Spadaccino e dongiovanni nella Sicilia borbonica

Spadaccino e dongiovanni nella Sicilia borbonica LE MEMORIE DEL BARONE PALMIERI Spadaccino e dongiovanni nella Sicilia borbonica Quartogenito del palermitano don Placido, barone di Micciché e marchese di Villalba, Michele Palmieri nacque a Termini Imerese nel 1799; crebbe, curioso e piccoso, nel giro di quell'aristocrazia siciliana che avrebbe poi avuto i suoi più pungenti celebratori nel De Roberto dei Viceré e nel Lampedusa del Gattopardo: maturò, spadaccino e dongiovanni, nella Napoli di re Ferdinando I; scontò con vent'anni d'esilio l'incauta partecipazione al moto separatista siciliano del 1820; rimpatriò infine, precocemente vecchio e stanco, a prezzo di non onorevoli ritrattazioni. Personaggio, dunque, romanzesco. Ma romanzesco come tanti altri di quel tempo e del suo rango; divisi fra vecchio e nuovo, fra nobiliare orgoglio dell'antico sangue e inquietudine del futuro. Sì che non ci meraviglieremmo né delle molte simpatie godute in vita da questo don Michele né del lungo silenzio dopo la sua morte, se da qualche decennio non ne fosse venuta fuori un'immagine via via sempre più curiosa e suggestiva, tutta del suo periodo di esule: di quel ventennio, cioè, che egli trascorse in gran parte a Parigi. Perché fu allora, appunto, che il buon Michele prese la penna in mano e — forse più per ingannare il tempo che per tentare la via della celebrità — scrisse memorie, pamphlets, opere di teatro oggi riesumate come ghiotte e preziose testimonianze. Riesumazioni, oltretutto, compiute da due diversi ed egualmente illustri versanti: da una parte il Croce, primo studioso del Palmieri come di una fonte non secondaria delle cronache napoletane del primo Ottocento; dall'altra gli « stendhaliani », arrivati a scoprire, in diverse opere del grande scrittore francese, molti argomenti, notizie e immagini evidentemente suggerite dal nostro esule. Di qui, oltre che dalla privata amicizia dello Stendhal e da una singolare dichiara| zione di simpatia rivoltagli dal Mazzini, gli argomenti di un « caso » letterario, finalmente a disposizione anche dei lettori non specializzati con l'uscita in italiano, e in preziosissima veste, dei Costumi della corte e dei popoli delle Due Sicilie: scritto in francese, pubblicato a Parigi nel 1837 e sinora sconosciuto al nostro pubblico. Il libro è davvero una sorpresa, indipendentemente dal « caso » e dall'importanza documentaria delle cronache, tutte di primissima mano. Perché il Palmieri ha il dono, oggi purtroppo irreperibile, del memorialista conversatore: il suo stile, invece che I nel giro delle parole, è nel calore della voce. Egli, dunque, parla. Parla rievocando Nelson e funzionari della corte napoletana, personaggi di famiglia e dame che gli sorridono nella memoria con galante trepidazione. Ma se cerchi i colori del bene e del male, se chiedi all'autore un giudizio morale o politico sulla società che egli descrive, non hai risposta. Il Palmieri è di quelli che raccontano il « come », non il « perché », delle cose: questo il motivo della stima che ne ebbe Stendhal; e del piacere di chi, oggi, ne « ascolti » le pagine. Ferdinando Giannessi MICHELE PALMIERI: Costumi della corte e del popoli delle Due Sicilie - Ed. Longanesi, 496 pagine - Lire 15.000.

Persone citate: Barone Palmieri, Ferdinando Giannessi, Longanesi, Mazzini, Michele Palmieri, Palmieri, Roberto Dei

Luoghi citati: Lampedusa, Parigi, Sicilia, Termini Imerese, Villalba