Matrimoni sbagliati venti anni fa e oggi di A. Galante Garrone

Matrimoni sbagliati venti anni fa e oggi Matrimoni sbagliati venti anni fa e oggi Il giudice Rodolfo Vcnditti ha di recente riepilogato, sulla Giurisprudenza italiana, le sue esperienze in tema di separazione personale dei coniugi. Il suo scritto mi ha particolarmente interessato perché, molti anni fa, mi è accaduto di fare a lungo — dapprima come giudice e poi come presidente della sua stessa sezione di tribunale — un'esperienza non dissimile. A circa due decenni di distanza, vien voglia di tentare un confronto tra l'una c l'altra. Che cosa è mutato, da allora? Una prima constatazione statistica si impone: le cause di separazione sono enormemente aumentate. E, a quanto risulta, lo stesso fenomeno si è avuto per le separazioni di fatto, quelle cioè che sfuggono all'accertamento del tribunale, ma non per questo sono meno reali e durature. In questi ultimi decenni la crisi della famiglia si è fatta più grave, o almeno più scoperta; un numero stragrande di matrimoni non ha retto all'urto del tempo, rivelando una paurosa fragilità. Il fenomeno, nella sua imponenza e serietà, non può essere contestato, quali che ne siano le cause. Non si possono chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Sembra a volte che i più caparbi oppositori del divorzio — estremo rimedio a un male estremo — si siano resi volutamente cicchi. Ma sono anche radicalmente mutate, in questi venti anni, le sollecitazioni ambientali e le condizioni sociali che stanno, più spesso di quanto non si creda, alla base delle separazioni tra coniugi. Allora si era appena usciti dalla guerra, dalle rovine, dall'Italia divisa in due. L'incubo della miseria, la prigionia di guerra e i lunghi distacchi, le difficoltà alimentari (rammento, in una causa di separazione, le acrimoniose rampogne, in una famiglia borghese, per qualche chilo di zucchero furtivamente sottratto da un coniuge all'altro!), le forzate coabitazioni nella casa dei suoceri, la precarietà del lavoro, il primo violento urto fra una società arcaica, immobile da secoli, fondamentalmente agricola e provinciale e l'improvvisa rivelazione di un mondo diverso, con le sue asprezze e contraddizioni: tutto questo aveva creato tensioni e squilibri gravi anche nei rapporti fra i coniugi. * * Oggi l'ambiente è mutato, o addirittura capovolto: ma ci si accorge che il più diffuso benessere economico, la maggiore mobilità nel lavoro, il tempo libero, gli allettamenti della civiltà dei consumi, il trapasso da una società agricola a una società industriale, l'immigrazione nei grandi centri urbani possono facilmente diventare elementi perturbatori della vita coniugale. Per quel che riguarda, infine, l'intervento del giudice, oggi si dispone, specialmente nei grandi tribunali, della preziosa collaborazione di assistenti sociali; c ci si comincia ad accorgere dell'utile sussidio che possono fornire all'opera del magistrato scienze come la sociologia e la psicologia. Al di là della tecnica giuridica, delle ipotesi di « colpa » previste dal Codice, si intravede la necessità di una più approfondita valutazione globale del comportamento dei coniugi. Ma c'è qualcosa, nelle cause di separazione, che è rimasto immutato nel tempo: e l'ottimo studio del Venditti ce ne dà una puntuale conferma. Prima di tutto, oggi come allora, sono rarissime le vere e proprie riconciliazioni, sia davanti al presidente nella prima comparizione personale, sia davanti al giudice istruttore nel corso del giudizio di separazione. Ed è logico che così accada. Quando ci si decide al passo estremo di rivolgersi al tribunale, la frattura è quasi sempre profonda e irrimediabile. Il magistrato coscienzioso non omette mai di esplorare se sussista anche solo una tenuissima possibilità di ripristinare un minimo di reciproca fiducia e tolleranza, di fare appello agli affetti del pr-ssato e allo spinto di sacrificio, di prospettare le incognite e le amarezze e le traversie di una vita separata, e spesso amareggiata dalla solitudine, dalle ac¬ cresciute difficoltà economiche, dalla rinuncia (totale o parziale) alla continua presenza dei figli minori. Ma egli sa, ammaestrato dalla esperienza, che quasi sempre si tratta non già di restituire un ultimo guizzo di vita a un legame compromesso, ma ancora esistente, bensì di constatarne c registrarne la morte. Piuttosto, ogni sforzo del presidente, o dell'istruttore, potrà e dovrà essere diretto, con buone probabilità di successo, a