A Palermo un "killer" si trova a buon prezzo

A Palermo un "killer" si trova a buon prezzo Settantamila sottoccupati nel Capoluogo A Palermo un "killer" si trova a buon prezzo La strage di mercoledì sera, negli uffici della ditta Moncada, è «tata eseguita da «braccianti del delitto» (Dal nostro corrispondente) Palermo, 12 dicembre. Sulla strage di Palermo un particolare è passato, forse, in sottordine: Michele Cavatajo, crivellato a raffiche di mitra, stringeva sotto l'ascella e nelle mani un mitra, una « Cobra Colt » ed una rivoltella. Rappresentava la più classica raffigurazione della morte di un gangster. Cavatajo girava sempre armato. Era abile nelle mediazioni, che gli resero discrete somme di denaro, per la compravendita delle aree fabbricabili, proprio nella nuova zona di viale Lazio, dove è avvenuto il massacro. Era un gangster, non un killer, anche se, diversamente da quanto hanno fatto, e fanno, molti mafiosi palermitani, dopo aver acquistato un certo tono sbrigava da solo le sue faccende. Erano certamente killers quattro o cinque dei sei che, mercoledì sera, sono entrati negli uffici dell'impresa Moncada, hanno sparato per 4 minuti ed hanno ucciso quattro persone, tra cui Cavatajo. Killers, a Palermo, se ne trovano molti. In una città dove i bambini vengono « affìttati » per istruirli a chiedere l'elemosina nelle strade; dove numerosi sono i presta-nome per le licenze edilizie e per quelle delle pompe benzina, dei taxi; per i progetti di tombe nei cimiteri; per le licenze nei mercati ortofrutticolo ed ittico; dove, insomma, c'è sempre il modo di trovare qualcuno che agisca per conto altrui, purché ne ricavi un immediato vantaggio in denaro, sono necessariamente tanti i « braccianti del delitto », quelli, cioè, che materialmente uccidono su commissione. A volte nel sottoproletariato di Palermo anche quella del killer è una carriera; le armi seguono misteriosi sentieri. E' quanto basta per dire che tuttora a Palermo, città di oltre 700 mila abitanti, con più di 30 mila disoccupati ed altri 40 mila sottoccupati esiste una larga e pronta disponibilità a delinquere, che immette, sul mercato della malavita uomini disperati e pronti a tutto. Erano di questi, Giuseppe Garofalo e Girolamo Conigliaro, uccisi in casa del boss di Uditore, Pietro Torretta, del quale Cavatajo era « guardaspalle »; erano andati tutt'e due per uccidere Torretta, ma caddero in un tranello e fu rono massacrati in casa del mafioso che, « ignaro di tutto » (disse proprio cosi) li trovò rientrando. Era un killer Tommaso Buscetta, inserito nel rapporto dei « 54 » e mai catturato dalle forze dell'ordine. Uccideva per conto dei fratelli La Barbera e di Torretta contro la gang dei Greco, a Ciaculli. Ed era killer un altro mafioso, scomparso misteriosamente negli ultimi anni, forse espatriato negli Usa o in Canada o in Australia, o forse ucciso: Rosario Davi, anche egli incluso nel rapporto dei « 54 ». Fu Cavatajo, sembra, che 15 anni fa, uccise il vecchio « patriarca » dell'Acquasanta, Gaetano Alati che gestiva la mensa dei cantieri navali. Si disse, allora, che Alati era stato ucciso da un killer venuto dagli Stati Uniti, inviato da una « famiglia » amica di chissà chi, ma, nonostante tutto, il delitto portò sempre l'impronta di Michele Cavatajo, che, tra l'altro subentrò alla vittima nella gestione, assai redditizia, della mensa dei cantieri navali. La carriera certe volte non è difficile, quasi mai è lunga. Restano, però, « braccianti della mafia », gente che, prima o dopo, come il Francesco Tumminello, massacrato l'altra sera assieme con Cavatajo, in viale Lazio, muore ammazzata. a. r

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