Il padre del marine: povero figlio la guerra lo ha fatto impazzire

Il padre del marine: povero figlio la guerra lo ha fatto impazzire Vive in una capanna sui monti dell'Irpinia Il padre del marine: povero figlio la guerra lo ha fatto impazzire (Dal nostro inviato speciale) Avellino, 1 novembre. A Melito Irpino, piccolo centro agricolo di duemila abitanti in provincia di Avellino, risiede il padre di Raffaele Minichiello. Rintracciarlo è un'impresa difficile e prima di giungere a lui ho girato mezzo paese, bussando non so a quante porte. Qui quasi tutti si chiamano Minichiello e per avere notizie più precise alla fine ho dovuto rivolgermi al sindaco Gennaro Capasso, 44 anni, impiegato postale. Abbiamo sfogliato i registri dell'anagrafe, dell'immigrazione, dei matrimoni e dopo più di un'ora di ricerche è saltato fuori: Luigi Antonio Minichiello, 76 anni, nato a Grottaminarda e residente in contrada Acquafredda, ai confini con la provincia di Foggia. « Ah!... — dice il sindaco — adesso ricordo, è quel vecchio che è tornato dall'America un anno fa 'e vive sperduto tra i monti. Non è facile trovarlo. Sta sempre fuori a caccia o vaga per i campi ». Mi viene offerto per guida Nicola De Minico, un uomo di 45 anni, ed insieme partiamo per raggiungere « Zi Antonio » come viene chiamato il vecchio emigrante. Dopo una decina di chilometri raggiungiamo la baracca dove vive tutto solo il padre del giovane marine. E' una vecchia costruzione in legno, con una porta sgangherata, assicurata da un catenaccio mezzo arrugginito. Tutt'intorno è silenzio. Bussiamo. Nessuno risponde. Sfiduciati stiamo per allontanarci quando, con circospezione, la porta viene aperta e sull'uscio si staglia la figura del vecchio. «Chi siete — grida — che cosa volete? ». La mia guida si fa riconoscere e vince la diffidenza del compaesano. Con riluttanza il vecchio emigrante ci fa entrare e spranga subito la porta dall'interno nel timore che altre persone abbiano potuto seguirci. All'interno della squallida capanna è un disordine inde- scrivibile. In un angolo v'è il giaciglio, nessun tavolo, due sedie di legno ed un fornello alimentato da gas liquido. Per terra sono ancora visibili cenere e residui di fuoco spento. Unico segno di civiltà una piccola radio a transistor, poggiata sul materasso di paglia. Luigi Antonio Minichiello vive da un anno solo in questa baracca. Non ba parenti. La sua casa, come gran parte del paese, venne distrutta dal terremoto del 1962. Ora Melito è stata ricostruita a 5 chilometri di distanza dal vecchio abitato, ma le nuove costruzioni non sono state ancora occupate. Luigi Minichiello è un uomo alto, un po' curvo nelle spalle, ha molti acciacchi, ma non lo si può dire malandato in salute. Lo sguardo è sveglio e nel fisico, logorato dagli anni e dai duri lavori, qualche cosa è rimasto dell'eccezionale fibra di un tempo che gli ha permesso di resistere per anni ed anni nelle miniere di carbone della Pennsylvania. Ha appreso dalla radio i particolari sull'incredibile odissea aerea del figlio e stenta a credere che il protagonista della folle avventura sia il suo ragazzo. « E' impossibile — mormora — che Raffaele sia stato capace di tanto... è la guerra che gli ha fatto perdere il cervello ». E' disorientato, sconvolto da mille pensieri e stamane dopo aver ascoltato la radio si è precipitato dai carabinieri per avere ragguagli più precisi. «E adesso che lo hanno preso — domanda — che gli faranno? Lo porteranno subito in America? Povero figlio mio! Riuscirò a vederlo prima di morire? Se potessi incontrarlo, a me lo direbbe perché lo ha fatto ». Fuma nervosamente un mezzo toscano e cerca di nascondere gli occhi umidi di pianto, ma non una lacrima solca il suo volto rugoso e stanco. La storia di Luigi Minichiello è simile a quella di tanti altri nostri emigranti. Molto lavoro, e alla fine un gruzzolo per la vecchiaia. Un anno fa, vinto dalla nostalgia per il suo paese natio, lasciò in America la moglie Maria I Giuseppina Cerullo, di 47-anni, la figlia Anna, di 18, e ritornò a Melito Irpino. Si rifugiò nella baracca tra i monti per trascorrere in pace e solitudine i lunghi giorni prima della fine. « Ho sempre I lavorato — dice — e tutti i mestieri mi andavano bene. Solo la malavita non l'ho mal fatta ». Emigrò per la prima volta nel 1911 a soli diciotto anni e ritornò in Italia dopo la guerra, nel '49. Si 6posò con Maria Giuseppina Cerullo che aveva allora 26 anni. Nacquero Raffaele i ed Anna. Nel 1962 il terremoto distrusse la casa e andarono a vivere nella baracca fra i monti. Poi per non far perdere il diritto sulla cittadinanza americana ai figli, la famiglia partì per l'America. « Che guaio... — mormora il vecchio — Raffaele, che aveva 13 anni, fu attratto dalla vita americana, così diversa dalla ria¬ stra. Mia moglie e i figli non vallerò più sentire parlare dell'Italia. Io finii per non contare più nulla. Il ragazzo si mostrò subito irrequieto e a 17 anni non volle più andare a scuola». — Perché l'avete mandato nei marines? — domando. « No, io non volevo, ero contrarlo. E' una vita quella per gente che non ha voglia di lavorare. Un po' di moneta ce l'ho e volevo fare di mio figlio un dentista, un farmacista; un dottore insomma. Ma non ci fu nulla da fare. Trascorreva ore ed ore davanti al televisore a guardare i film sui marines e si entusiasmava alle loro imprese. Minacciò perfino . di uccidersi se non gli avessi dato il consenso. Che dovevo fare? Misi la firma e me ne tornai in Italia. Quando partì per il Vietnam soltanto mia moglie e mia figlia lo abbracciarono ». Il povero padre scruta nei ricordi. Cerca invano con rabbia e disperazione di spiegarsi le ragioni del gesto compiuto dal figlio. Per lui Raffaele è rimasto il ragazzo timido, generoso, incapace di far del male. Affezionato alla madre, alla sorella, agli amici. « Non ha mai rubato un soldo — dice — né ha mai dato motivo di lagvnnze. Del resto non arruolano in America tanto facilmente i giovani nei marines se non ri sultano incensurati per molte generazioni. Sono severissimi nell'accoglier e le reclute. E' un po' come il Corpo dei carabinieri da noi ». Antonio Minichiello rifiuta di riconoscere che forse l'età, la guerra, le nuove amicizie, hanno potuto cambiare il suo ragazzo. Ci saluta dicendo: « In famiglia eravamo orgogliosi di lui, forse il suo gestp non è stato compreso oppure le atrocità che ha visto nel Vietnam hanno sconvolto il suo cervello. Allora è malato e non sì può punirlo ». *.nche in paese la pensano co; Raffaele Minichiello ha lasciato di sé un buon ricordo. Lo descrivono come un ragazzo tranquillo e perbene. Adrìaco Luise Il padre di Minichiello ieri a Melito Irpino (Telefoto)