Tutti dottori di Carlo Casalegno

Tutti dottori Il nostro Stato Tutti dottori (Intanto l'Università scoppia) Mentre ilParlamento discute — adagio — la grande riforma che dovrebbe dare al Paese un sistema d'istruzione universitaria efficiente e moderno, le Commissioni del Senato e della Camera realizzano alla svelta, votando con potere deliberante, una miniriforma che rischia di condannare a morte l'Università:'rA- Palazzo Madama si è già dedso «senza obiezioni di fondo », a Montecitorio si deciderà entro il mese che i diplomati di oltre 25 anni possano iscriversi subito a tutti i corsi di laurea. Molta demagogia La « liberalizzazione » dell'accesso agli Atenei è contenuta nel progetto di grande riforma; e non soddisfa soltanto le richieste del movimento studentesco e dei partiti di sinistra, ma anche esigenze di giustizia, ragioni di opportunità, interessi generali (è vantaggio comune che nessun talento venga sciupato). Solo i conservatori più ciechi penserebbero di rifiutarla, una volta che l'Università abbia gli ordinamenti, le strutture, i mezzi per diventare sul serio una scuola « aperta » in grado di assolvere i suoi compiti. Ma stralciare questa parte dal piano di riforma, e spalancare precipitosamente le porte della vecchia Università in piena crisi, non è un atto di giustizia; a mio parere, è un gesto di demagogia che accresce le difficoltà della scuola e che per i nuovi iscritti, soprattutto se pagano le tasse, si risolve in una truffa. I dottrinari affermano che il principio conta più delle complicazioni temporanee; gli ottimisti sostengono che non molti diplomati approfitteranno subito della concessione: forse venti o trentamila, già decisi a prendere uri laurea appena passi la grande riforma. Non mi convince né la prima, né la seconda tesi. Con l'attuale corsa ai titoli accademici, ed i criteri d'indulgenza accolti da parecchie facoltà, temo che le iscrizioni saranno assai più numerose, contribuendo così ad affrontare lo sfacelo delle strutture universitarie. Ma soprattutto sono convinto che per lo Stato sia un errore politico ed una colpa morale assumere impegni che non può mantenere. Con questa miniriforma si promette ai diplomati un avvenire migliore, mentre di fatto si offre una scuola che già non funziona più. Un notabile così poco sovversivo come il canonista professor D'Avack, rettore dell'Ateneo di Roma, ha detto a Giampaolo Pansa che nella sua Università « non si può materialmente studiare»;.! responsabili di altre sedi ripetono lo stesso giudizio e prevedono tensioni peggiori nei prossimi anni: « è una organizzazione vicina alla truffa », ha commentato un autorevole scienziato piemontese. Il gigantismo patologico sta uccidendo l'insegnamento. Nell'ultimo decennio, quasi ovunque, gli iscritti si erano raddoppiati o triplicati; quest'anno è una valanga di matricole senza precedenti che s'abbatte sulle facoltà gremite. Gli studenti erano mezzo milione, con neppure duemila cattedratici; prima di Natale saranno seicentomila, con pochi incaricati ed assistenti più dell'anno passato. Si fa lezione in cantina o in vecchi cinema non solo a Messina, ma nella stessa Milano. Il microfono è l'ausilio didattico più importante per centinaia di docenti: a Lettere e Legge, ma anche a Medicina e Ingegneria. « Ci salva l'alta percentuale di allievi che non frequentano », spiega un professore dell'Ateneo di Roma; infatti nei laboratori di Scienze ci sono 1500 posti contro ottomila iscritti; ed ogni ordinario di latino nel Magistero ha 5000 alunni. Le vane promesse Malgrado queste condizioni, partendo dal principio che un posto all'Università non si rifiuta a nessuno e che una misura di « liberalizzazione » può calmare molte proteste, si aprono le porte anche ai diplomati. Sembra che non abbiano insegnato nulla le conseguenze della « liberalizzazione » nel Magistero: ora Io invadono migliaia di matricole che prima, quando esisteva l'esame di ammissione, erano bloccate se infarcivano la prova scritta con troppi errori di ortografia e di sintassi. Anche ai diplomati, per ar-ettarli nelle facoltà, non si .hiede altro che. l'età minima ed il pagamento delle tasse. E quanti non si lasceranno scoraggiare dal pessimo funzionamento dell'Università, diventeranno dottori; il principio della selezione per merito è abbandonato quasi dovunque, si interpreta sempre di più il « diritto allo studio » come « diritto alla laurea ». I diplomati, ovviamente, non ne hanno colpa. Sono le prime vittime di un sistema scolastico che ignora gli istituti professionali di livello post-secondario (sono scomparsi dal progetto di riforma universitaria) ; di un'Università che, incapace di far fronte ad impegni tanto cresciuti, sta fabbricando disoccupati; di un sistema amministrativo che esige un inutile titolo di dottore per qualsiasi carriera, e misura promozioni e guadagni sul « pezzo di carta ». Ma non ci si venga a dire che ora, dopo la miniriforma, lo Stato si sentirà obbligato a provvedere in fretta gli edifici, i docenti, i laboratori necessari ai vecchi ed ai nuovi iscritti: non lo potrebbe nemmeno se impegnasse tutte le proprie risorse. Mancano le migliaia di miliardi indispensabili. Non ci sono decine di migliaia di uomini degni di occupare subito cattedre universitarie. E mancano anche le idee per passare in poco tempo da una superata Università di élite ad un'efficiente Università di massa. La crisi durerà ancora molto tempo. Sarebbe saggezza non aggravarla con mezze riforme demagogiche, buone solo a far diventare dottori tutti gli italiani. La laurea è una cosa più seria del titolo di cavaliere, che Carlo V elargiva con tanta larghezza. Carlo Casalegno

Persone citate: Carlo V, Giampaolo Pansa

Luoghi citati: Ingegneria, Messina, Milano, Roma