"Sapete solo denunciare gli abusi ma non fate niente per aiutarci,, di Francesco Rosso

"Sapete solo denunciare gli abusi ma non fate niente per aiutarci,, A colloquio con il presidente della provincia di Agrigento "Sapete solo denunciare gli abusi ma non fate niente per aiutarci,, L'avvocato Michele Russo ricorda la secolare miseria della zona, il reddito al penultimo posto nella graduatoria nazionale (280 mila lire l'anno a persona), l'ignoranza, i vermi che escono dai rubinetti dell'acqua «potabile» - A ire anni dalla frana nulla è stato fatto per risollevare l'economia della città: lo Stato stanziò 10 miliardi per case prefabbricate, le commesse andarono al Nord e non una lira toccò agli agrigentini (Dal nostro inviato speciale) Agrigento, 2 gennaio. Un paio di anni fa. pochi mesi dopo la frana, cinque vetusti alberi di ficus crollarono morti nel giardinetto pubblico di Agrigento. «Anche gli alberi non sono eterni » fu il commento. Qualcuno sussurrò che agli alberi fosse stato iniettato un veleno per farli morire. Privo di piante, parte del giardinetto poteva diventare area fabbricabile. Giunse da Palermo un valente botanico e affermò che gli alberi erano morti naturalmente. Oggi, il maestro Flora, che cura i giardini di Agrigento, mi assicura che gli alberi furono uccisi. Non è la prima volta che ad Agrigento accadono cose del genere; se si trovano mafiosi disponibili per massacrare un uomo, e il caso Tandoj è tipico, figurarsi se non se ne trovano per ammazzare degli alberi. Se questi magnifici esemplari di ficus siano stati avvelenati per rendere libera un'area fabbricabile, nessuno può giurarlo, ma i precedenti insegnano che ad Agrigento si è disposti a molte cose per un fazzoletto di terra su cui tirare sù un piccolo grattacielo. Gli alberi « nccisi » Il giardino pubblico, un tempo, era molto vasto; un'aiuola dopo l'altra, se lo mangiarono gli impresari per costruire brutti palazzoni In cui, tra negozi, cinema ed abitazioni, c'è la sede del Genio Civile. Ma agli agrigentini sembrava che il giardino fosse ancora troppo vasto e ne sacrificarono un'altra bella fetta verso la stazione, per costruire un albergo. Poi venne la frana e tutte le licenze di costruzione furono bloccate; quel fazzoletto di giardino pubblico rimasto aveva, forse, qualche probabilità di sopravvivere; invece morirono gli splendidi ficus dai tronchi immensi. Si ricominciava con la speculazione edilizia? Non esattamente sul posto dove erano crollati morti gli alberi, solo un poco più in là, ma sempre a ridosso del giardino. Nonostante il blocco ferreo delle licenze edilizie, qualcuno tirò sù un palazzo di sei piani; lavoravano anche di notte per finirlo temendo che da Roma giungesse un guastafeste tipo onorevole Mancini a troncare i lavori. Gli è andata storta; qualcuno denunciò l'abuso alla Procura della Repubblica che impose la chiusura del cantiere. Si andò a cercare chi erano gli impresari edili e si seppe che erano i signori Pantalena, gli stessi che avevano costruito i tre brutti villini a cento metri dal tempio di Giunone con il consenso del sovraintendente alle Antichità dott. Giaccone; e la licenza per il palazzone affacciato su quel poco di giardino pubblico che è rimasto, nonostante il blocco, l'aveva concessa il commissario prefettizio al comune, sig. Pupillo di Palermo. Ora la magistratura indaga, ma 10 scempio di Agrigento continua con un furore che sa di compiacenza e dissolvimento. Intorno al 1715 venne ad Agrigento un vescovo, il vescovo palermitano Gioeni; a quell'epoca, le rovine del tempio di Giove, che dopo l'Artemision di Efeso era secondo per vastità, imponenza, ricchezza di tutto il mondo ellenico, .erano ancora abbastanza