Un paesaggio di desolata confusione nella vallata più contesa di Genova

Un paesaggio di desolata confusione nella vallata più contesa di Genova La zona del Folce vera offre un esempio di "piano mancato,, Un paesaggio di desolata confusione nella vallata più contesa di Genova Tra i serbatoi delle raffinerie e case affastellate, gli abitanti coltivano lembi di terra minacciati dalle piene - Ferriere chiuse e abbandonate, stabilimenti senza tetto - Centocinquantamila persone respirano Paria appesantita dagli scarichi - Un piano di «ristrutturazione» - Le risorse delle nuove tecnologie (Nostro servizio particolare) Genova, 26 dicembre. Dai fumi bianchi e gialli emergono le lingue di fuoco delle raffinerie. Il paesaggio grigio, segnato da viadotti e linee ferroviarie, è un impasto allucinante: fumaioli, cilindri metallici alti come palazzi, un cimitero, altri cilindri su case affastellate, dirupi, resti di orti. Sul greto del torrènte Polcevera, che solca la valle più contesa di Genova, gli abitanti coltivano piccoli lembi di terra cancellati periodicamente dalle piene. I ragazzi giocano fra baracche e rifiuti. Sorprendono improvvisi vuoti dietro cancelli sbarrati: ferriere chiuse e in abbandono, stabilimenti senza tetto e dai muri sgretolati. La Valpolcevera, tema di appassionate discussioni dopo il «no» al progetto di ampliamento della raffineria Garrone, è un modello assoluto di sottocittà. Il frutto del « piano mancato ». Nella Valpolcevera si ha lo specchio della confusione del passato, carica di effetti negativi sull'industria, e ancor più sugli abitanti. Dalla Lanterna alle colline che annunciano i Giovi si allunga una catena di quartieri; 150 mila genovesi di seconda classe respirano l'aria più velenosa, hanno le case più modeste, soffrono uno stato di congestione che esaspera i costi sociali e le difficoltà di vita. Un tipografo, autore di pubbliche denunce (non faccio il nome perché il timore delle perquisizioni ha raggiunto chiunque protesti, anche se si tratta d'inquinamento), mi parla di donne e bambini colti da collasso per strada nelle giornate senza vento. Di famiglie che vivono con le finestre perennemente chiuse, ricorrendo ai deodoranti per avere l'illusione di un sollievo. Dice: « In occasione delle visite ufficiali si chiudevano certi scarichi delle raffinerie, e l'aria si faceva respirabile. Abbiamo il terrore di un disastro: se scoppia un deposito e il fiume di carburante incendiato scende sulle case, chi ci salva? ». I tecnici tranquillizzano, anche se ci sono stati scoppi e incendi nel corso del 1969. L'ufficio di Igiene ha steso relazioni rasserenanti, portate in consiglio comunale dall'assessóre Fernanda Pedemonte: in Valpolcevera la salute è buona, la concentrazione di anidride solforosa è inferiore a quella accertata nella zona degli stabilimenti siderurgici, a Cor nigliano. Ma la gente del posto respinge i confronti consolatori. E il quadro di ogni giorno non è altrettanto distensivo. « Soltanto oggi si avviano studi seri per conoscere la reale condizione degli abitanti della Valpolcevera. Stiamo accertando il reale fabbisogno di case e di scuole ». mi dice l'assessore Cerofolini. Nel 1926 le possibilità di seria pianificazione erano grandi. Al centro la città col porto mercantile. Sulla costa di ponente una catena di nuclei minori, compreso quello « rosso » di Sestri con l'Ansaldo, facilmente saldabili a Genova e alla Valpolcevera, asse naturale delle grandi comunicazioni con la Valle Padana già previste nel 1908 (tuttora sulla carta). Gran parte della Valpolcevera con servava il suo carattere semirurale: grappoli di case rustiche fra uliveti e vigneti, ville monumentali costruite fra il '400 e il '700, circondate da parchi e orti. In basso le fabbriche che avevano dato a Genova il rango di vertice del « triangolo »: ferriere, laminatoi, stabilimenti meccanici e chimici, zuccherifici, molini, fino allo sbocco del Polcevera nello specchio di mare destinato ad essere racchiuso dal porto. Si poteva ideare un disegno armonico. Ma la progressiva moltiplicazione delle fabbriche e delle abitazioni non fu mai