82 Comuni scoppiano di Giorgio Martinat
82 Comuni scoppiano ANALISI 82 Comuni scoppiano (Vecchie leggi impediscono loro di darsi strutture moderne) Ottantadue Comuni minori stanno scoppiando nella morsa di disposizioni legislative incongrue. Otto anni fa, all'epoca dell'ultimo censimento, erano ancora borghi rurali, sperduti tra il verde, immersi in una quieta esistenza che le prime ondate di immigrati cominciavano appena a scuotere. Oggi sono città di venti, trenta, quarantamila abitanti, stravolte in una crescita tumultuosa e difficile. I prati sono scomparsi, alveari umani hanno preso il posto delle vecchie cascine, la popolazione si addensa, il traffico diventa convulso. L'elenco comprende tutti i sobborghi delle due cinture di Milano e di Torino, oltre a molti paesi veneti, emiliani, toscani, laziali. Le strutture delle pubbliche amministrazioni sono rimaste quelle del 1961. Si elegge il Consiglio comunale con il sistema maggioritario anziché proporzionale come nelle città, i rappresentanti della popolazione sono pochi, le Giunte insufficienti. Mancano servizi anagrafici, vigili urbani, ufficiali sanitari, personale. Anche i bilanci sono rimasti sconvolti da questo sviluppo. Ferme le entrate: i nuovi cittadini sono poveri, hanno molti bisogni e nessuna capacità contributiva. In aumento vertiginoso, per questa stessa ragione, le spese. Si sono dovute asfaltare strade, costruire asili e scuole, ampliare gli ospedali, moltiplicare gli interventi assistenziali, dare case popolari ai meno abbienti. I Comuni si sono indebitati al massimo delle loro esigue risorse, ma la popolazione ha continuato a crescere. Non ci sono più disponibilità di bilancio, quello che si è fatto è stata solo una goccia nel mare, e mancano altre strade, altre scuole, altri ospedali. Si è perso ogni controllo sulle aree fabbricabili, abbandonate per mancanza di mezzi alla più sfrenata speculazione; la crescita avviene ormai senza nemmeno quel minimo di coordinamento e di freno che è indispensabile per assicurare civili condizioni di convivenza. In otto anni si è passati da una sonnolenta inerzia al caos. Il motivo fondamentale è da ricercarsi nell'art. 268 del Testo Unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto del 3 marzo 1934, che . dice: « L'ordinamento dei Comuni non può subire modifiche per effetto di variazioni della popolazione residente se queste non risultino da un censimento ufficiale». E' un'altra delle troppe leggi vecchie e anacronistiche in una società come la nostra che assiste a rapide e talvolta drammatiche trasformazioni sociali. Pino al prossimo censimento — che con la cadenza decennale prescritta, avverrà nel 1971 — per lo Stato questi Comuni in prorompente espansione restano quieti borghi addormentati. La Francia ha affrontato e risolto problemi analoghi con maggiore agilità. Un decreto del ministero dell'Interno, che risale al 16 marzo 1964, consente censimenti straordinari per i Comuni in rapida espansione, con la conseguenza che le strutture amministrative e gli interventi provvidenziali del Governo possono essere tempestivamente adeguati alla popolazione reale. Una simile disposizione, presa in Italia a tempo debito, avrebbe consentito tra l'altro di commisurare alle necessità la quota delle compartecipazioni fiscali, che i Comuni ricevono dallo Stato secondo l'entità della popolazione. Per gli 82 Comuni travolti dall'ondata migratoria, si tratta in media — come ha calcolato il sindaco di Nichelino, Angelo Prato — di circa 700 milioni all'anno soltanto per l'imposta generale sull'entrata. Complessivamente, in questi dieci anni che corrono tra un censimento e l'altro, quasi, sette miliardi, che avrebbero consentito di contrarre mutui per quasi 80 miliardi. Giorgio Martinat
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