Saranno processati 11 carabinieri per violenze e lesioni ai "fermati" di Guido Guidi

Saranno processati 11 carabinieri per violenze e lesioni ai "fermati" Rinviati a giudizio al Tribunale di Roma Saranno processati 11 carabinieri per violenze e lesioni ai "fermati" Sono 3 ufficiali, 4 sottufficiali e 4 militari - Secondo il capo d'imputazione, avrebbero « strappato » la confessione a 26 persone (denunciate per rapine in Piemonte e in Lombardia fra il '63 e il '64) - Il giudice istruttore parla di « violenze d'ogni tipo » - Tutti respingono le accuse (Nostro servizio particolare) Roma, 19 gennaio. Tre ufficiali dei carabinieri', quattro sottufficiali e quattro militari sono stati rinviati a giudizio per violenza privata, per lesioni e per aver sottoposto dei fermati a misure di rigore non previste dalla legge. Sono reati che il Codice punisce con una pena che può arrivare a circa 10 anni di reclusione. Si tratta del maggiore Mario Siani, ex comandante dei carabinieri di Bergamo; del capitano Vittorio Rotellini; del tenente Vincenzo SporHello; dei brigadieri Rolando Vaglini, Francesco Montelli, Salvatore Guerrieri e Vincenzo Sansone; dei carabinieri Biase Canestrate, Calogero Baldacchino, Carmine Puglia ed Ennio Ceccotti. Secondo l'accusa picchiarono 26 fermati, impedirono loro di dormire, li lasciarono senza mangiare e senza bere per alcuni giorni, ed ottennero la confessione d'aver rapinato alcune banche in Piemente e in Lombardia. Soltanto dopo un paio di mesi 11 giudice istruttore di Tonno accertò che la confessione era slata estorta. I fatti risalgono a sei anni fa. Tra il gennaio 1963 e il gennaio 1964 l'Italia Settentrionale (in particolare le Lombardia e il Piemonte) fu terrorizzata da una banda, che con metodo e regolarità prese ad assaltare le banche, soprattutto quelle dei piccoli paesi. Per ultimo arrivarono anche a Torino dove una ragazza, Giovanna Freccino, venne gravemente ferita. I carabinieri di Bergamo I agli ordini del magg. Siani | ritennero di avere individuato i responsabili e all'alba j del 30 gennaio 1964 li feri marono: chi a Romanengo, | chi a Offanengo, chi a Crema, chi a Codogno. ^.accolsero le confessioni di tutti e trasmisero gli atti al giudice istruttore di Torino, dove era avvenuta l'ultima rapina. Ma il magistrato, dopo un paio di mesi, si rese conto che a quelle confessioni non poteva essere attribuito alcun valore e prosciolse gli imputati per non avere commesso il fatto. Uno dei fermati riuscì a dimostrare la propria innocenza, perché il giorno in cui era stata compiuta la rapina per la quale era accusato risultava, senza possibilità di dubbio, ricoverato in ospedale con un braccio ingessato. I carabinieri (i quali negano di avere usato qualsiasi tipo di violenza) dal ruoto di accusatori finirono per assumere quello di accusati, in seguito alla denuncia pre- sentata dall'avv. Vittorio Beitini di Roma. Le indagini sulla denuncia, che sono state compiute dalla magistratura romana perché la Cassazione le ha trasferite a Roma per « legittima suspicione », si sono concluse con risultati sconcertanti: i fermati hanno finito per confessare perché in questo modo fu loro possibile sottrarsi alle sevizie. « La prova dei fatti, ha sottolineato ora il giudice istruttore dott. Aliprandi nella sentenza di rinvio a giudizio, è emersa in modo evidente. Gli incriminati furono sottoposti a violenze di tutte le specie: percosse, pugni, schiaffi, calci in faccia, sul capo e in tutte le parti del corpo, pressioni delle dita sul pomo d'Adamo, dietro le orecchie, spinte tali da far battere il capo degli inquisiti contro il muro. Inoltre i detti inquisiti venivano il più delle volte tenuti in piedi, e nudi, con le braccia in alto e le mani contro il muro o ammanettati ». « I predetti, infine, continua la sentenza, venivano altresì privati del cibo e dell'acqua ed impediti di dormire. E ciò sino a che, alcuni prima, altri dopo qualche giorno, non ebbero a confessare... La verbalizzazione (degli interrogatori e quindi delle " confessioni ": n.d.r.) è stato l'atto finale di un calvario sofferto da quelle persone... La verbalizzazione si è verificata quando gli inquisiti, ormai sfiniti, non avevano più una volontà propria, limitandosi a narrare i fatti secondo la ricostruzione di coloro che per così lungo tempo li avevano ossessionati con le domande e con la richiesta di confessione, inculcando appunto nella loro mente sempre più vacillante quello svolgimento dei fatti che essi inquirenti avevano ritenuto essere la realtà». Tutti i militari, ma in particolare gli ufficiali, respingendo qualsiasi responsabilità hanno sostenuto che le confessioni furono spontanee e che nessuno di coloro che frequentava nei giorni delle indagini gli uffici dei carabinieri a Bergamo notò qualcosa di anormale. « E' facile obiettare, ha replicato il giudice istruttore, che, a parte la circostanza che i militari (n.d.r.: indicati come testimoni per avere frequentato gli uffici del comando) furono con molta scorrettezza avvicinati dal magg. Siani prima di essere interrogati dal giudice istruttore, è evidente che le violenze non venivano inferte in pubblico, ma nel segreto degli uffici e da parte di un ristretto e fidato gruppo di militari alle dipendenze del maggiore Siani ». Guido Guidi