favorire la separazione consensuale, preferibile in ogni caso alla lunga e sfibrante contesa in giudizio, foriera sempre di risentimenti implacabili, di forsennato spirito polemico (spesso fuorviato dall'odio, dalla vendetta, dal rancore al limite della paranoia), di-guasti morali e materiali difficilmente riparabili. Ed è proprio qui, in questo sforzo ostinato, che si misura la pazienza del giudice, la sua imperterrita fede nel prevalere della ragione sulle passioni, il suo equilibrio. Se ce qualcosa di vero perfino nel detto popolare che « una cattiva transazione è sempre meglio di una buona sentenza », è ancora più evidente che la rinuncia delle parti all'avvilente ricerca e dimostrazione delle rispettive colpe e la decisione di prestabilire, se non d'amore almeno d'accordo, le condizioni del regime di separazione, sono sempre un minor male rispetto all'andamento e all'esito di un giudizio. Altra nota costante: le separazioni, giudiziali o di fatto, sono molto più frequenti nelle grandi città che nei piccoli centri o in campagna. La spiegazione più ovvia del fenomeno è di solito rintracciata nelle complicazioni addirittura nevrotiche, nelle tentazioni, nel rilassamento del costume, nel lavoro extradomestico della vita cittadina, spesso abissalmente lontana dagli usi patriarcali e dalla maggiore saldezza del nucleo familiare nelle località isolate. Ma se si guarda più a fondo, non si può non dar peso anche al fatto che « nelle campagne e nelle piccole città operano fortemente i condizionamenti dell'ambiente, i quali talvolta possono indurre i coniugi a salvare la facciata con una vernice di esteriore unità, pur in una realtà familiare gravemente compromessa ». E ancora: i coniugi che si rivolgono ai tribunali per la risoluzione delle loro controversie appartengono, in netta prevalenza, a categorie economicamente e socialmente modeste. E questo non già perché i motivi di dissidio vi siano più gravi e più frequenti, ma solo perché i ceti privilegiati hanno maggiori « possi¬ bilità di risolvere con una certa facilità ed eleganza i problemi economici che una separazione personale comporta». Al di sotto di un certo limite, gli obblighi di mantenimento c la necessità di provvedere a due separati bilanci creano spesso situazioni drammatiche e difficilmente risolubili, per cui il ricorso al giudice si impone quasi come una necessità. Si ricava altresì, dalle statistiche, che le cause di separazione promosse dalla moglie sono nettamente più numerose di quelle promosse dal marito. E' questo un altro segno della inferiorità economica e giuridica in cui la donna è tuttora tenuta dai nostri ordinamenti e dalla nostra società, c che spesso la costringe ad assumere l'ingrata iniziativa del giudizio, per ovviare alle conseguenze di una ingiusta disparità di trattamento. Infine non è sensibilmente mutato, nell'ultimo ventennio, il rapporto percentuale fra i vari motivi del ricorso solitamente addotti dai contendenti: adulterio, ^ingiurie gravi, eccessi, abbandono del domicilio coniugale. Piuttosto, si è fatta sempre più palese l'assurdità di circoscrivere l'indagine giudiziaria a questi motivi formalmente previsti dal Codice. Chi ha qualche esperienza di questi giudizi, ben sa che il fallimento di un matrimonio può dipendere da infinite altre cause, non riconducibili a un'astratta ipotesi della legge, ma profondamente radicate nel substrato di una difficile convivenza coniugale. Sarebbe ora di uscire da queste formalistiche strettoie, c concedere la separazione — come da più parti si propone — anche all'infuori della sussistenza di una specifica previsione di « colpa ». Le cause della rottura possono essere infinite, e difficilmente sondabili: come ha detto di recente Jemolo nel corso d'un dibattito, « talora separano più le piccole cose, abitudini, minuscole ripugnanze, modi di esprimersi, che non le grandi d. Io sono convinto, se ripenso alla mia lontana esperienza, che il giudice può fare qualcosa, pur che vi si impegni con spirito di sacrificio e senza iattanza i professionale, per aiutare i coniugi a sistemare nel modo migliore (o meno infelice) i loro rapporti: e tanto più lo potrà se, come anche il Venditti auspica, verrà istituito un Tribunale della famiglia. Ma quanto meno venga consentito al giudice di umanamente intervenire*.senza alcuna formalità di procedura, prima ancora che il matrimonio sia definitivamente naufragato. A. Galante Garrone

Persone citate: Rodolfo Vcnditti, Venditti

Luoghi citati: Italia