New York sceglie il suo sindaco di Mario Ciriello

New York sceglie il suo sindaco ANALISI New York sceglie il suo sindaco (Tre candidati per il « mestiere più duro » d'America, dopo la Casa Bianca) New York, 3 novembre. Altre 24 ore e sapremo finalmente chi amministrerà New York per i prossimi quattro anni. Domani la città sceglie, il suo nuovo mayor, il sindaco. Chi sarà? Lindsay, Procaccino o Marchi? L'attuale sindaco è il grande favorito, la sua vittoria sembra certa, ma, In questa come in ogni elezione, vi sono incognite che possono sfuggire al più preciso dei computers e al più acuto degli esperti. Pure domani si vota per il nuovo governatore in due Stati — New Jersey e Virginia — e per il nuovo sindaco in centinaia di città. Ma l'elezione di New York è la più importante, è un fatto di interesse nazionale e internazionale. Lo è per molti motivi. Perché New York, con i suoi otto milioni di abitanti e la sua potenza nel mondo finanziario, commerciale e culturale, è città-guida, e non soltanto per gli americani; perché Lindsay è uomo ambizioso, mira alla Casa Bianca e, se sarà rieletto, diverrà la stella più vivida del firmamento repubblicano «liberale»; perché il verdetto dei newyorchesi indicherà i progressi o i regressi della ventata conservatrice, spesso qualunquistica,, alla cui remota origine vi è il genuino senso di sfiducia e di delusione del basso ceto medio bianco; e, infine, perché gli sviluppi a New York mostreranno se, e come, sia possibile sanare il crescente travaglio delle megalopoli, di cui questa è certo la più « ingovernabile ». Il New York Times dice: «New York, il più vasto agglomerato urbano degli Stati Uniti, ha tutti i mali di ogni altra città. Solo che, essendo più grande, li ha su scala più imponente. La delinquenza fà paura. I rapporti razziali sono tesi. La rete dei trasporti è arcaica. Le case non bastano. La pubblica istruzione è difettosa. L'assistenza ai poveri è un peso quasi insostenibile. Le strade sono sporche. L'aria è inquinata. I prezzi sono arrivati alle stelle. Le tasse continuano ad aumentare». E l'elenco non è completo: ha ragione Lindsay quando afferma che un solo lavoro è « più duro e ingrato » di quello di Mayor of New York, è il job di presidente degli Stati Uniti. Alle « primarie » di giugno — quando, con una votazione preliminare, 1 partiti scelsero 1 loro candidati — il repubblicano « liberale » John Lindsay fu battuto dal repubblicano « conservatore » John Marchi. La stessa spinta verso destra — verso coloro la cui principale aspirazione è « legge ed ordine » — innalzò a candidato del partito democratico l'attuale assessore alle Finanze Mario Procaccino. Lindsay non si arrese e divenne 11 candidato di un partito — «l'indipendente» — formato con l'appoggio del Liberal party. Lindsay è a sinistra, mentre i due italiani si muovono sulla destra. Lindsay, s'è detto, ha fatto errori. Ma si è conquistato la fiducia di negri e portoricani, cioè del 30 per cento della popolazione, salvando New York dai tumulti che hanno insanguinato altre città. Procaccino ha invece dato l'impressione di non avere le doti necessarie per dirigere la metropoli. Con quei baffetti, la lacrima facile, gli abiti alla George Raft, i movimenti goffi, non ha certo una personalità di rilievo; ma ciò che è più graye non ha un programma, non ha idee, gioca — e male — la carta del qualunquismo e di un velato razzismo. Marchi — repubblicano e per di più di destra — sembra battuto in partenza. La scelta è tra Procaccino e Lindsay. Italiani e irlandesi si pronunceranno per Procaccino; negri e portoricani voteranno per Lindsay. E a questo benestante, atletico, elegante, freddo «anglosassone» di 47 anni andranno pure i suffragi degli intellettuali, di molti giovani e dell'etite sociale. A determinare l'esito saranno gli ebrei, il 32 per cento dell'elettorato. Mario Ciriello

Persone citate: John Lindsay, Mario Procaccino, Mayor