Un canestro pieno di tattiche di Giovanni Arpino

Un canestro pieno di tattiche Un canestro pieno di tattiche Inchiesta sul basket italiano - Un gioco «artificiale» diventato popolarissimo - Come si è giunti ai 52 mila tesserati e ad incassi che sfiorano il mezzo miliardo annuo - Da New York a Milano: due sociologi negri uomini-guida di grandi squadre rivali - Uno sport che piace ai giovani Quando giocano i "grattacieli,, Bisogna vederli muovere a poca distanza, per esempio mentre attraversano il corridoio di un treno e ad ogni porta sono costretti a chinare la testa, a piegare le gi nocchia. Chi tra loro supera appena i centottanta centimetri sembra un nano, un corpuscolo immiserito. Ero appunto su un treno mentre gli atleti del Simmenthal viaggiavano anch'essi verso Napoli, per una gara di basket. Quasi tutti giganti, pertiche sottili anche se robuste, dei Watussi dalle giac che sproporzionate, dalle scarpe immense- All'ora di colazione bevvero acqua minerale, mangiarono sobriamente, e subito dopo cominciarono a dormire, alcuni a giocare a carte. Come dei professionisti del football, rassegnati alle lunghe trasferte, alla noia dei viaggi settimanali, agli sguardi curiosi che gli piovono addosso. E c'era, tra gli altri, Jim Tillman, americano nero di New York, sociologo, quattro centimetri appena sotto i due metri, ventitré anni, sposato, adoratore della sua Ferrari e della musica stereofonica: passeggiava su e giù per il treno con una radiolina portatile, via via cercando una stazione che trasmettesse in inglese. Eccoli qui, i campioni del basket d'oggi: dei prodotti perfezionatissimi, curatissimi, che fanno spettacolo, come un Pelé, un Gigi Riva, un Benvenuti, un Merckx. Perché anche il basket ha dovuto pagare un suo pedaggio alla modernità, al mondo dei consumi, alla pubblicità, e si sviluppa grazie a un'industria di carni, di frigoriferi, a un prodotto per lucidare le scarpe, a una catena di magazzini popolari. Chissà cosa ne penserebbe il professor Naismith, che poco più di settant'anni fa inventò la pallacanestro per occupare in qualche modo i ragazzi durante i mesi invernali. Il basket, tra i tanti giochi di palla, è l'unico a poter vantare un'origine assolutamente artificiale. Non è dovuto a un perfezionamento, a un'evoluzione, ma a uno studio perseguito a tavolino. E' un gioco intellettuale, come subito lo si volle definire, dove più della potenza conta il cervello, la prontezza di riflessi, la velocità ma se accoppiata a una buona dose di intuito, di intelligenza. Poi sono venute le « torri », sono venuti i grattacieli. Cioè gli uomini altissimi, poco sotto o addirittura sopra i due metri, che allungando un braccio infilano la palla direttamente in quel cestino che il professor Naismith vedeva come il traguardo di una manovra collettiva di studenti costretti a star chiusi per interi pomeriggi entro una palestra. Le torri, i grattacieli, hanno semplificato ( qualcuno dice abbrutito) il gioco, rozzamente piazzandosi sotto i canestri per riempirli e svuotarli, svuotarli e riempirli, in una successione ossessionante di schemi ridotti all'osso. Attorno ai grattacieli che incestinano e spazzano via, seguitano a correre, giostrare, fintare, palleggiare i piccoli, gli altri, che per quanto siano virtuosi risultano sempre dei portatori d'acqua. ' Il basket d'oggi è un gioco astratto, che bisogna conoscere a memoria per apprezzare e seguire. Già dieci anni fa, uno dei più noti critici di pallacanestro, Aldo Giordani, scriveva: « E' vero che questo gioco ha in sé caratteristiche di avvincente bellezza, ma è anche vero che si tratta di uno sport esigente. Se infatti ci si può fermare per strada a guardare ammirati il ragazzo che tira calci a una palla di stracci perché il calcio, anthe se giocato approssimativamente, interessa e piace, la pallacanestro, se è giocata male, an noia e allontana, anziché attrarre lo spettatore». Oggi questa critica potrebbe essere portata ancora più avanti, specialmente quando si vedono squadre americane, congegni e meccanismi sincronizzati fino al millesimo di secondo e al minimo gesto, che praticando uno schema arrivano a canestro, poi subiscono lo schema avversario e conseguente canestro. Il football non potrebbe mai produrre una squadra come quella dei Globetrotter, i funamboli del basket che solo in Italia si sono esibiti settantasei volte nel '69 incassando fino a sette milioni per sera. La verità del football è più lineare, non ammette deviazioni o sortilegi. Quella del basket è più ambigua, come in certe elucubrazioni matematiche. Ma forse proprio in questa ambiguità e nelle derivanti, eiaboratissime tattiche risiede parte della fortuna che regge la pallacanestro. Il vecchio sfondato cestino di frutta degli esordi che diventò poi la morbida reticella d'oggi, ha un suo incanto, e quindi migliaia di adepti. Giovanni Arpino Tillman, professore di sociologia, giocatore del Simmenthal. E' di New York, ma ormai s'è ambientato a Milano. E' uno dei maggiori protagonisti del basket moderno, che in Italia vive una stagione di grande presa spettacolare (f. Olympia)

Persone citate: Aldo Giordani, Gigi Riva, Jim Tillman, Merckx, Naismith, Tillman

Luoghi citati: Italia, Milano, Napoli, New York, Olympia