consistenti; il buon prelato palermitano usò gran numero di colonne', capitelli e di telamoni, le immense cariatidi di cui è rimasto un solo esemplare, per rinforzare le banchine dell'attracco a Porto Empedocle. .Gli agrigentini gli hanno dedicato una vìa. Non è escluso che fra qualche anno dedichino una strada anche a coloro che concessero le licenze per costruire i grattacieli rovinati con la frana. Quando nel luglio del 1968 11 disastroso smottamento della collina rivelò a tutta Italia lo scempio edilizio di Agrigento, il ministro dei La- vori Pubblici di allora, on. Mancini, ordinò che si erigessero case prefabbricate per i senzatetto, in regione Villaseta, verso Porto Empedocle, forse con l'intenzione di saldare in un solo nucleo urbano Agrigento e la vicina città marittima. Gli agrigentini non ne vollero sapere, e ci andò chi proprio non trovava una abitazione; gli altri si intasavano alla meglio in piccole abitazioni nel centro storico, o andavano a costruirsi ima casetta in regione Cannatello, verso la spiaggia elegante di San Leone. Si è ripetuto in riva al mare lo scempio di Agrigento; ognuno ha costruito la sua villetta, quasi sempre orribile, dove gli sembrava, e se non bastava la villetta si erigevano condomini senza nessun concetto di urbanizzazione; l'importante era farsi la casa, e poiché il piano regolatore non esiste. San Leone e Cannatello sono diventati un. cinematografico Fax-West edilizio, proprio come Agrigento. il blocco delle licenze Dire queste cose agli agrigentini significa vederli incupire e renderseli nemici. Essi hanno molte verità da obiettare, come la miseria estrema di Agrigento e della sua provincia, penultime nella graduatoria del reddito nazionale con 280 mila lire di reddito medio a persona l'anno, battute -"soltanto da Avellino, ma oppongono argomenti che si rivelano molto fragili: « Il blocco delle licenze — mi dice l'avv. Michele Russo, presidente della Provincia — era necessario per mettere un po' d'ordine nell'edilizia, ma fino a quando dovrà durare? Non si è voluto punire degli amministratori disonesti, o incapaci, ma tutta Agrigento e la sua provincia, condannandola all'asfissia economica, perché ad Agrigento la sola industria che avevamo era l'edilizia». Mi sembra un po' eccessivo. Agrigento ha 35 mila abitanti e soltanto tremila sono gli addetti all'edilizia; mettiamo ve ne siano altrettanti nelle attività collaterali e sono seimila; che costoro siano tutti disoccupati non saprei, case se ne costruiscono ancora, sia pure abusivamente. « Ma non tanto da dare lavoro a tutti — mi dice un funzionario della Provincia — e così i nostri giovani emigrano all'estero, o nelle città settentrionali. Sa che su 480 mila abitanti della provincia di Agrigento, oltre 160 mila, più di un terzo, vivono fra Milano Torino Genova, o in Germania? ». Riporto il discorso sulla frana; ed il funzionario mi dice: « Non fu una speculazione edilizia, ma solo un attentato all'estetica. Che speculazione vuole che sia, gli impresari erano centinaia di persone che venivano dal nulla, semplici muratori e capo- itiiiiiiiiiiiiijfiiiij.riiiiiiitoiiiiriiniiifiiiiiiiiu mastri, che guadagnavano poco lavorando molto ». Come spiega, allora, tanto furore edilizio nel giro di pochi anni? Il funzionario non risponde, ma è evidente che vari sindaci ed assessori che concedevano le licenze di costruire avevano il loro tornaconto in denaro e in voti alle elezioni. E si ritorna a parlare di mafia, un argomento sempre attuale nell'Agrigentino. E la mafia? «La mafia — mi dice l'avvocato Russo, presidente della Provincia — è un prodotto della miseria che a sua volta produce miseria morale ed intellettuale. Però, non