Nuovo trattamento delle fratture di Angelo Viziano

Nuovo trattamento delle fratture Concluso a Roma il congresso nazionale di ortopedia Nuovo trattamento delle fratture Dimostrato dalla Scuola torinese il modo di guarigione diretto delle fratture, senza callo osseo - Validità delle tecnologie avanzate, dalle resine al vitallio - Opportunità di non costringere una persona d'età avanzata in un apparecchio gessato - I traumatizzati della strada Ci fratturiamo l'omero o il femore? 'Ci rompiamo la tibia, il radio, l'ulna o il perone, insomma una di quelle ossa lunghe che hanno un corpo tubulare che si chiama diafisi? E se è proprio in questo tratto che avviene la lesione, detta appunto « diafisaria », come ce la ripareranno secondo gli orientamenti più moderni in materia? Con la trazione e l'ingessatura, che sono i cardini del tradizionale trattamento conservativo, incruento; oppure mediante certi interventi chirurgici detti di osteosìntesi? Insomma, gesso o non gesso? A queste domande ha risposto il 54' Congresso nazionale di ortopedia e traumatologìa conclusosi domenica scorsa a Roma. Tutto il congresso si è imperniato sui nuovi orientamenti terapeutici, per i quali grazie all'impiego dei nuovi materiali posti a disposizione del chirurgo dalla moderna tecnologia (dalle resine polietileniche agli acciai inossidabili, al vitallio che è impiegato nella costruzione dei motori a reazione, al titanio di cui si fa largo uso nella missilistica), si tende ora a largheggiare maggiormente nella terapia cruenta delle fratture e dei loro esiti. Chiodi e placche L'osteosintesi è un metodo che mira a ristabilire una continuità tra segmenti ossei fratturati, previa riduzione, mediante un appropriato mezzo di fissazione, consista in placche esterne a compressione, oppure in grossi chiodi infibulati nel canale midollare dell'osso. In quest'ultimo caso oggi il canale viene preventivamente svuotato e trattato con alesaggio. Ovviamente non è questa la sede per entrare nei particolari delle tecniche; ma è pur qui utile far qualche cenno sugli studi fatti per documentare la cinetica dei meccanismi riparativi, cioè il modo della guarigione ed il tempo per pervenire ad essa, quando le fratture siano state trattate secondo i concetti ora dominanti, della osteosìntesi rigida in compressione. Perché è proprio la rigidità assoluta, quale si ottiene con la compressione dei monconi di frattura, che ha dimostrato di essere il comune denominatore di tecniche differenti per i migliori risultati nella cura chirurgica del fratturato. Orbene queste ricerche sono state oggetto della relazione svolta dal prof. Franco Roasenda, direttore della Clinica ortopedica e traumatologica dell'Università di Torino e dal prof. Gian Lorenzo Lorenzi, aiuto della Clinica. Si è trattato della sintesi di un lungo periodo dì studi sperimentali attuati dalla Clinica ortopedica di Torino, in collaborazione con lo Sweizerische Forschunginstìtut e con l'Istituto di chirurgia sperimentale dell'Università svedese dì Uppsala. I risultati sono stati di tale interesse da far affermare dal presidente del congresso che la relazione onora la ortopedia italiana. I relatori hanno potuto dimostrare che esiste effettivamente, dopo osteosìntesi rigide in compressione, un modo di guarigione diretto della frattura: un poco simile al modo di guarigione, con cicatrice invisibile o quasi, della pelle. Ciò vale a dire sema la necessità della formazione di quel callo osseo più o meno esuberante e fusato che era ritenuto provvisoriamente indispensabile per la saldatura dei monconi ossei fratturati. In altri termini si ha una ossificazione riparativa diretta con formazione di osso primario senza stadio intermedio. Ciò sia con le placche a compressione che con i grossi chiodi endomidollari. Si è, però, contemporanea-, mente osservato che il tempo per ottenere la fusione ossea, cioè la vera e completa guarigione clinica, non è praticamente modificato. Se ne deduce che le sintesi metalliche concedono un recupero funzionale del fratturato, non tanto in rapporto al variato modo di guarigione della frattura, quanto per la solidità ottenuta grazie al mezzo metallico impiegato e solidarizzato all'osso. A questo punto c'è da dire che oggi molti tendono a fare un processo all'apparecchio gessato, proprio perché le moderne tecniche di osteosìntesi possono concedere in taluni casi di evitare il molesto gesso. Ma gli stessi relatori affermano che il processo risulta essere ingiusto, ed aggiungono che il gesso è utile ora come lo era prima, e che inoltre si mantengono numerosissime le indicazioni alla cura non cruenta delle fratture. Si tratta di conoscere — e ciò è stato oggetto dì interessantissima e profonda discussione congressuale — quando si debba dare la indicazione all'osteosintesi, naturalmente secondo le tecniche discusse. Vediamo. Indicazioni fondamentali sono risultate le fratture del collo del femore, e delle ossa lunghe nel vecchio; perché essenziale è non costringere una persona d'età avanzata in un apparecchio gessato, obbligandola ad una immobilità che potrebbe esserle fatale. Oggi si possono vedere gli operati seduti già al termine della prima settimana dopo l'intervento. Naturalmente non si permette subito l'appoggio diretto sull'arto offeso, ma si può concedere di camminare, anche se è interessato un arto inferiore, con adatti artifici che evitano il carico diretto. Talora nelle fratture del collo del femore si supera il concetto dell'inchiodamento o dell'avvitamento della lesione, e si può giungere addirittura alla sostituzione della estremità fratturata, che — com'è noto — ha forma di palla, con una protesi interna metallica. Gesso e non gesso Tra le altre indicazioni va ricordata l'utilità dell'impiego delle moderne osteosìntesi in quei grandi traumatizzati della strada che creano grossi problemi di terapia, interessando gruppi di medici, dai rianimatori ai neurochirurghi, ai chirurghi toracici, addomi¬ nali, vascolari, plasticoriparatori e naturalmente in primo piano i chirurghi ortopedici. La discussione congressuale è stata molto vivace. A conclusione si è riconosciuto che molto di nuovo si è proposto e si è fatto in questi ultimi anni nella cura delle fratture, e che il nuovo supera sì i vecchi orientamenti, ma che questi mantengono pur sempre inalterato tutto il loro grande valore anche se con qualche limitazione. E allora: quando gesso e quando non gesso? E' chiaro che si tratta di una scelta che spetta soltanto allo specialista ortopedico, che di volta in volta e caso per caso applicherà, valutandone vantaggi e svantaggi, la terapia più adatta. E qualche volta, ove necessario, con non grande soddisfazione del paziente, ma per un migliore risultato, assocerà all'intervento operatorio il « famigerato » gesso. Angelo Viziano

Persone citate: Franco Roasenda, Gian Lorenzo Lorenzi

Luoghi citati: Roma, Torino