L'erede di Dostoevskij e Tolstoj

L'erede di Dostoevskij e Tolstoj CHI E' SOLZHENITSYN MESSO AL BANDO IN URSS L'erede di Dostoevskij e Tolstoj Il caso Solzhenitsyn si apre nel tardo autunno del 1961. Ai primi di dicembre di quell'anno esce a Mosca il n. 11 del Novyj Mir, che contiene il suo racconto Una giornata di Ivan Denisovic. Il racconto è preceduto da un corsivo redazionale in cui, fra l'altro, sono citate queste frasi di Kruscev: « A noi tutti toccherà morire prima o poi, ma finché viviamo e lavoriamo dobbiamo dire la verità al popolo e al partito... Questo è nostro dovere, questo dobbiamo fare perché certi fenomeni non possano mai più ripetersi ». Non meraviglia che la redazione della rivista sentisse il bisogno di giustificare in anticipo e così autorevolmente quanto pubblicava nelle 65 pagine successive: Ivan Denisovic era un deportato nei campi di lavoro forzato dei tempi di Stalin, e la sua vicenda, narrata da Solzhenitsyn, era la cosa pili sconvolgente che il lettore sovietico avesse letto da trent'anni a questa parte. C'era stato, sì, il « disgelo » in letteratura, ma Solzhenitsyn cominciava dove la letteratura del disgelo finiva. La denuncia degli Erenburg, dei Dudintsev, della Nikolàeva, restava generica, paurosa dì scendere ai particolari di cosa accadesse, in pratica, ai soldati accusati ingiustamente di tradimento, agli scienziati che si mettevano contro Z'establishment ufficiale, agli intellettuali non allineati. Si capiva, si poteva supporre che finissero in prigione o in Siberia, e che il trattamento loro riservato non fosse benevolo: ma c'era un salto, una lacuna, un vuoto nella storia. Sparivano, si voltava pagina, e si vedevano tornare, tutto sommato contenti per averla scampata, nella migliore delle ipotesi: così Lopatkin, l'inventore dì Non si vive di solo pane, di Dudintsev, che parte e torna dal suo periodo di detenzione con la massima disinvoltura, come se fosse stato in villeggiatura. Solzhenitsyn violava il tabù tacitamente accettato. Parlava proprio della vita in quei campi, dei maltrattamenti, della fatica inumana, della quotidiana umiliazione a'cui erano sottoposti i deportati. Per di più, il suo. era un racconto di vita vis¬ suta, in cui l'autore condensava in una giornata la sua esperienza di 11 anni di Lager. E come in un'altra autobiografia di deportato, le Memorie della casa dei morti dì Dostoevskij, anche qui, nella vicenda di orrori e di tenebre di .Ivan Denisovic restava accesa una scintilla di speranza nell'uomo, nella nobiltà del suo spirito. Il racconto di Solzhenittsyn era tanto sconvolgente e tanto vero che Tvardovskij, il poeta « liberale » direttore del Novyj Mir, si decise alla sua pubblicazione solo dopo una prolungata trattativa fra la redazione della rivista e la segreteria di Kruscev. Evidentemente l'uscita del racconto, in quel momento, giovava alla politica kruscevìana, che intendeva creare, con la denuncia degli abusi dell'epoca del « culto », i fatti compiuti e irreversibili. Si sa (lo disse poi Ilja Erenburg) che solo quindici giorni dopo aver dato il via alla pubblicazione Kruscev se ne pentì. Ma la rivista era uscita, ed era troppo tardi per tornare indietro. In seguito, nell'alternar si di fasi « liberali » e « conservatrici » della politica sovietica, il vento cambiò, e a farne le spese fu soprat- tutto Solzhenitsyn, sul quale peserà d'ora innanzi l'accusa di avere scritto l'Ivan Denisovic. La sua posizione andò aggravandosi sempre più. Solzhenitsyn è probabilmente il più grande scrittore russo dopo la morte di Pasternak, sia per il suo mondo poetico, sia per la sua scrittura limpida e incisiva, in una lingua viva e ricca, che riprende la grande tradizione della narrativa russa ottocentesca al buon livello medio di Turgenev, se non al livello altissimo di Tolstoj e Dostoevskij (Valga come esempio La casa di Matrijona;. E' uno scrittore, e la sua vocazione, la sua vita è scrivere. Possono proibirgli di pubblicare, non di scrivere. Nascono così due romanzi, Divisione cancro e II primo cerchio, che nessuno pubblica (c'è un preciso divieto dell'Associazione degli scrittori), ma che, come accade spesso in Urss, cominciano a cìrtolare in centinaia di copie dattiloscritte o ciclostilate, col rischio intuibile che qualcuna ne arrivi all'estero. Anche questi due libri sono fondamentalmente autobiografici. I personaggi che vi si muovono, deportati o ex deportati, sono impegnati nello sforzo di guarire le loro ferite fisiche e morali, e insieme nella radicale revisione dei valori della società socialista, nella quale pure credono. Emerge a tratti, dal loro rapporto col mondo, dalla loro ricerca di un'autentica dimensione umana, una profonda e nuova religiosità. I due libri vengono pubblicati all'estero, come Solzhenitsyn temeva e come ha cercato d'impedire. Di questo pericolo aveva avvertito ripetutamente l'Associazione degli scrittori, chiedendo di poter pubblicare i suoi libri nell'Urss prima che ciò avvenisse in Occidente su un piano inevitabilmente scandalistico: avanzando anche il dubbio che qualcuno avesse interesse a' favorire la fuga dei suoi dattiloscritti per « bruciarlo », com'era già accaduto a Pasternak col Dottor Zivago. In ogni caso, la conclusione è stata quella che gli scrittori sovietici come Surkov o Kocetov desideravano. Ora Solzhenitsyn è stato espulso dall'Associazione degli scrittori, il che significa, nel regime di corporazioni medievali vigente in Urss, la messa al banda, quasi la morte civile come scrìttore e come cittadino. Silvio Bernardini Un lungo elenco di suicidi perseguitati uccisi Sergej Esenin: tornato in Urss, si tolse la vita nel '25 Vladimir Majakovskij: nel '30 si sparò un colpo al cuore Maksim Gorkij: sette versioni sulla sua morte (1936) Osip Mandelstam: morì in un Lager recitando Petrarca Isaak Babel, scomparso nel 1941 in un Lager di Stalin Aleksandr Fadeev, suicida al tempo del XX Congresso Il «Nobel» Boris Pasternak: morì esule in patria nel '60

Luoghi citati: Mosca, Siberia, Urss