Come aumentare la produttività per equilibrare i più alti salari di Gianfranco Piazzesi

Come aumentare la produttività per equilibrare i più alti salari UOMINI E COSE DELL'AUTUNNO CALDO Come aumentare la produttività per equilibrare i più alti salari (Intervista con Glisenti, presidente dell'Intersind) Roma, gennaio. Giuseppe Glisenti, presidente dell'Intersind, l'organizzazione sindacale delle aziende del gruppo Iri, nel corso dell'autunno caldo era venuto a trovarsi in una situazione assai delicata. Agli occhi del pubblico l'Intersind era la, cartina di tornasole. Dal modo con cui si sarebbe comportata, la gente sperava di capire se le richieste dei lavoratori erano fondate o se le riserve degli industriali privati erano giuste. Le trattative per il contratto dei metalmeccanici sono durate a lungo, ma l'Intersind ha sempre tenuto fede a tutte le responsabilità di ordine sindacale o politico che gli sono piovute addosso. Glisenti è venuto largamente incontro alle esigenze dei lavoratori ed è soprattutto per la sua comprensione se i sindacalisti, oggi, possono parlare di una « grande vittoria ». Ma Glisenti ha fatto chiaramente capire che le apprensioni degli imprenditori privati erano e rimangono del tutto legittime, perché le richieste dei metalmeccanici « hanno superato il punto di equilibrio fra aumento delle retribuzìonv e aumento della produttività». L'Intersind ha accettato di fare talune concessioni anche per motivi estranei a calcoli di pura economia, aziendale. In un certo senso, ha offerto ai sindacati una cambiale in bianco: ma se i lavoratori o i loro rappresentanti fraintendessero lo spirito con cui l'Intersind ha firmato il contratto, si potrebbero avere serie conseguenze per l'intera economia nazionale. Giuseppe Glisenti, laureato in Economia all'Università di Milano, per tre anni fu direttore della rivista Cronache sociali, che rifletteva il pensiero della sinistra democristiana, e dal 1949 al 1951 fu capo dell'ufficio studi della Cisl. Vent'anni fa Glisenti e Macario appartenevano entrambi alla stessa centrale sindacale, vivevano un'esperienza simile e probabilmente avevano le medesime idee. Negli ultimi due mesi si sono ritrovati di fronte: uno come imprenditore, l'altro come rappresentante degfl operai. Sul futuro della, nòstra economia, e. sulle caratteristiche del nostro sistema produttivo, il manager e il sindacalista hanno talvolta mostrato di avere opposte opinioni. Glisenti ama parlare poco di sé, ma in compenso è pronto a offrire a ogni interlocutore una lucida radiograffa del sindacalismo italiano. Dalla sua analisi emerge un movimento pieno di vitalità, ma anche carico di problemi, e dov'è in atto una convergenza verso l'unita sindacale, ma dove si registrano anche notevoli spinte centrifughe. Forti dissensi esistono tra dirigenti confederali e federali da una parte, e i sindacalisti di base che invece operano nella fabbrica. Notevoli frizioni si avvertono appena vengono in conflitto le tendenze mediatrici dei primi e le spinte estremiste degli altri, sia sul piano delle rivendicazioni che su quello politico. L'incrinatura è in verticale, dal centro alla periferia. E queste tensioni interne, fisiologiche e ideologiche nello stesso tempo, sono sopraggiunte in un momento in cui era già vivo il malumore dei lavoratori verso la classe politica. La concorrenza fra dirigenti sindacali e sindacalisti di base è stata certamente una delle principali componenti di questo autunno caldo, e per poco non l'ha reso incandescente. In un'intervista Glisenti ha detto: « Il contratto dei metalmeccanici è una sfida che il movimento sindacale dei lavoratori lancia agli imprenditori, ma anche a sé stesso. Sul piano economico è stato superato il punto di equilibrio fra l'aumento della produttività e l'aumento delle retribuzioni, e l'imprenditore dovrà cercare la risposta in un accrescimento straordinario delle produttività e della redditività delle imprese. Ma il sindacato, forzando i limiti economici del rapporto produttività - salari, dovrà scegliere fra due strade: o cooperare con l'imprenditore per accrescere rapidamente la produttività, cioè accettare la logica di ogni sviluppo industriale, oppure correre il rischio di un'involuzione del processo produttivo ». E' mia impressione che Glisenti speri moltissimo nel senso di responsabilità dei sindacalisti, ma che non ci creda del tutto. Il presidente