Un artista fedele al volto dell'uomo di Lionello Venturi

Un artista fedele al volto dell'uomo Le mostre d'arte torinesi Un artista fedele al volto dell'uomo L'opera di Michel Ciry presentata da Mauriac Quanti mai illustri matusa,1 sessantenni, settantenni, si sono entusiasmati dell'arte astratta (ricordiamo il compianto Lionello Venturi nell'ultimo tempo della sua vita) pensando di trovarvi una mitica Fontaìne de jouvence, o se preferite un taumaturgico « Gerovital »? Non è tra essi il vecchio Francois Mauriac, il quale scrive che la morte di Dio, proclamata da Nietzsche, ha condannato il mondo all'astratto perché il mondo ha preso a odiare la figura dell'uomo « che gli rammenta l'anima che ha perduto». E' l'anima che nemmeno Picasso, contro ogni apparenza, ha distrutto: «La creatura ch'egli ha genialmente frantumato si ricostruisce intorno all'anima e ì lineamenti del volto offeso vi ritrovano il loro posto immutabile ». Queste parole di Mauriac si leggono nella presentazione della mostra del pittore francese Michel Ciry, cinquantenne, notissimo a Parigi ma ancor quasi sconosciuto in Italia, un artista — dice 10 scrittore del Noeud de vipères — che ha attraversato la sua epoca senza subirne 11 contagio: « Il est demeuré fldèle au visage humain». Ciò non basterebbe, è ovvio, a far dichiarare capolavori le tele, gli acquerelli, i disegni, le acqueforti che ora il Ciry espone, per la prima volta a Torino, nella sala « Dantesca » della libreria Pégola di piazza Carlo Felice 19, se codesta fedeltà, anziché dimostrare semplicemente una volontà di andare controcorrente, o l'incapacità di adeguarsi a un'esigenza estetica nuova, diversa, non indicasse una convinzione fortissima che quello che il pittore intende esprimere non è possibile esprimerlo con forme astratte; e poiché questa coscienza fa tutt'uno col possesso di un linguaggio plastico d'eccezionale eloquenza, potentemente ed Immediatamente comunicativo, ecco che la qualifica di capolavori si adatta senza troppe riserve a tutti i disegni e le acqueforti, a un paio dì acquerelli, con qualche dubbio alle tele, che sì vedono adesso alla « Dantesca ». Il Ciry vuole infatti esprimere dei sentimenti, per lo più di alta religiosità (parti colarmente nelle incisioni, la Deposizione nel sepolcro, La Veronica, Stabat Mater, San Francesco, Santa Chiara, ecc.) ma comunque dei sentimenti d'intensa umanità, quelli che hanno radice profonda nell'anima di tutti gli uomini, che non mutano né perché si va sulla Luna né perché la pornografia è divenuta nelle capitali del Nord il catechismo dei giovinetti, insomma i sentimenti che si dicono « eterni »: e questi non è possibile esprimerli se non con l'immagine umana e con le cose che la nostra ragione, sulla traccia dell'esperienza visibile, riconosce patrimonio dello spirito umano; non certo con dei ghirigori, delle forme geometriche, delle macchie di colore. Quest'espressione il Ciry la attua con una superba evidenza plastica, con un contrappunto sapiente di luce e di ombra, con una purezza di segno degna di Ingres e — in versione moderna — di Picasso, con una composizione severa che non ammette la mìnima dispersione aneddotica e spoglia, la figura di qualsiasi superfluità, con una penetrazione psicologica acutissima del personaggio, sia esso il « Gilles » nelVHommage à Watteau o il Figliuol prodigo. Il bianco e nero, disegno od incisione, è il terreno sul quale il Ciry si muove con padronanza assoluta; il suo colore ha forse minor presa sulla struttura formale, svela qualche incertezza e sovrabbondanza, diluisce i toni invece di chiudere la luce con lo stesso rigore delle acqueforti; tuttavia i due grandi paesaggi dipinti ad acquerello appaiono condotti con una maestria rara. Sono distinzioni di valore che ci si può permettere quando si parla di un maestro autentico. Michel Ciry ha illustrato da par suo libri di Gerard de Nerval, Flaubert, Maupassant, Claudel, Mauriac. Ora prepara le illustrazioni per il Pascal della magnifica collana per bibliofili delle Edizioni Fògola. mar. ber.

Luoghi citati: Italia, Parigi, Torino