Il banchiere Lambert di Sandro Doglio

Il banchiere Lambert INCHIESTA TRA I GRANDI "MANAGERS,, EUROPEI Il banchiere Lambert I belgi Lambert, alla testa di una tra le più forti banche private, finanziarono la colonizzazione del Congo - Il barone Leon, 41 anni, ha esteso i suoi affari dalla birra al petrolio operando su scala mondiale - Dirige un istituto di studi sull'economia europea: pensa che i « managers » debbano interessarsi alla cultura e alla politica (Dal nostro corrispondente) Bruxelles, gennaio. Leon Lambert, 41 anni, è il general manager della banca che porta il suo nome, capofila di una catena di interessi e di attività che da Bruxelles si diramano in tutta Europa e in tutto il mondo. Si occupa di affari, ma soprattutto di studi. Il barone Lambert è il massimo dirigente della « Compagnia industriale e finanziaria di Oltremare». Si interessa allo sviluppo immobiliare; ha partecipazioni finanziarie in numerose banche importanti; partecipa alla gestione di fondi internazionali. Ha grossi pacchetti d'azioni di grandi magazzini, industrie petrolifere (Brufina), fabbriche di birra, allevamenti, miniere, fabbriche di cellulosa. La Banca Lambert è una delle più importanti banche private d'Europa. Fu fondata nel 1840 come agenzia di Anversa dei^Rothschild. Samuel Lambert, che ne assunse la direzione — e dopo di luì suo figlio Leon — sep-' pero a poco a poco imporsi come consiglieri e agenti d'affari dei primi re del Belgio, soprattutto di Leopoldo II che aveva mentalità di grande imprenditore. Rimasta interamente in mano ai Lambert (i legami con i Rothschild continuano tuttavia a sussistere, anche per vincoli familiari), la banca fu alla punta dell'espansione industriale belga nei primi anni di questo secolo. Una sede mirabile Henri, padre dell'attuale Leon, effettuò tra l'altro audaci investimenti nella « Società industriale di telegrafia senza fili », che creò il primo posto radio del paese, e fu tra i fondatori della compagnia aerea belga. Morì giovanissimo, nel 1933: il suo figlio primogenito, Leon, aveva appena cinque anni: « C'è stato dn lungo interregno; vecchi signori del tempo passato si occuparono degli affari. Quando io sono entrato nell'azienda, nel 1949, non c'era quasi più banca », mi spiega Leon Lambert. « Gli amici — continua — mi dicono che dovrei essere soddisfatto quando guardo al lavoro che abbiamo fatto finora. Ma io non guardo mai indietro. Unica eccezione, questo edifìcio. Lo guardo con soddisfazione. Penso: se morissi domattina, ho contribuito a costruire qualcosa che resta bello, dopo di me ». La sede della Banca Lam¬ bert, nel cuore di Bruxelles, a due passi dal Palazzo reale, è probabilmente uno dei più begli edifici moderni del mondo: se ne trovano fotogì afte e disegni su tutti ì testi di architettura contemporanea. Ma l'aspetto esterno non è che parte della sua bellezza. All'interno, in ogni ufficio, lungo i corridoi, nelle sale d'aspetto, sono raccolte migliaia di opere d'arte contemporanea: una specie di museo dell'arte oggi. « E' bello lavorare tra le cose belle — sostiene Leon Lambert —. L'opera d'arte deve essere messa in una certa cornice. Nel passato la mettevano nelle chiese, poi nei palazzi. Oggi la si deve trovare là dove si lavora. Insensibilmente, si impara ad amarla ». Arte e affari La bellezza e un gusto spiccato per l'arte sembrano dominare ogni attività del barone Lambert. I telefoni suonano in sordina, a ogni piano hostesses silenziose ed eleganti sembrano muoversi in un mondo ovattato, quasi irreale. Immensi tappeti color avorio attutiscono ogni movimento. Dalle pareti bianche balza, aggressivo, un Magritte, un Delvaux, un Kandinsty. «Siamo in un mondo — dice Lambert — in cui non si può che lavorare in équipe per riuscire. Finito il sistema degli yes-men, del padrone dittatore, unico arbitro dei sì e dei no. Nella mia équipe sono il primus inter pares. Soltanto a questo modo si possono fare più cose ». Gli domando come si definirebbe: « Dicendo banchiere si dicono tante cose differenti. Noi siamo una banca commerciale, ma anche una banca d'affari. Tra i due campi, credo di avere più temperamento