Rossi accesi, ma timidi di Giampaolo Pansa

Rossi accesi, ma timidi CHE PREPARA IN ITALIA LA SINISTRA EXTRAPARLAMENTARE Rossi accesi, ma timidi L'«Unione dei comunisti italiani marxisti-leninisti» è il più ricco e numeroso movimento «cinese» - Prepara la rivoluzione in un clima di signorilità e con esattezza elvetica; stampa bei giornali ed educa i bambini a disprezzare i giocattoli Tuttavia Mao non la riconosce e «i maledetti revisionisti del pei» non esitano a malmenare questi polemici compagni (Dal nostro inviato speciale) Milano, novembre. « Vuol sapere che cosa è l'Unione dei comunisti italiani? E' l'Esercito della Salvezza con il fazzoletto rosso... ». L'anziano militante marxista-leninista ride beffardo. Poi continua: «Hanno pensato proprio a tutto! Aspetti, aspetti... ». Fruga tra i giornali, trova una copia di Servire il popolo e legge: «Ecco il programma che l'Unione ha stabilito per i bambini. Dunque, i bambini devono lottare contro la figura del bambino viziato, devono combattere insieme contro i maestri di scuola aiutando i compagni più ber iiiiniiiiiiiiiiiiiiiii min inni sagliati a non farsi bocciare dai servi della borghesia, devono abbandonare il culto del giocattolo mutile, devono imparare a odiare i borghesi, devono amare molto il presidente Mao...». Una volta imparato ad amare Mao e i giocattoli utili, ì bambini dell'Unione diventano «pionieri». Appena cresciuti, sono promossi «guardie rosse». Le loro mamme vivono organizzate nel « movimento delle donne rivoluzionarie». I loro papà — se ex partigiani — si ritrovano nei « gruppi Stalin ». E gli adulti in generale? « Quelli sono il nucleo d'acciaio che costruisce il partito della classe operaia». Questo partito (il futuro partito comunista italiano marxista-leninista) formerà poi «un governo rivoluzionario degli operai, dei contadini, dei lavoratori ». E Questo governo assumerà il potere in Italia grazie ad una «armata popolare» pronta ad essere mobilitata. Un avvenire «limpido e preciso »: ce lo promette l'ultimo nato dei gruppi cinesi: l'Unione dei comunisti italiani marxisti-leninisti. Vado a trovarli nella sede milanese, via Lesmì 8, una grigia strada ad un passo da Sant'Ambrogio. Nessuna vigilanza rivoluzionaria. Un colpo di campanello ed ecco uno scantinato ordinalissimo, pile di giornali, libretti rossi, riviste cinesi, ritratti di Mao e una piccola folla di giovani e giovanissime con patacche rosso-oro del presidente. , Di sopra uffici, sotto la portineria: una portineria « politica », avverte un cartello. «Vieni, vieni, compagno — mi invita, sorridendo, la graziosissima addetta — che cosa desideri? ». Vorrei qualche copia arretrata di Servire il popolo. « Prendile, compagno, e paga da solo: puoi mettere le monete in quella cassettina». Gironzolo per lo scantinato. Una ragazzina ammodo ha un gran daffare con il centralino; altre ragazze, anche loro eleganti ma con garbo (niente minigonne, niente parolacce), impacchettano giornali, mentre una decina di giovanotti per bene, col distintivo dell'Unione e l'aspettò dei fattorini, vanno e vengono in un quieto vocio. Tutto mi sembra puntuale e previsto. Anche per fare delle riunioni — ammonisce uno dei tanti cartelli — bisogna chiedere il permesso. Giunge una dolce signora, batte le mani ed esclama: « Compagni, non affollatevi attorno alla compagna centralinista! ». Poi, mite, si rivolge a me: « Non vorresti fare un'offerta? ». Metto la mano al portafogli respirando di sollievo. Grazie al cielo, qui si ragiona, i « commandos » scatenati di Lotta continua e Potere operaio sono lontani. « Sì, l'Unione è davvero un'altra cosa — conferma il mio vecchio amico comunista —. Questi sono i burocrati della rivoluzione, i ragionieri della lotta al revisionismo... ». I pesci nel mare I burocrati maoìsti — « pesci nel mare delle masse proletarie» — sono sulla scena ormai da un anno. Nata il 4 ottobre 1968 da un gruppo trotzkista milanese («Falce e martello ») e da una frangia del Movimento studentesco romano, l'Unione si sta rapidamente