La Libia chiede a Parigi armi in cambio di petrolio di Sandro Volta

La Libia chiede a Parigi armi in cambio di petrolio La politica della Francia in Medio Oriente La Libia chiede a Parigi armi in cambio di petrolio Il portavoce del governo francese ammette che vi sono trattative in corso per la vendita di 10 o 15 «Mirage» ai dirigenti di Tripoli (Dal nostro corrispondente) Parigi, 7 gennaio. Appare ormai evidente che ciò che condiziona la politica mediorientale della Francia e costringe il governo neogollista a mantenere invariata la posizione che aveva assunto il generale De Gaulle è il petrolio. Presa nella lotta per accaparrarsi le risorse petrolifere, che oppone le grandi potenze, Parigi non può più rinunciare aZZ'embargo sulle forniture di armamenti a Israele, pur inviando armi ai paesi arabi. E' una politica che contrasta con i sentimenti dell'opinione pubblica francese ed è, forse, per questo che vengono più o meno tollerate infrazioni sul tipo dell'affare delle «vedette» di Cherbourg. « L'errore -del governo francese — scrive Le Monde nell'editoriale di stasera — è soprattutto di cercare di dare una giustificazione morale o giuridica a una politica che non ha nulla di equo. Tutte le grandi potenze, disgraziatamente per i popoli direttamente interessati, hanno fatto delle loro vendite d'armamenti non soltanto una fonte di redditi apprezzabili, ma anche uno strumento di penetrazione economica e politica nei paesi del terzo mondo ». Una ricerca di giustificazione morale è, appunto, la dichiarazione che il sottosegretario alle Informazioni ha fatto dopo il Consiglio dei ministri di stamane: « La Francia — ha detto — ha voluto impedire lo scoppio della guerra nel Medio Oriente ed è perciò che ha preso, prima del suo inizio, il 3 giugno, una decisione d'embargo sperando, purtroppo a torto, che sarebbe stata seguita da tutti.». Il sottosegretario ha poi affermato che questa politica varia a seconda « della qualità offensiva o no delle armi, della posizione geografica dei paesi acquirenti, della loro partecipazione diretta o no alla battaglia, dell'evoluzione del conflitto ». Queste sottili distinzioni hanno indotto il portavoce del governo ad ammettere che tra la Francia e la Libia sono realmente in corso conversazioni per una cooperazione « estesa in ogni campo », anche in quello degli armamenti. Leo Hamon non ha specificato la quantità di materiale bellico che la Francia fornirà alla Libia, ma ufficiosamente si afferma che non è vero ciò che ha pubblicato il New York Times e. cioè, che è già stato firmato un contratto per la vendita di 50 Mirage: le trattative in corso riguardano soltanto da 10 a 15 apparecchi, la cui consegna sembra che non potrà avvenire prima di due anni. Ma dietro tutta questa faccenda bisogna vedere ì 150 milioni di tonnellate di petrolio che esporta la Libia. La Francia ne importa in quantità sempre maggiori: l'anno scorso è passata dal 13 per cento del 1968 al 17 per cento dei suoi approvvigionamenti totali. Il valore di queste importazioni supera già il miliardo di franchi IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII (110 miliardi di lire), ma tende a raddoppiare rapidamente.' Per bilanciare questa somma, la Francia dovrebbe esportare in Libia l'equivalente, fra beni di attrezzamento e merci varie. Ma il governo libico, come tutti i governi arabi, è affamato dì armi e, nelle trattative in corso, pone come condizione inderogabile che una notevole aliquota delle sue importazioni dalla Francia sia rappresentata dagli armamenti. E' dunque, ih un certo senso, un ricatto che subisce Parigi: ma è chiaro che le giustificazioni morali non c'entrano. Sandro Volta

Persone citate: De Gaulle, Leo Hamon