per essere considerato un banchiere di affari. Ma mi considero — forse è poco modesto — soprattutto un artista. Ho gusto alla creazione e alla costruzione. Ho sviluppato a poco a poco una visione d'assieme, e ho l'impressione di dipingere. Aggiungo un tocco qua, un tocco là, ingigantisco l'affresco ». « Che cosa fa un banchiere d'affari nel mondo d'oggi? — continua —.Si occupa essenzialmente di operare nei settori nuovi. Dato lo sviluppo della tecnica, diventa sempre più difficile che le banche possano sostenere da sole gli sforzi dell'industria. Ma possono fornire finanziamenti, e soprat- tutto consigli. Il ruolo delle banche ci' affari nel secolo scorso era relativamente semplice: mio nonno ha investito nel Congo; tutti volevano colonie, bastava avere un po' di coraggio. Oggi certi settori sono difficili da capire, bisogna dare fiducia al tecnico, e il banchiere non è più il motore ». « Il capitale, secondo lei, sta dunque perdendo il suo ruolo tradizionale? ». « Oggi con le concentrazioni », risponde Leon Lambert, « le industrie diventano sempre più grandi e diversificate; e le industrie stesse diventano banchieri d'affari. E' la logica della grande concentrazione: ciò è vero del resto anche nel settore bancario; l'attività della banca tende a modificarsi, ed estendersi alla vendita di servizi in generale. E' corrente vedere banche, per esempio, che si lanciano nella vendita del software a. L'equipe di Leon Lambert è specializzata in studi sull'economia europea. Lo stesso Servant-Schreiber. per il suo Défi américain, ha attinto ampiamente ai documenti redatti dalla Banca Lambert sugli investimenti stranieri, sulle prospettive di sviluppo dell'industria del nostro continente, sul gap tecnologico. Parliamo perciò dell'Europa: « Vuole esistere, o vuole lasciarsi scindere a poco a poco in ima serie di colonie? E' questo l'interrogativo da risolvere. Sono estremamente favorevole all'America», mi dice Lambert, « ma, senza che gli Stati Uniti l'abbiano voluto, l'Europa rischia di diventare una colonia americana: perché non ci uniamo. Abbiamo tutte le capa- cita non dico per raggiungere l'America, ma per essere un'altra grande potenza nel mondo. Lo vogliamo? ». Si accalora: « Tutti dicono di voler l'Europa, ma ognuno sembra aggiungere: salvo per ciò che mi riguarda. Gli ambienti degli affari dicono "viva l'Europa", ma non sono pronti, per esempio, a realizzare grandi fusioni attraverso le frontiere (è vero che la situazione legale e fiscale lo rende diffìcile). Mi sembra che ognuno di noi voglia l'Europa fatta dal vicino. Il momento è estremamente importante, oggi abbiamo una nuova chance, forse l'ultima. Se la perdiamo, ci riduciamo a colonie. E se l'Europa non esiste, altri decideranno del nostro avvenire ». ( L'Europa da fare Leon Lambert ha idee molto chiare sul compito che i managers dovrebbero svolgere in Europa: « Devono partecipare alla vita pubblica. Devono studiare e dire le loro opinioni sui grandi problemi. Negli Stati Uniti ciò già avviene: gli uomini d'affari servono di tanto in tanto lo Stato, si impegnano sempre di più, come del resto fanno i sindacalisti. Gli uomini d'affari europei dovrebbero fare altrettanto; non dovrebbero preoccuparsi soltanto dell'avvenire della loro azienda, o del conto profìtti e perdite ». « Infine — conclude — bisogna anche avere l'ambizione di lavorare per l'Europa. La commissione del Mec è stata a poco a poco esautorata dai governi, pur essendo il solo organismo che potrebbe difendere i veri interessi dell'Europa. Gli uomini politici di maggior valore e 1 migliori funzionari non hanno voglia di venire a lavorare a Bruxelles. Un uomo politico come Colombo alla testa della Commissione — lo cito perché il suo nome è' stato fatto più volte — con la piena fiducia degli altri governi e con un lungo mandato, potrebbe fare del bene alla Comunità. Noi stiamo seduti a criticare il resto del mondo; invece dovremmo criticare noi stessi, per quel che non facciamo ». Sandro Doglio (I precedenti articoli dell'inchiesta sono apparsi 11 27 dicembre ed il 2 gennaio). Bruxelles. Leon Lambert (Telefoto Giovanni Gigante)