guadagnando la fama di più numeroso, ricco e conformista movimento cinese. Diecimilaseicento «compagni organizzati»: studenti, sottoproletari delle «Coree», edili, operai di pìccole fabbriche, contadini del Sud. Millecinquecento « guardie rosse ». Quasi duecento nuclei o gruppi sparsi in tutta Italia, con punte molto alte a Milano e nella cintura milanese, nel Bergamasco, a Roma e dintorni, in Campania, in Calabria, nella zona di Catanw. Come gli iscritti, anche i dirigenti sono in prevalenza giovani. Non ha ancora 30 anni il segretario nazionale Aldo Brandirali, milanese, ex pei ed ex operaio, intelligente, sveglio, « capace di parlare per due ore senza dir nulla» sostiene un unionista che ha tradito. E meno che trentenni sono anche i suoi vice, Emo iTodeschini, Enzo Lo Giudice, il bergamasco Sergio Bonriposi, Angelo Arvati. Li avvolge un morbido culto della personalità. Brandirali viene sempre salutato al grido di « Viva il compagno segretario nazionale! » e, non di rado, quando scende in treno a Roma, trova ad attenderlo una brigata di pionieri con bandierine rosse. Gli altri sono « grandi dirigenti, grandi servitori del popolo italiano e amano profondamente il compagno segretario nazionale ». Gente che può Leggo tutto questo su Servire il popolo. E' il settimanale dell'Unione, otto pagine a colori, « la cui diffusione è sempre un momento di profonda gioia ». Poi c'è un mensile ("Bandiera rossa;, un periodico per gli studenti medi (he guardie rosse;, i libri delle «Edizioni Servire il popolo». Tutti prodotti austeri, in tono con lo stile di vita « disciplinatamente proletario » degli unionisti, ma curatissimi, bene stampati, venduti per quattro soldi. C'è infine la tessera «per il riconoscimento dei rivoluzionari al servizio del popolo ». Che tipo di rivoluzionari siete? « Intanto — risponde, secco, uno dell'Unione — rivoluzionari organizzati, I più organizzati di tutti. Lo spontaneismo degli avventuristi contraddittori del Movimento studentesco da noi è morto e sepolto. Abbiamo previsto ogni cosa: i consigli di fabbrica, di scuola e del popolo, le leghe dei lavoratori e dei contadini poveri, una sezione centrale per le lotte universitarie, i nuclei degli artisti, degli intellettuali, degli storici, degli architetti, dei medici rivoluzionari, e poi 1 comitati di partito: centrale, regionali, settoriali e zonali, infine le cellule... ». E' vero che tutto questo ve lo paga la Cia americana? «No! Ci autotassiamo: fra noi c'è gente che può e che collettivizza tutto... ». Ed ecco chili e chili di carte, decine di ciclostili perennemente in funzione, direttive dai titoli chilometrici («Temprare il partito nel fuoco della lotta di classe e fare i preparativi per il congresso di fondazione del partito che stiamo ecc. ecc. »), circolari interminabili. E guide allo studio delle circolari. E circolari esplicative delle guide. Tutto questo apparato è rivestito di colori brillanti. Infatti il trionfalismo è, dopo l'organizzazione, il secondo amore dei « burocrati » dell'Unione. Stendardi, ritratti giganteschi, striscioni, fazzoletti stampati, coccarde, medaglioni, e soprattutto bandiere, bandiere, bandiere sempre più rosse, sempre più grandi, sempre più raffinate. Negli scritti il partito ha ogni volta la "p" maiuscola. Tutti i discorsi — quelli di Brandirali sono « magnifici » — si concludono con lunghe sequenze di « evviva ». L'Unione è « grande e giusta ». Il partito che ne nascerà sarà invece « grande, giusto e glorioso». L'organo del partito va « amato profondamente », mentre compito dei compagni è « far brillare di felicità gli occhi del popolo». «Parliamo così — si difende un funzionario — perché così si esprime il popolo. Un po' più duro è il discorso sul nostro peggiore nemico: quei maledetti revisionisti del pei ». Leggo e comincio a provare sgomento per la sorte del «signor Longo ». I comunisti « vivono assieme ai fascisti negli stessi salotti », organizzano squadracce contro l'Unione, fanno la spia alla polizia, picchiano i figli che tornano