"Prima,, assoluta di Malipiero col "Don Tartufo bacchettone,, di Massimo Mila

"Prima,, assoluta di Malipiero col "Don Tartufo bacchettone,, Una importante novità nel concerto all'Auditorium "Prima,, assoluta di Malipiero col "Don Tartufo bacchettone,, Nel programma, diretto da Massimo Pradella, anche un'operina di Valentino Bucchi La stagione sinfonica d'autunno ha presentato in forma di concerto due opere d'autori italiani contemporanei, tra cui una nuovissima dell'inesauribile Malipiero: Don Tartufo bacchettone, due atti da Molière. Per chi conosce quanto l'arte di Malipiero sia radicata nel costume letterario italiano suonava strano questo momentaneo viaggio all'estero della sua musa. Ma ecco spiegato l'arcano: Malipiero è arrivato a Molière attraverso la riduzione italiana di Girolamo Gigli, faceto scrittore senese della fine del Seicento, che il capolavoro di Molière aveva toscanizzato (e considerevolmente semplificato) nel Don Pilone. Energicamente sfrondata, la commedia del Gigli perde naturalmente la sottigliezza e la profondità delle motivazioni psicologiche di cui era ricca la trama in Molière. I caratteri non si formano più, a poco a poco, davanti ai nostri occhi, ma tipizzati fin dal principio, una volta per tutte, entrano in conflitto e producono, con moto sempre più veloce, l'affrettata catastrofe e il provvidenziale lieto fine. Musicalmente l'opera non si scosta dal consueto procedimento di cui Malipiero è padrone con una sicurezza infallibile: un declamato vocale dalle cadenze lievemente arcaiche, non arido 'e puntiglioso, ma aperto invece di di continuo ad evasive aperture modali, sotto cui l'orchestra — questa sì, tenace, assidua, puntigliosa e all'occorrenza attaccabrighe — si articola in ritmi snodati di brevi contrappunti, si abbaruffa nei violini sotto i battibecchi delle donne, accende oasi sospese di suoni prolungati sotto i fallaci incantesimi dell'ipocrisia di Tartufo. Una fanfaretta circolare di cinque note percorre gran parte della partitura, ed è quasi l'insegna della sfrontatezza di Tartufo. Il decorso del canto, sia vocale che strumentale, è più del solito distolto dai riferimenti a prossimi centri tonali: raramente Malipiero si è tanto accostato, come in quest'opera, a quello che nel nostro barbaro gergo si chiama l'esaurimento del totale cromatico, cioè l'uso' d'un metodizzare che evita il più possibile le ricadute frequenti su punti di riferimento tonali, e consuma invece il maggior numero possibile di note. Niente di seriale, però: una serie di dodici note c'è, una volta tutta intera e bene in vista, per lo più invece frazionata, ma non è sottoposta al trattamento scolastico della dodecafonia. Per contro il metodizzare d'alcuni personaggi, particolarmente del protagonista e dell'infatuato Buonafede, non disdegna talvolta caratterizzazioni ben marcate, di quasi naturalistica evidenza: come il ripetuto « sia benedetto, poverino», di nobile reminiscenza falstaffiana, con cui Buonafede accoglie ogni racconto delle prodezze che Tartufo compie in casa sua. L'opera, in due brevi atti, d'apparenze semplici, pone in realtà grossi problemi esecutivi, e nella realizzazione radiofonica è impresa quasi disperata quella di evidenziare il decorso dell'azione senza sussidio della scena. I personaggi sono numerosi, e non particolarmente caratterizzati nei timbri vocali: basti dire che le donne sono quattro e son tutti soprani. La compagnia radunata dalla Rai se ne è tirata con molto onore, particolarmente nei principali ruoli maschili, tenuti dai baritoni Mario Basiola e Walter Alberti, e nel quartetto femminile dei soprani Angela Vercelli, Rita Talarico, Gloria Trillo e Adriana Martino, quest'ultima nel ruolo della servetta maliziosa Dorina, che le sta a pennello per la freschezza della voce e l'indole pungente. Molto merito del buon esito va alla direzione di Massimo Pradella, che, chiamato tardi a sostituire altro direttore, ha potuto prendere visione della partitura al momento d'iniziare le prove, e in pochi giorni è riuscito a comprenderla, nel pieno senso della parola, cioè a padroneggiarla e comunicarne il senso ai singoli esecutori. Ha preceduto l'opera nuova di Malipiero la «cantafavola in un atto» Una notte in Paradiso di Valentino Bucchi, su libretto di Luigi Bazzoni tratto da una delle fiabe che Italo Calvino ha raccolto e scritto da par suo (e qualcosa del suo spirito arguto rimane nella storia, pure attraverso le manipolazioni in cui si forma un libretto d'opera). E' un soggetto che ricorda un poco la strawinskyana Histoìre du soldat, con la perdita della misura temporale da parte di un uomo che compie una momentanea escursione nell'ai di là. E il compositore non ha rifiutato l'accostamento, accogliendo nella piccante partitura (strumenti a fiato, chitarre e mandolino, due saxofoni, organo Hammond e un contrabbasso) qualcosa della vivacità strawinskyana, senza quel fondo di malizia sofferta che ne fa la grandezza. ( Ne è sortito un divertimento innocente e garbato, realizzato con mano leggera. Hanno cantato lodevolmente i baritoni Walter Alberti e Leonardo Monreale, il tenore Carlo Gaifa, il soprano Rita Talarico, il mezzosoprano Giovanna Fioroni e il coro, bene istruito dal maestro Roberto Goitre, che per la prima volta lo conduceva pubblicamente, in sostituzione del maestro Maghinl, al quale vanno gif auguri del piccolo mondo musicale torinese. L'operina di Bucchi richiede anche l'intervento di tre recitanti, Pierpaolo Ulliers, Vittoria Lotterò e Walter Cassani, che si sono bene disimpegnati. La presenza d'una regìa, di Vera Bertinetti, ha assicurato la buona integrazione dei numerosi elementi di cui la piccola opera è composta. Massimo Mila