I pacifisti in piazza di Vittorio Gorresio

I pacifisti in piazza LA PARTE INQUIETA DELL'AMERICA I pacifisti in piazza II 13 novembre si svolgerà una lunga «marcia contro la morte»; vi aderiscono grandi sindacati, per la prima volta interverranno ufficialmente i comunisti - I negri, guidati dalla vedova di Luther King, hanno deciso di marciare da soli - Contro l'abbandono a qualunque costo reagisce il « Comitato per la pace con libertà nel Vietnam » - La Casa Bianca tace i (Dal nostro inviato speciale) Washington, novembre. La capitale è in attesa di grandi eventi che forse non si sente preparata a fronteggiare. Giovedì prossimo, 13 novembre, comincerà da varie parti del Paese una « marcia contro la morte ». della durata di quaranta ore, che dovrebbe convogliare dalle 250 alle 500 mila persone, bianche e nere, in direzione di Washington: la più grande « marcia dimostrativa » della storia americana. Quarantaseimìla pacifisti militanti di tutte le confessioni politiche di sinistra — dai liberali ai radicali, ai comunisti, ai trotzkisti — procederanno in fila indiana dal Cimitero degli eroi di Arlington alla Casa Bianca, recando ciascuno un cartello con il nome di un americano caduto in Vietnam, o di un villaggio vietnamita distrutto dai bombardamenti americani. Figureranno nel corteo anche casse da morto, che gli organizzatori pretenderebbero presentare alla vista di Nixon come un memento; ma questo particolare del programma sembra di attuazione difficile. « Non importa — mi dice Cora Weiss, una dei sei presidenti nazioTiali del Mobe, il "New Mobilization Committee" per la fine della guerra —. Quello che conta è far sentire a questi signori di Washington la volontà della pubblica opinione, è per questo che nel Mobe accettiamo tutti, di tutte le opinioni politiche. Vediamo del resto che anche i sindacati, generalmente conservatori perché ci sono operai che con la fine della guerra temono la disoccupazione, cominciano a capire. Centocinquanta autobus, per trasportare a Washington settemila operai, sono stati noleggiati dalle Unions di New York. Walter Reuther, presidente deinJ.A.W., l'Unione dei lavoratori dell'automobile, si è finalmente deciso a dire che questa non è una buona guerra, quindici giorni fa». Discorsi e preghiere I negri andranno per conto loro. Essi di regola non aderiscono alle organizzazioni ed alle iniziative dei bianchi, anche quando sarebbero bene accetti, come in questo caso, ma li guiderà Coretta King, vedova di Martin Luther, e quindi essi potranno fare la propria parte in modo autonomo. Oltre alla marcia, ai di¬ scorsi, ai canti e alle preghiere durante le soste, tra giovedì e domenica della prossima settimana, a Washington sono ancora previste una conferenza per i diritti dei soldati («che sono attualmente privati delle garanzie costituzionali », mi dice Cora Weiss citando le esperienze del marito Peter, che è un avvocato specialista nella difesa dei renitenti alla leva, degli obiettori di coscienza e dei disertori) e una riunione del gruppo di lavoro che consiglia i giovani sui modi per sottrarsi alla coscrizione. Tutto dovrebbe svolgersi nel quadro di uno sciopero nazionale studentesco, della durata di ventiquattr'ore. Nella capitale l'attesa è variamente sfumata, più facile a descrivere che a definire. Al Dipartimento di Stato la signora Margaret Tib- bet, già ambasciatore in Norvegia, ora Deputy assistant secretary of State, evita gentilmente le risposte precise parlando bene, in genere, degli studenti: « Li posso capire perché appartengo alla generazione che piti di trentanni fa stava nei colleges, dove tutti facevamo la passione per la guerra di Spagna. Poi c'è stato un momento in cui tutti deploravamo che i nuovi giovani — quelli di una quindicina, una decina di anni fa — sembrassero incapaci di spinte ideali. Questi di oggi invece — è il meno che posso diro — sono sensibilissimi. Ho anche sentito che per la prossima primavera si preparano a organizzare una giornata di allarme nazionale per la polluzione dell'aria, dell'acqua e della terra». Nella Casa Bianca c'è la atmosfera che si crea quando il ritmo di lavoro è esasperante. Il braccio destro di Nixon, suo' consigliere per gli affari della sicurezza nazionale. Henry A. Kissinger, per due settimane è stato occupato continuamente nella rinnovata stesura del discorso presidenziale del 3 novembre, che doveva spiegare al Paese, alla vigilia della marcia su Washington, la situazione politica: « La situazione reale, intenda bene — mi chiarisce J. F. Sonnenfeldt, uno dei più attivi assistenti di Kissinger —. Perché, se badasse a quella emotiva, il Presidente sarebbe il primo a scendere in strada con una fiaccola in mano a ricordare i Caduti e ad auspicare la pace ». Come Presidente non può invece permettersi di essere emotivo. Sarebbe un compenso all'atteggiamento della grande stampa americana, che appare invece scarsamente comprensiva. Nelle stanze del Pentagono il New York Times (per non parlare di Newsweek e dello stesso Time) è considerato una pubblicazione sovversiva. Mi dice Frank Armbruster, storico e critico di cose militari, un uomo perentorio: « Quando a Chicago ci sono stati tumulti, il New York Times ha pubblicato in prima pagina fotografie di ragazzi con la testa rotta, e quelle dei poliziotti egualmente feriti nella Ottantaquattresima. Anche la tv segue gli stessi criteri e poi pretende, come la stampa, di avere una missione civica. E' disonesto ». « Ho l'impressione — mi dice il generale John W. Barnes, reduce dal Vietnam dove ha comandato fino al 10 ottobre la 173.ma brigata aerotrasportata — che qui a Washington governanti e funzionari leggano troppo i giornali ». Per coprire le voci della cattiva stampa, l'altro giorno ha fatto sentire la sua il «Citizens Committee for Peace with Freedom in Vietnam », che vagamente è un contraltare del Mobe, l'organizzatore della marcia su Washington. E' un comitato civico che si inorgoglisce di bei nomi: presieduto dall'ex senatore delVIllinois PavlH. Douglas, vi aderiva Eisenhower e oggi comprende ancora l'ex presidente Harry Truman, i generali a riposo Omar Bradley e Lucius Clay: e George Meany, presidente della più forte organizzazione sindacale americana, la Afl-Cio, l'ex segretario al Tesoro Douglas Dillon, l'ex segretario di Stato Dean Acheson, l'ex presidente dell'Università di Harvard, James B. Conant, l'ex presidente della Atomìc Energy Commission, Lewis L. Strauss, e vari altri esponenti della vecchia guardia politica, i quali si prefiggono di interpretare il « silent center », l'opinione americana di centro, quella che dovrebbe contare molto, ma che abitualmente tace. A parte i motivi militari e internazionali che impediscono all'America di alzare bandiera bianca « come vorrebbero i sedicenti marciatori contro la morte », il Comitato civico mette avanti una preoccupazione di politica interna: «La lezione di una guerriglia che ottenesse successo non andrebbe perduta per coloro che nel nostro Paese cercano un cambiamento sociale attraverso la violenza ». E' una preoccupazione esagerata, se per cambiamento sociale si intende una rivoluzione politica di tipo classico europeo, del tutto inattuabile in America. Ma essa trova alimento, o spiegazione, nel fatto che comunisti professi e sovversivi di ogni genere sono stati questa volta — diversamente che in occasione del « Moratorium Day » del 15 ottobre — ammessi a partecipare alla direzione del Mobe per la nuova protesta nazionale. Il candido Agnew E' la prima volta che avviene, e questo principio di slittamento verso la sinistra spaventa. Uno dei sei presidenti nazionali del Mobe, il professore Douglas Dowd della Cornell University, ha dichiarato che la fine immediata della guerra è solo il primo scopo: «L'essenziale è la fine di questa pazza società americana imperialista che produce razzismo, guerra e povertà. Non è una politica, è un sistema che noi stiamo combattendo». Con l'aggressiva sicurezza che è consentita solo dai pensieri ovvi, il generale G. H. Woodward mi contesta: « Come faremo ad affermare la superiorità del nostro sistema su quello comunista, se noi per masochismo continuiamo a passare il nostro tempo nel tentativo di distruggerlo? ». Ma il più battagliero difensore del sistema minacciato da tanti e tali «disfattisti» è, in ogni modo. Spiro T. Agnew, vicepresidente degli Stati Uniti. I suoi discorsi in questi giorni di attesa riempiono di echi e di commenti il Campidoglio dove ha sede il Congresso. Più che violenza oratoria, Agnew ha un candore mentale che lo rende travolgente. Parlando di studenti e professori « progressisti », li ha definiti «una banda di buoni a nulla, snob impudenti che si qualificano intellettuali ». A suo giudizio sono anche « eunuchi del pensiero », « ideologhi castrati », oppure, in modo descrittivo, «avvoltoi appostati sugli alberi a guardare la lotta dei leoni, indifferenti a chi vinca, perché, tanto, avranno sempre di che nutrirsi con le spoglie ». Le mele marce Deprecando la minaccia eversiva che la marcia su Washington comporta, ha gravemente ammonito: «Certi giovani di pensiero decadente possiamo anche separarli dalla nostra società, senza maggior rimpianto di quello che si prova nello scartare da una cesta le mele marce ». JVon ha spiegato in quale modo intenda separare quei giovani decadenti dalla società, ma a un redattore della rivista U. S. News and World Report ha detto che coi giovani non vuole più parlare: « Non sono disposto a presentarmi alle loro assemblee, perché ci troverei sempre un gruppo di minoranza sufficiente a impedirmi di farmi ascoltare ». Sembra che incontri gravi difficoltà anche in famiglia. Conversando l'altro giorno con Stewart Alsop, un notissimo columnist, gli ha confidato le sue pene di genitore per l'educazione della figlia quattordicenne Kim, la quale pretendeva mettersi un bracciale nero di lutto per protesta contro la guerra: « Le ho spiegato tutto, lei mi è stata a sentire e mi ha risposto: "Capisco il tuo punto di vista, ma non lo condivido". Tutti così, questi giovani, non sanno esprimere una sola idea logica e razionale ». Adesso, il punto non è accertare da quale parte stia la logica. Politicamente è più importante che il linguaggio di Agnew, a non badare alla forma, nella sostanza sia approvato da Nixon, e che esso piaccia alla larga massa degli america¬ ni medi, dimenticati o silenziosi che siano, che costituiscono tuttora, naturalmente, una solida base elettorale. Vittorio Gorresio (I precedenti articoli dell'inchiesta sono usciti il 19, 25, 31 ottobre, U 2 e 6 novembre). Cambridge. Incidenti durante la protesta contro il Mit (Massachusetts Institute of Technology) per le sue ricerche di carattere militare (Tel. UPI)