a casa con il fazzoletto delle « guardie rosse ». Anche quelli del Manifesto sono « intellettuali piccolo-borghesi », non molto migliori del « servo revisionista Natta ». Il loro Comitato centrale è « il più ridicolo raduno di traditori che si sia mai visto». Giudizi sprezzanti, che l'Unione sta portando sulle piazze con mezzi « giocondi e gioiosi ». C'è il « Teatro Rosso »: venti compagni con palco, tenda e ritratto di Mao che'recitano «La storia di un emigrato proletario e della sua famiglia, cui- K minante nella loro presa di coscienza comunista ». C'è il gruppo dei cantastorie: quattro compagni con chitarre e tredici pannelli illustrati che cantano «Il futuro socialista della Calabria»: « Trallallero-trallallà Terra di Calabria rossa sarà! ». Ci sono due film sonori: Il popolo calabrese ha rialzato la testa! (bianco e nero, un'ora e mezzo di proiezione) e Viva il 1" maggio rosso! girato a colori a Milano e Roma. Ma soprattutto ci sono le « grandi marce ». Meno lunghe di quella cinese, ma non meno avventurose. Fra luglio ed agosto si è marciato molto: in Calabria, in Puglia, in Ciociaria, in Sicilia (attraversati 90 paesi), in Campania (120 km da Napoli a Fondi con la parola d'ordine: «Splendano mille bandiere rosse! »), in Emilia, nell'Oltrepò pavese, nelle « Coree » milanesi. Che epoca felice! Biciclette, zaini, tende, striscioni, bivacchi, comizi, rapide incursioni davanti alle «squallide» feste deHTJnità al grido di « Viva Stalin! »... e anche qualche guaio: la solita polizia sospettosa, e i soliti comunisti non soltanto sospettosi ma anche maneschi. Ci sono stati degli scontri? E' vero che le avete buscate? «A noi i gesti individuali non interessano». Capisco di toccare un tasto doloroso: quello della « troppa timidezza» (parole di Brandirali) della base dell'Unione. Ma come? Non è l'Unione che prepara la lotta partigiana in montagna e che, in questo autunno caldo, si allena organizzando « con precisione e durezza l'attacco delle masse»? Gli avversari sghignazzano. « Sì, organizzano la paura! — risponde un esponente del Movimento studentesco —. L'Unione immagazzina gente e l'ammortizza. Nei cortei sono sempre in coda: sull'attenti, bellini, puliti, seri, un po' tetri dietro la loro selva di bandiere rosse, ma in coda. E quando c'è uno scontro, una battaglia dì classe, se la squagliano, anche perché sono degli sprovveduti, non ce la fanno, diciamo così, tecnicamente... ». «Poi si presentano agli operai senza una linea — aggiunge uno del Partito comunista d'Italia marxista-leninista, il solo riconosciuto da Mao —. Gli fanno la predica: fesso di un operaio, perché dai retta ai sindacati? E gli operai menano. L'Unione è stata picchiata duro davanti alla Pirellì-Bi-, cocca, alla Dalmine, alla Magrini di Bergamo. Non hanno mai reagito. Per di più, la Cina neanche li guarda. Noi soli teniamo i rapporti con la Cina e l'Albania. Al ricevimento a Roma per il ventennale della Repubblica Popolare, Brandirali e i suoi amici sono stati lasciati fuori dai cancelli, a piangere e sventolare bandiere rosse...». Rabbia organizzata E' vero? Siamo in un vecchio caffè di Corsico, un malinconico pomeriggio lungo il Naviglio. Non lontano, in via XXIV Maggio, c'è una sede dell'Unione, bella, ricca e ignorata da'Mao. Un giovanottino con fazzoletto e patacca si è intestardito a fare del bar una « base rossa» e paria, parla, parla: « Nel caseggiato dove splende la bandiera proletaria e il libretto delle massime del grande presidente, basteranno una lavatrice ed altri mezzi in un locale per le faccende domestiche di tutti; la moglie uscirà così dal chiuso della casa per unirsi alle altre compagne ed organizzare la sua rabbia. Scompariranno anche le cambiali... ». Le cambiali? Un sussulto scuote i vecchietti che ascoltano distratti bevendo spuma e grappini. Nei loro sguardi acquosi brilla un lampo dì speranza. Ma poi tutto sì spegne nell'aria grigia, nei muri grigi, nella pioggia grigia. Giampaolo Pansa É Roma. La « lunga marcia » di Mao sui sette colli (Telefoto)