dell'Intersind, durante questo autunno caldo, è rimasto colpito, ancor più che dalla entità di certe rivendicazioni, da quel tipo di filosofia con cui parte dei lavoratori e parte dei loro rappresentanti hanno affrontato questa lotta. Per Glisenti la contestazione, anche nelle sue forme non violente, non dovrebbe coinvolgere il processo produttivo. Per lui la grande industria moderna non potrà ulteriormente prosperare, anzi finirà per morire, se non verrà imboccata la strada opposta: se non sarà realizzata, cioè, una collaborazione fruttuosa fra il lavoratore e l'imprenditore. Con me il presidente dell'Intersind ha molto insistito su questo punto, e mi ha consegnato un messaggio drammatico. « Un sindacalista può chiedere tutto, anche una modifica del sistema; insomma può pretendere, per usare le parole di una volta, anche una rivoluzione. Ma in questo caso ha il dovere di spiegare ai lavoratori di che tipo di rivoluzione si tratti. Se vuole spingere la battaglia delle rivendicazioni oltre ogni limite di sicurezza, certamente si va verso una rivoluzione; ma sarà una rivoluzione di disoccupati, di sottoproletariato, quali né Marx, né Mao hanno mai predicato. I sindacalisti e gli operai dovrebbero pur sapere che, oggi, nei i Paesi industrialmente avanzati le vere modifiche del sistema si fanno attraverso l'espansione economica ». La crisi della società italiana è evidente: anche sotto il profilo sindacale si finiscono per incontrare gli stessi nodi, che rendono così complicata la situazione sotto il profilo politico. La divergenza di ideologie e di interessi fra dirigenti confederali e dirigenti di base porta a una/ disorganica e irrazionale strategia delle rivendicazioni e questo conflitto finisce per ricordare certi impulsi, ora velleitari ora avventuristici, che lacerano i partiti del centro-sinistra. La divisione porta incertezza e immobilismo, e il sindacato, secondo Glisenti, « non sa ancora decidere se deve accettare la logica della produttività come metro dell'espansione economica, o se attaccare l'azienda in sé, pur di scardinare l'ordine economico e sociale esistenti ». Non sarebbero consentiti, per Glisenti, neppure la neutralità e il disimpegno. La vera scelta è tra la piena e leale collaborazione con l'imprenditore, pubblico o privato che sia, e la contestazione. E' la stessa tecnologia che lo impone. « Le fo un esempio — Glisenti mi dice. — I moderni altiforni per la produzione di ghisa non sopportano gli scioperi di breve durata, o a gatto selvaggio. Un raffreddamento troppo rapido rischia di bloccarli per qualche settimana. Orbene, le più avanzate tecnologìe degli altiforni sono adottate in tre Paesi, Stati Uniti, Giappone e Unione Sovietica, che non conoscono gli scioperi, oppure hanno scioperi di lunga durata, come accade in America ». « Si tratta — aggiunge Glisenti — di un caso estremo, ma comunque è certo che ogni tecnologia è figlia di una determinata società. Più crescono i salari, più l'imprenditore è costretto 'a rendere i suoi impianti moderni e razionali. Ma allora divengono più complessi i compiti dei lavoratori e maggiore deve risultare la sua volontà di far funzionare l'impresa. O la collaborazione o il caos. O l'impegno sul lavoro si fa più responsabile, o l'operaio finirà per sterilizzare la sua vacca da latte ». Ma Glisenti è troppo accorto e troppo sensibile al problemi sociali, per non fare anche il ragionamento inverso. « In un'impresa a tecnologia avanzata, l'operaio finisce per trasformarsi: il senso dì responsabilità e il culto dell'efficienza lo rendono un uomo diverso. E nessuno può pretendere che, uscendo da una fabbrica modernissima, il nostro operaio di colpo torni ad essere l'italiano di una volta, rassegnato a una città dove i servizi non funzionano, disposto a vivere all'interno di uno Stato decrepito. Certi traumi sono più che comprensibili. L'i macchine si possono importare da tutti i Paesi più evoluti ed è relativamente facile organizzare un'impresa con criteri razionali; ma alla lunga è impossibile che un'industria moderna riesca a sopravvivere dentro uno Stato antico ». E' come dire che i doveri sono di tutti e che non si può chiedere all'operaio più consapevolezza dell'interesse generale e maggiore impegno, senza offrirgli almeno altrettanto. Gianfranco Piazzesi Roma. Giuseppe Glisenti dell'Intersind (Tel. Team)

Luoghi citati: Giappone, Milano, Roma, Stati Uniti, Unione Sovietica