Le travagliate vicende della stampa in Italia di Gino Pestelli

Le travagliate vicende della stampa in Italia Dall'Editto albertino ad oggi Le travagliate vicende della stampa in Italia Da meno di un anno è sorto a Torino un Centro di studi sul giornalismo, intitolato a Gino Pestelli. Esso si propone, fra l'altro, la pubblicazione di una collana di studi e ricerche sulla storia del giornalismo, da metà Ottocento al secondo dopoguerra; collana che si apre col volume, oggi apparso, di Giorgio Lazzaro: La libertà dì stampa in Italia dall'Editto albertino alle nonne vigenti. Una puntuale storia delle leggi in materia, e della loro effettiva applicazione, sullo sfondo delle agitate vicende politiche di oltre un secolo. La libertà di stampa spunta in Ttalia, come è noto, nel 1848. Ma è, fin dall'inizio, una libertà stentata e tormentata. La timidezza dell'esordio traspare dallo stesso art. 28 dello Statuto: « La stampa sarà libera, ma una legge ne reprìme gli abusi. Tuttavia le bibbie, i catechismi, ì libri liturgici e di preghiera non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del vescovo ». In realtà, questo anacronistico residuo di un Piemonte retrivo e bigotto resta lettera morta; e il primo, combattivo giornalismo subalpino rivela d'un tratto tutto il valore di una stampa libera. Ma il quarantottesco Editto albertino sulla stampa, da cui il Lazzaro prende le mosse, per quanto ispirato a innegabili tendenze liberali (abolizione della censura preventiva, mitigazione delle pene, aggiunta dei « giudici del fatto », cioè delle giurie), riflette il cauto moderatismo dei suoi promotori. Per trovare un modello, si risale all'età della Restaurazione in Francia; Federico Sdopis guarda a Martignac. Come si è lontani dalle ardite istanze della Rivoluzione francese per la « illimitata » libertà di stampa! Con la legislazione successiva, dai codici penali del 1859 al codice Zanardelli di trent'anni dopo, le norme regolatrici della libertà di stampa sono coordinate e semplificate, indubbiamente migliorate dal punto di vista della tecnica legislativa. Ma in esse sembra perdurare un certo sospetto per questa « pericolosa » libertà. Anche le norme sulla composizione delle giurie tradiscono la costante preoccupazione di salvaguardare istituti e principii cari ai ceti dominanti. Ma soprattutto, ciò che in definitiva conta, in questo come in ogni altro campo, è il modo di interpretazione e applicazione delle leggi esistenti. E qui — come il Lazzaro sobriamente accenna, ma poteva ben più ampiamente documentare — si assiste a due ordini di fatti. Da un lato, si ha il costante susseguirsi delle ingerenze e delle pressioni governative, per intimidire, soffocare e in certi casi anche corrompere la stampa periodica. La Destra come la Sinistra, una volta al potere, sembrano dimenticare le generose rivendicazioni di libertà. Basti confrontare — per fare un solo esempio — il progetto di Crispi, in tema di libertà di stampa, del 1875, con la pratica repressiva da lui adottata vent'anni dopo. Dall'altro lato, si ha uno spontaneo allinearsi della magistratura sulle posizioni più diffidenti, misoneistiche, conservatrici. I giornali di Proudhon e di Louis Blanc sono visti quasi con raccapriccio. Nelle discussioni sulla proprietà o sulla lotta di classe si scorge un « incitamento all'odio fra le classi sociali ». E via di questo passo. Date queste premesse, si comprende agevolmente come la reazione di fine secolo e i decreti illiberali di Pelloux siano, ben più che una violenta inversione di rotta, l'esasperazione di tendenze e atteggiamenti maturati da decenni di semilibertà. Una schiarila in senso schiettamente liberale si ha con la legge del 1906. che sembra anticinare. nello spirito, alcune norme dell'attuale Costituzio¬ ne. Ma le timidezze e i compromessi perdurano; e la politica liberticida del fascismo (iniziata, quanto alla stampa, con un decreto-legge del 1923, contro il quale si leva la solitaria e nobile protesta di Francesco Ruffini) non avrà troppa difficoltà ad affermarsi. La libertà di stampa ha dunque avuto un'esistenza piuttosto grama e travagliata, in Italia. E il rieso di questa tradizione non compiutamente liberale lo si avverte anche nelle vigenti leggi sulla stampa e sulla professione giornalistica. C'è oggi, indubbiamen¬ te, un effettivo margine di libertà che prima non c'era; ma le pastoie e gli inciampi, e i residui corporativistici, e le odiose discriminazioni non sono del tutto scomparsi. Al di là delle formali apparenze, c'è ancora molta strada da percorrere, prima di raggiungere una reale, assoluta libertà di stampa. E' la conclusione che si ricava dal libro di Giorgio Lazzaro. A. Galante Garrone GIORGIO LAZZARO: La libertà, di stampa in Italia dall'Editto albertino alle norme vigenti Editore Mursia - pagine 255, lire 2000.

Persone citate: A. Galante Garrone, Crispi, Federico Sdopis, Francesco Ruffini, Giorgio Lazzaro, Louis Blanc, Pelloux, Zanardelli

Luoghi citati: Francia, Italia, Piemonte, Torino