regolata da un piano degno del nome. Nel dopoguerra, superato il duro periodo della sopravvivenza, la Valpolcevera fu scenario di un fenomeno sconcertante iniziato negli Anni Cinquanta e accentuato nei Sessanta: dilagarono le raffinerie portatrici di veleni e di pericoli, furono chiusi molti stabilimenti. Lo scadimento dell'ambiente, gli alti costi, la povertà di servizi (dall'acqua alle comunicazioni nella valle) e di attrezzature, contribuirono a provocare il moto di fuga delle aziende industriali. Si calcola che per gli Anni Settanta mancheranno a. Genova 70 mila posti di lavoro. La crisi industriale non è dovuta soltanto alla natura avversa, avara di spazi. Uno studio della Camera di Commercio fa sapere che 450 mila metri quadrati sono utilizzabili ed altri 282 mila sono vuoti, abbandonati da industrie private. Quanto basterebbe per insediare fabbriche moderne di tipo pulito capaci di dar lavoro a 20 mila operai nella sola Valpolcevera. L'ampliamento della raffineria Garrone avrebbe coperto un'area di 140 mila metri quadrati aumentando di sole cento unità i suoi 900 addetti. Il rifiuto di Genova rientra dunque nella logica dell'alta occupazione. Prima di decidere l'incoraggiamento a nuove attività gli amministratori comunali sentiranno gli abitanti della valle (sono vivissimi alcuni comitati spontanei), 1 sindacati, gli imprenditori. A gennaio si avranno le prime sintesi degli studi fatti da urbanisti e consulenti di vari settori per il nuovo piano regolatore dell'intera città. Si parla di consorzi misti, con partecipazione pubblica e privata, per « ristrutturare » )a Valpolcevera almeno in parte, spostando le abitazioni infelici in zone più idonee, costruendo un sistema di comunicazioni rapide per saldarla alla città e al porto, e allacciarla alle piane di Arquata-Novi (il porto di Voltri sarebbe allacciato alle piane di Ovada). Le nuove tecnologie consentono di ribaltare realtà ritenute immutabili. Genova deve accorgersene, scoprendo il patrimonio di idee e di energie finora tenuto in disparte o nascosto. Centri di ricerca e di progettazione sono sorti qui da alcuni anni, ma i genovesi li ignorano. La « Società Italiana Impianti » (1100 tecnici e specialisti) sta dirigendo i lavori per l'«Alfa Sud » di Pomigliano d'Arco, dopo aver progettato e diretto il centro siderurgico di Taranto. Al dodicesimo piano -di un nuovo grattacielo l'amministratore delegato, ingegner G. Mario Costa, mi fa un elenco di successi: « Impianti chimici in Jugoslavia e in Egitto, laminatoi in Perii e in Brasile, cementerie in Bolivia e nel Camerun, altri impianti in India e in diversi paesi africani. Abbiamo dato alla Germania Occidentale, maestra in questo campo, il forno a spinta più grande d'Europa. Stiamo lavoran-. do ai reattori nucleari veloci del futuro, con la Snam ». A Genova nessuna richiesta;" il travaso di idee è scarso, il rapporto con la città non è facile. La stessa impressione ricavo da ima visita all'« Ansaldo meccanico-nucleare », che occupa quattromila persone (400 nel solo ufficio-studi) sull'area di vecchie fabbriche sampierdarenesi, alla foce del Polce¬ vera. « Molti genovesi avevano dubitato del futuro di questa azienda. Abbiamo ottenuto la commessa dell'Enel per la centrale nucleare che costruiremo e poi impianteremo sulle rive del Po, prepariamo a Busalla il nostro stabilimento per la produzio¬ ne di uranio arricchito, con speciali procedimenti. Io spero che la nostra industria contribuisca all'evoluzione della filosofia genovese, per la sua carica innovatrice e per la ricchezza di scambi di persone e dì idee col mondo esterno », mi dice il presidente e amministratore delegato dell'« Ansaldo meccànico-nucleare », ingegner De Vito. Uranio, plutonio, reattori veloci: sembravano parole magiche, e stanno entrando nella vita di questa città ostinatamente ancorata alla tradizione. Mario Fazio Genova. II paesaggio della Valpolcevera. Le ciminiere delle fabbriche e i depositi delle raffinerie sovrastano le case (Telefoto Leoni)

Persone citate: Cerofolini, De Vito, Fernanda Pedemonte, Garrone, Leoni, Mario Costa, Mario Fazio, Polce