il significato della mia iniziativa. Mi accusano di xenofobia, di razzismo, di nazionalismo. Macché. Io lotto soprattutto contro lo strapotere dell'economia e dell'industria nel mondo moderno. Secondo me è lo Stato che deve guidare l'economia, non viceversa. E nel guidarla deve mirare alla salvaguardia dei valori tradizionali. I miei principali avversari sono gli industriali ». Con ciò, tiene a precisare, il suo scopo non è quello di distruggere l'industria svizzera. Anzi, è convinto che l'attuazione del suo progetto, alla lunga, finirà per giovarle. « Molti industriali, invece di rinnovare gli impianti, hanno preferito importare manodopera straniera — spiega —. Col mio progetto saranno costretti a modernizzarsi ». Gli faccio presente che tutti, gli economisti, i tecnici, i giornalisti con cui ha parlato sono di parere contrario: non sempre è possibile automatizzarsi, e là dove si può, occorrono capitali ingenti e tempi lunghi. La partenza di 350 mila lavoratori sarebbe un colpo mortale per l'economia elvetica. Il lato umano Quali argomentazioni tecniche può portare in contrario? Ahimé, Schwarzenbach non è un tecnico, la sua fiducia nasce più dall'istinto e dal sentimento che da calcoli statistici o da analisi strutturali. Si limita a rispondermi che il suo progetto non prevede l'allontanamento di 350 mila, ma « solo » di 300 mila lavoratori; e non da un I giorno all'altro, ma nell'or| co di quattro anni. E il lato umano? Oltre che liberale e conservatore, egli ci tiene a definirsi cri- famiglia era protestante, ma lui sì convertì al cattolicesimo a 22 anni, nel 1933), si dichiara praticante, è stato a lungo redattore di pub blicazioni cattoliche. Il fatto che 300 mila persone pos sano trovarsi da un giorno all'altro senza lavoro non turba in qualche modo la sua coscienza? « Per nulla — risponde candidamente. — Sono cat¬ tolico ma prima di tutto ho precise responsabilità politiche verso il mio paese ». Gli chiedo come avvenne la sua conversione dal protestantesimo al cattolicesimo; se nell'autorità e nella gerarchia della Chiesa cattolica non abbia per caso cercato quel senso di sicurezza e di tranquillità che, per certuni, viene dalla coscienza di appartenere a una collettività organizzata con direttive e disposizioni ben precise, che scendono dall'alto. Una fuga, insomma, dalla libertà e dalla solitudine implicite nel protestantesimo e nell'ateismo. Schwarzenbach riflette, tira due boccate, poi risponde di no, non crede che siano slate queste le cause. Poco più tardi, però, ammette che nel Cattolicesimo ha cercato e trovato soprattutto una cosa: la Verità data dalla Rivelazione. Si dichiara ammiratore di Pio XII, contrario al nuovo corso post-conciliare, preoccupato per i compromessi, le esitazioni, i cedimenti del cattolicesimo d'oggi. « La Chiesa — dice — dovrebbe avere un solo compito: darci la Verità ». Scrive romanzi Problemi tanto impegnativi non possono essere affrontati seriamente nel corso di una breve intervista. Meglio parlare di cose più leggerefamiglia, abitudini, la vita a Zurigo, quella di una volta e quella d'oggi. Degli hobbies, naturalmente. James Schwarzenbach dice di averne uno solo, che a rigore non può nemmeno essere considerato tale: scrive romanzi. Ne ha pubblicati diversi, hanno ottenuto anche un discreto successo; ecco, forse proprio in questo scaf¬ fale ce ne dev'essere qualcuno. Con la sua pipa in bocca si alza, fruga fra i libri con dita leggere, ne prende uno, se lo rigira amorevolmente fra le mani, me lo porge. Ecco il titolo: Belle epoque. Gaetano Tumiati Zurigo. 11 deputato, James Schwarzenbach, nel suo uilicio editoriale (lelcfoto)

Luoghi citati: Cambridge, Europa, Inghilterra, Svizzera, Zurigo