esageriamo; dopo la guerra tutte le colpe di ciò che andava male in Italia si riversavano sul fascismo; oggi, tutto ciò che non va in Sicilia è attribuito alla mafia; perché i 160 mila agrigentini che vivono nelle città settentrionali e che sono i più poveri e disperati, non hanno trapiantato la mafia anche là? Evidentemente perché le condizioni economiche non lo consentono; aiutino Agrigento, creino posti di lavoro, e la mafia scomparirà». Obietto che anche negli Stati Uniti le condizioni economiche erano floride per gli emigrati, eppure .la mafia siciliana si è radicata bene. Le risposte non sono convincenti anche se molte realtà possono dare ragione all'avvocato Russo. Il 27 settembre scorso fu organizzata dal sindacati la « marcia della disperazione »; una colonna di oltre duemila automobili percorse le disagevoli strade dell'Agrigentino da Palma di Montechiaro a Montevago, nel Belice devastato dal terremoto per richiamare l'attenzione di Roma sulle condizioni atroci di grossi borghi privi di ogni cosa, ma soprattutto dell'acqua. « Un giorno — mi dice l'avvocato Russo — il presidente del Senato onorevole Fanfani venne a visitare Paima di Montechiaro. Quando vide i vermi che sgorgavano dai rubinetti di Palma disse: mi vergogno di essere uomo. Poi, forse per le complicazioni politiche avvenute in seguito, non potè interessarsi di noi ed i vermi di Palma continuano a prosperare ». In provincia di Agrigento ci sono tre dighe e due sbarramenti che imbrigliano circa cento milioni di metri cubi d'acqua; un tempo servivano a produrre energia elettrica, ora non servono più a nulla, perché la centrale termica di Porto Empedocle, con due rotori, lavora con un rotore solo e soltanto 75 giorni l'anno; il consumo dì energìa elettrica qui è decisamente basso. Ma per dissidi con la nazionale Enel e la siciliana Ese, l'acqua di quei bacini rimane inutilizzata mentre quasi tutti i paesi della provincia hanno acqua una volta la settimana, e sovente coi vermi, come a Palma di Montechiaro. Realtà atroci ed indiscutibili, ma l'avvocato Russo vuol ricordare anche il suo latino, e la Sicilia sfruttata sempre, dal dominio romano a oggi. « Un giorno — mi dice — venne in Sicilia il grande Cicerone, scoprì i ladrocini del governatore Verre e li denunciò, ma l'impoverimento dell'isola continuò. Non vorrei che la venuta in Sicilia dell'onorevole Mancini sia servita solo a scoprire dei falsi Verre e ad aggravare il nostro impoverimento». La conversazione ritorna al punto di partenza, il caos edilizio, la frana e, a conclusione, la richiesta del giudice Mirotta di archiviare la pratica perché la frana sarebbe avvenuta per un fatto naturale e casuale. « Se il magistrato ha preso quella decisione — dice l'avvocato Russo — aveva evidentemente prove indiscutibili; ciò che è stato fatto ad Agrigento può essere condannabile sotto il profilo politico, ma non sotto quello giuridico, ed il magistrato doveva giungere a quella decisione ». i Ed a conclusione aggiunge: « La frana ci ha messi tutti sotto accusa, ma nulla è stato fatto per aiutarci a uscire dalla miseria che ci avvilisce da secoli. Sono trascorsi tre anni, c'è stata la'corsa delle autorità che ci hanno commossi, e che poi sono partite lasciandoci la frana; in più hanno condannato Agrigento, alla paralisi economica. Il ministero dei Lavori Pubblici aveva stanziato dieci miliardi per case prefabbricate in cui alloggiare i senzatetto; quelle case furono comperate da industrie del Nord e di quei dieci miliardi non un centesimo è entrato nell'economìa agrigentina. Il paragone con Verre continua a essere valido, non le pare? ». Francesco Rosso iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiniiini