Comizio e danze a Nairobi di Sandro Viola

Comizio e danze a Nairobi L'AFRICA NERA A DIECI ANNI DALL'INDIPENDENZA Comizio e danze a Nairobi Tre milioni e mezzo di Kenyani hanno eletto per la prima volta il Parlamento - La campagna può essere presa a simbolo delle realtà africane d'oggi: partiti su base tribale, compromesso tra il folklore antico e la tecnica occidentale, ascesa di una aristocrazia indigena sorta dalla funzione pubblica - Sullo sfondo, la grande miseria di una primitiva società contadina Il I960 fu l'« anno dell'Africa ii: quasi l'intero continente passava, talora In' modo Improvviso, dal regime coloniale all'indipendenza. Era un momento di grandi speranze, di largo interesse Internazionale ed anche di illusioni. Qual è, dieci anni dopo, il primo bilancio dell'indipendenza? Abbiamo incaricato Sandro Viola di condurre un'inchiesta nell'Africa nera dall'Oceano Indiano all'Atlantico: egli esaminerà la vita del nuovi Stati e le realta economiche, sociali, psicologiche anche alla luce dei più recenti e Illuminanti studi etnografici. (Dal nostro inviato speciale) Nairobi, dicembre. Sul campo di calcio del quartiere di Caridkor sta per svolgersi un comizio elettorale. Parleranno i due candidati che si presentano nel collegio di Starehe, Charles Rubia e Peter Kinyanjui. C'è già parecchia gente (e parecchia polizia: in questi giorni di campagna elettorale si sono avuti vari incidenti), quando compaiono i danzatori. Saranno una quarantina tra uomini e donne, e avanzano ondeggiando, cantando, reggendo alti i ritratti di Charles Rubia. Molti vestono il costume tradizionale kikuyu, le donne con la testa coronata di piume; altri i panni sbrindellati delle bidonvilles. Lo schema dei passi, il ritmo della danza sono, come sempre in Africa, perfetti. I danzatori entrano nel campo, volteggiano, battono sfrenatamente sui tamburi, scambiano qualche in'sulto con la gente già seduta per terra, e ci vuole tutta la pazienza dei capi-elettori di Rubia per farli smettere e costringerli a sedersi. Rubia arriva subito dopo, incravattato, vestito di grigio scuro, in mano una di quelle valigette squadrate che usano gli uomini d'affari. Lo accolgono le urla dei suoi sostenitori ed un subitaneo tentativo dei danzatori di rimettersi a danzare, ma anche qualche fischio che fa scoppiare un tafferuglio. La sola arma Intanto sono sopraggiunti, in un gran frastuono, tre camion carichi di sostenitori di Kinyanjui. Gli uomini e le donne agitano i ritratti del candidato, battono coi pugni sulle fiancate metalliche dei camion, ridono, scandiscono slogan. Kinyanjui (altra cravatta, altro vestito impeccabile) arriva nel momento in cui i danzatori si sono fatti sotto le fiancate dei camion con aria un po' minacciosa, e la polizia sta per intervenire di nuovo. Ora i due candidati invitano i loro sostenitori a calmarsi («Il voto », grida Rubia all'altoparlante, « solo il voto dev'essere la vostra arma»), si fa un relativo silenzio, e il comizio incomincia. Un viaggio'nell'Africa che esce dal primo decennio di indipendenza può muovere da qui, da questo comizio elettorale alla periferia di Nairobi. Che cosa hanno rappresentato, per gli africani, dei paesi ex coloniali, questi dieci anni? Che cosa è accaduto sotto alla superficie limacciosa dei colpi di Stato, delle lotte tribali, dei discorsi irresponsabili, degli sprechi, degli errori? Sono queste le domande alle quali tenteremo di trovare una risposta. Dieci anni fa la decolonizzazione accese molti entusiasmi, fece nascere un interesse appassionato per gli avvenimenti africani. Per qualche tempo i leaders di allora, le prime contese, la penetrazione delle due grandi potenze e l'affacciarsi della Cina tennero le prime pagine dei giornali. Poi l'intero continente cominciò a essere sconvolto da terribili convulsioni, gli avvenimenti divennero sempre più caotici, quasi inintelligibili, e l'interesse prese a declinare. Questo viaggio è in qualche modo un « ritorno a Babilonia ». Si tratta di vedere che cosa sia realmente accaduto dal 1960 (che gli africani chiamavano «il grande, il nostro anno ») e di capire se, malgrado gli sconvolgimenti di questo decennio, la nuova Africa abbia comunque percorso un cammino di progresso. Che cosa è stata l'Africa degli Anni Sessanta, come sarà quella degli Anni Settanta? Un primo elemento da tenere in serbo per le future risposte conclusive si può cogliere