L'industria italiana nella sfida mondiale di Mario Salvatorelli

L'industria italiana nella sfida mondiale Aperto a Torino il convegno sul marketing L'industria italiana nella sfida mondiale L'arma decisiva è l'impresa multinazionale - Gli Stati Uniti ne hanno duecento, l'Europa soltanto trenta - Oggi le capacità manageriali contano più delle materie prime e dei capitali Gli Stati Uniti hanno duecento imprese multinazionali, con unità produttive operanti in almeno sei paesi, l'Europa trenta. Il rapporto è di sette a uno, con tendenza al peggioramento per il vecchio continente. La mancanza di materie prime, la deficienza dì capitali sono comodi alibi ai quali ricorriamo per giustificare questo ritardo, ha detto il professore Ferrer Pacces, parlando ieri mattina, alla Camera di Commercio di Torino, al convegno su «Il marketing oltre le frontiere». Le materie prime si comprano e la teoria che l'economia ruoti intorno al capitale è altrettanto falsa quanto il sistema tolemaico, che poneva la Terra perno dell'universo. Sono invece i capitali che si muovono per andare là dove trovano impieghi interessanti. Tanto meno si può parlare, specie per l'Italia, d'insufficienza di mano d'opera ed anche l'inferiorità nelle conoscenze tecniche e scientifiche si può riscontrare a livello nazionale, non a quello delle imprese avanzate, che in questo campo non presentano differenze sensibili dagli Stati Uniti all'Europa. Fatta così giustizia delle « risorse mancanti » classiche che appartengono a teorie economiche superate, Ferrer Pacces ha affermato che l'unico vero fattore limitazionale dell'economia europea è l'imprenditorialità, cioè la capacità di creare e sviluppare imprese in un determinato ambiente socio-politico. Ne è prova il risultato di recenti indagini: il 90 per cento delle imprese europee sono sottosviluppate i in confronto alle reali possibilità di collocamento dei loro prodotti. In questa sfida d'internazionalità che le aziende devono raccogliere per sopravvivere, il marketing ha una funzione di grande responsabilità, ha detto Umberto Agnelli svolgendo la prima relazione del convegno. Il passaggio da un domestic market tradizionale, limitato dalle frontiere politiche, a un « mercato interno » che comprenda tutti i paesi in cui un'impresa «riesce a realizzare una presenza costante », comporta una trasformazione delle strutture organizzative e ripropone in termini nuovi il problema della competitività, che «non è un dono dall'esterno ma un Qualcosa che si conquista ogni giorno all'interno dell'azienda, con l'innovazione e l'anticipazione a livello sia dei prodotti, sia dei processi produttivi ». E il ritmo dell'innovazione s'intensifica perché la rivoluzione tecnologica riduce il tempo utile per sfruttare i vantaggi dell'aver creato qualcosa che i concorrenti non hanno ancora scoperto ma certamente scopriranno o imiteranno presto. Anche per compensare questi « tempi più stretti » di vitalità e redditività dell'innovazione occorre una « presenza sempre più ampia » sul mercato internazionale. Solo con un marketing che sappia raccogliere tutte le notizie utili, selezionarle e integrarle in modo da dar loro un valore operativo immediato, ha proseguito il dottor Agnelli, un'azienda sarà in grado di non subire ma di « aggredire i mutamenti del mondo esterno », prevedendoli e adeguandovisi tempestivamente. Al marketing spetta anche di individuare mercati omogenei, in base ai quali l'azienda fabbricherà prodotti « a vocazione internazionale »; di operare una strategia degli impianti, che tenga conto di tutti gli aspetti, tecnici, economici, politici, sociali del paese dove si vuol far sorgere un nuovo stabilimento; di trovare i partners più adatti per intraprendere iniziative comuni. In questa « insofferenza dei confini », che vede all'avanguardia gli imprenditori, la tecnica dell'informazione — ha concordato il dott. Roberto Olivetti — è d'importanza essenziale. Ma, contrariamente a quanto comunemente si pensa, ha detto Olivetti d'accordo in questo con il professor Pacces, non sono i mezzi tecnici che scarseggiano, quanto la capacità di farli funzionare. Inoltre, il loro impiego incontra difficoltà di carattere soprattutto psicologico: ogni organizzazione « si difende », sempre, dai cambiamenti; « dà fastidio » rinunciare al monopolio dell'informazione ed anche essere controllati, come invece capita quando si organizzi un sistema informativo che fornisca contemporaneamente i dati necessari a tutti gli interessati, dal centro alla periferia e viceversa. Che la nostra presenza sui mercati esteri non sia più un Xatto occasionale, ma un dato costante, un prolungamen¬ to naturale del mercato interno, lo ha riaffermato anche il presidente dell'Ice (Istituto commercio estero), dott. Ettore Massacesi. Nel '68 l'Italia ha esportato quasi il 14 per cento del suo prodotto nazionale; quest'anno la percentuale sarà largamente superata. Le aziende che vendono all'estero per più di 10 miliardi sono 44, quelle tra uno e dieci miliardi 517 e oltre 35 mila quelle che hanno esportato per cifre inferiori. Ha concluso le relazioni del primo giorno del convegno il prof. Gabriele Morello, che ha individuato le varie possibilità per un'azienda di essere presente sui mercati internazionali. Il convegno, che è stato aperto dal presidente della Camera di Commercio di Torino, dott. Giovanni Maria Vitelli, e dal prof. Guglielmo Tagliacarne, presidente dell'Associazione italiana per gli studi di mercato, che l'organizza, continua e si conclude oggi. Mario Salvatorelli

Persone citate: Agnelli, Ettore Massacesi, Ferrer, Ferrer Pacces, Gabriele Morello, Giovanni Maria Vitelli, Guglielmo Tagliacarne, Olivetti, Roberto Olivetti, Umberto Agnelli