già qui, sul campo di calcio di Cariokor, nell'aria tersa dell'altopiano. Il Kenya sta eleggendo oggi il suo nuovo Parlamento. Certo sono elezioni (le prime dall'indipendenza) che non possono comportare sorprese: l'unico partito di opposizione, il Kpu, è stato messo fuori legge un mese fa, i suoi leaders sono stati arrestati. Kenyatta, il presidente e padre della patria, e il suo partito, il Kanu, sono quindi i soli padroni del campo. Tra l'altro, il contenuto tribale della contesa politica emerge nettissimo: dire Kenyatta, o Kanu, è infatti come dire Kikuyu, la tribù più estesa e potente. Allo stesso modo il Kpu era. sì. un partito politico d'ispirazione socialista, con un capo prestigioso come Oginga Odinga; ma era soprattutto il partito dei Luo. che è l'altra etnia principale del Kenya. Eppure, benché il loro esito sia scontato, queste elezioni non sono prive dì significati. Il partito unico ed i risvolti tribali non tolgono il suo intero valore alla scena che si sta svolgendo alla periferia di Nairobi. I discorsi dei candidati, gli applausi di una parte degli spettatori, il dissenso degli altri, la polizia che assiste alla manifestazione e interviene solo se la vede degenerare, non sono soltanto i gesti, l'apparato di una cerimonia, sono già un comportamento politico. Sei anni fa, in Kenya votarono soltanto i cittadini di Sua Maestà britannica: oggi votano i Kenyani, tre milioni cinquecentomila Ke nyani, gli uomini, le donne, i borghesi con la cravatta e gli operai in tuta, i pezzenti delle bidonvilles e gli ex guerrieri masai. Certo non è tutto, ma è qualcosa. Non erano di più, a pensarci bene, le elezioni portoghesi di due mesi fa. D'altro canto i connotati socio-economici dell'Africa sono quelli che sono. I suoi trecentodieci milioni di abitanti hanno un reddito prò capite di centomila lire l'anno. Lo sviluppo economico della maggior parte dei Paesi procede lento, lentissimo, quasi inavvertibile. Nel periodo 1960-66 il reddito prò capite è aumentato a un tasso annuale dell'uno per cento circa, vale a dire un dollaro per persona in valore assoluto. Nell'Africa tropicale i lavoratori salariati rappresentano il dieci per cento della forza di lavoro totale: il resto, il novanta per cento degli uomini e delle donne in età di lavoro (più i figli, più gli anziani), vengono compresi dagli econo misti nella categoria dei « produttori autonomi » (nel caso specifico, vuol dire i contadini che mangiano i fagioli che coltivano, e i disoccupati che non mangiano affatto). Una classe ricca Su questo sfondo desolante della miseria africana, il comizio di Cariokor propone un altro elemento da tenere in serbo per le risposte conclusive. Sulla breve pedana dove hanno preso posto i candidati, sta parlando in questo momento Charles Rubia. Osserviamolo. Il vestito scuro è dì buon tessuto e discretamente tagliato, uno dei migliori e più costosi che si possano trovare nei negozi di Nairobi: valore presumibile, settantamila lire. Le scarpe sono nere, sfilate, certo di importazione: valore presumibile (questo tipo di merce è in Africa assai più caro che in Europa) quindicimila lire. Siamo già oltre il reddito medio annuo di un kenyano. In più Rubia è cosparso di oro (dal taschino della giacca gli spunta una penna dorata, il cinturino dell'orologio è dorato, alle dita reca due anelli dorati), ed è sceso da un'automobile di cilindrata medio-grossa, dì sua proprietà. Se sarà eletto deputato, Rubia guadagnerà oltre due milioni di lire l'anno, vale a dire trentasei volte il reddito medio prò capite del Paese. Ulteriori guadagni e facilitazioni gli consentiranno dì mettere insieme altri tre milioni, così da portarsi a un guadagno complessivo di cinque milioni, in un Paese dove un operaio (uno dei privilegiati, come abbiamo visto, che hanno un salario fisso) guadagna in media mezzo milione l'anno. Non è il caso limite di quel ministro gabonese, che in un mese e mezzo guadagnava quanto un contadino dell'interno in trentasei anni; ma eccoci comunque di fronte a una delle malformazioni più evidenti della nuova Africa. La classe ricca, proliferata attorno alle amministrazioni e al potere politico, «è una borghesia — come dice René Dumont — che Marx non aveva affatto previsto: la borghesia della funzione pubblica ». In questo viaggio la rincontreremo spessq. . Sandro Viola Nairobi, (omo Kenyatta, il presidente del Kenya (Telefoto)